Un aspetto sinora rimasto nella penombra dell’inchiesta riapertasi sul delitto di Garlasco guadagna oggi una rilevanza investigativa centrale: le telecomunicazioni fra Andrea Sempio, i suoi difensori legali e la polizia giudiziaria pavese nel gennaio 2017, a pochi giorni dalla richiesta di archiviazione che avrebbe dovuto definitivamente chiudere il caso. Si tratta di una finestra temporale breve eppure fitta di contatti anomali, secondo la Procura di Brescia, che sta esaminando la possibile sussistenza di una presunta corruzione in atti giudiziari ai danni della giustizia.
L’intensità straordinaria dei contatti telefonici concentrati fra il 21 e il 22 gennaio 2017 non può trovare giustificazione alcuna nei normali ritmi dell’attività giudiziaria. Nel giro di 48 ore, i telefoni di Sempio, dei suoi legali e della polizia giudiziaria risultano collegati da una serie di comunicazioni continue, fittamente distribuite nell’arco della giornata, con il carattere distintivo di brevi intervalli fra una telefonata e l’altra. L’analisi dei tabulati rivela un primo momento di intensa attività il sabato 21 gennaio, quando fra le 10.31 e le 10.58 si susseguono almeno quattro chiamate effettuate da utenze collegate alla Procura pavese verso il telefono cellulare di Andrea Sempio, tutte rimaste senza risposta. Nello stesso intervallo temporale, il carabiniere Silvio Sapone, allora capo della polizia giudiziaria presso la Procura di Pavia, effettua ulteriori tentativi di contatto dal suo telefono privato, sempre senza esito.
In questo contesto si muove il legale di Sempio, Massimo Lovati, il quale alle 11.49 raggiunge il suo assistito e intreccia una comunicazione di appena trenta secondi, seguita da un secondo contatto due minuti più tardi di durata leggermente superiore. L’andamento delle comunicazioni acquista una connotazione ancora più significativa nella giornata seguente, quando domenica 22 gennaio il traffico telefonico esplode in una sequenza quasi coreografica fra le 17.25 e le 18.13. In questo lasso temporale di pochi minuti, Sempio intreccia una fitta trama di telefonate con i suoi avvocati, Federico Soldani e Lovati medesimo, scambiando due minuti di comunicazione con il primo e interrompendo successivamente per contattare il carabiniere Sapone in quella che risulta essere la più lunga e significativa conversazione dell’intera rete di contatti: una telefonata di cinque minuti e quindici secondi.
La successione temporale di questi contatti assume rilievo non tanto per la loro mera esistenza, quanto per la loro concentrazione temporale, per il frequente alternarsi fra gli attori coinvolti e soprattutto per la circostanza che nessuno di loro sembrava dotato di alcuna rilevanza dal punto di vista procedurale. I magistrati bresciani ritengono infatti che il 21 e il 22 gennaio 2017 non sussistessero motivi formali per giustificare una comunicazione così diretta fra un investigatore e un soggetto ancora indagato per un delitto grave quale l’omicidio. Nessun atto doveva essere notificato, nessuna attività investigativa urgente necessitava di coordinamento in tempo reale fra le parti. Eppure i contatti proseguono anche dopo il primo cambio di risposta: alla fine di quella domenica pomeriggio, dal telefono di Sempio parte persino un breve messaggio scritto verso il numero privato di Sapone, un sms che rappresenta un ulteriore elemento della sequenza anomala.
Quanto ai protagonisti di questa fitta rete comunicativa, le risposte fornite agli inquirenti bresciani risultano uniformemente lacunose. Quando il luogotenente Silvio Sapone è stato formalmente interrogato dalla Procura di Brescia circa due settimane fa, gli è stato chiesto di spiegare non soltanto il significato e il motivo di quella telefonata di cinque minuti con Sempio, bensì anche dell’intero fascio di comunicazioni precedenti. La risposta fornita è stata perentoria nel suo vuoto: Sapone ha dichiarato di non ricordare. Una giustificazione che, per i magistrati inquirenti, non possiede la forza di dissolvere i sospetti sulla natura sostanziale di quei contatti, specialmente considerando che gli stessi avvenivano a circa venti giorni di distanza dalla convocazione ufficiale di Sempio per interrogatorio, prevista per il 10 febbraio 2017.
Anche gli avvocati Federico Soldani e Massimo Lovati, quando sono stati ascoltati in Procura a Brescia, hanno fornito risposte analogamente poco illuminanti circa le ragioni di quei contatti. Soldani è stato interrogato per oltre quattro ore insieme al collega Simone Grassi, egualmente parte del collegio difensivo di Sempio nel 2017, mentre Lovati ha reso separatamente le sue dichiarazioni. Tuttavia, nessuno dei tre legali ha offerto una spiegazione convincente circa le finalità e i motivi della straordinaria intensità comunicativa di quelle 48 ore, una lacuna che acquisisce ulteriore peso investigativo alla luce dell’assenza di qualsiasi circostanza procedurale che potesse renderla comprensibile.
Secondo la ricostruzione della Procura di Brescia, quella raffica di contatti potrebbe rappresentare le tracce di una “trattativa” informale fra le parti, mai formalmente ammessa da alcuno. Tale interpretazione si colloca dentro un quadro accusatorio più ampio, che vede al centro l’ex procuratore aggiunto di Pavia Mario Venditti, iscritto nel registro degli indagati per corruzione in atti giudiziari, e il padre di Andrea Sempio, Giuseppe Sempio, nella duplice veste di presunto corruttore. Secondo l’ipotesi investigativa della Procura bresciana, il padre avrebbe versato una somma compresa fra i 20 e i 30 mila euro allo scopo di ottenere una rapida archiviazione della posizione del figlio, a fronte di una presunta dazione di denaro che avrebbe trovato attestazione in un documento repertato presso l’abitazione dei Sempio: un foglio recante le cifre “20/30” seguita dal simbolo dell’euro, dal nome “Venditti” e dalla dicitura “gip archivia”.
La riapertura dell’inchiesta sul delitto di Chiara Poggi, la giovane uccisa il 13 agosto 2007 nella sua villetta a Garlasco, ha portato alla luce elementi che, nel corso della prima indagine conclusasi nel marzo 2017 con l’archiviazione di Sempio, non erano stati adeguatamente valutati sotto il profilo della possibile corruzione. L’inchiesta originaria, condotta dalla Procura pavese e conclusa in tempi straordinariamente accelerati (tre mesi circa dal gennaio al marzo), aveva determinato l’archiviazione della posizione di Sempio, allora amico del fratello della vittima, mentre proseguiva nei confronti di Alberto Stasi, il fidanzato della ragazza, che sarebbe stato successivamente condannato a sedici anni di reclusione.
Gli sviluppi recenti dell’indagine hanno investito la questione della compatibilità genetica del DNA rinvenuto sulle unghie di Chiara Poggi con il profilo biologico di Sempio. La perizia della genetista forense Denise Albani, nominata dal giudice nell’ambito dell’incidente probatorio, ha confermato la piena concordanza fra l’aplotipo Y individuato sulle unghie della vittima e quello della linea maschile della famiglia Sempio. Questo elemento scientifico, pur non rappresentando una identificazione univoca di un singolo individuo (essendo il DNA Y condiviso all’interno della stessa linea paterna), ha riacceso i sospetti sulla possibile responsabilità di Sempio nel delitto.
In risposta a questa riattivazione delle indagini, i difensori di Sempio hanno sollevato obiezioni e contestazioni alla attendibilità della perizia, introducendo l’ipotesi della cosiddetta contaminazione genetica involontaria: il DNA potrebbe essere stato trasferito al corpo della vittima attraverso il contatto con oggetti precedentemente toccati da Sempio. I magistrati pavesi contrappongono tuttavia un argomento di forte valore scientifico: l’assenza totale del DNA dei familiari di Chiara sulle sue unghie, elemento che suggerirebbe una recente abluzione delle mani della ragazza poco prima del delitto. L’interpretazione degli inquirenti è che la vittima si sia lavata le mani circa prima di incontrare il suo assassino, circostanza che renderebbe impossibile l’ipotesi della semplice contaminazione accidentale.
La complessità del caso emerge in tutte le sue sfaccettature dall’intreccio fra l’inchiesta per omicidio in concorso (nella quale risulta indagato Sempio insieme a ignoti) e l’inchiesta parallela per presunta corruzione condotta dal tribunale di Brescia. La tempistica della prima archiviazione, effettuata in soli tre mesi, unita ai contatti anomali fra gli attori coinvolti nelle settimane precedenti, lasciano spazio a interpretazioni investigative che vanno oltre la mera coincidenza o negligenza procedurale. I magistrati bresciani ritengono di aver individuato, attraverso l’analisi dei tabulati telefonici, la possibile traccia materiale di una comunicazione riservata e non ufficiale fra i rappresentanti dell’autorità giudiziaria pavese e il soggetto interessato, comunicazione volta a coordinare e facilitare il percorso verso l’archiviazione della posizione di quest’ultimo.
I tre avvocati che assistevano Sempio nel 2017 hanno manifestato, in tempi recenti, una certa tensione fra loro circa l’opportunità e le modalità della comunicazione pubblica attorno al caso. Federico Soldani ha criticato aspramente il collega Massimo Lovati, che aveva reso pubbliche dichiarazioni riguardanti i termini economici della difesa e il pagamento di parcelle professionali, considerando tali rivelazioni come inappropriate e compromettenti. La frattura all’interno dello stesso collegio difensivo segnala ulteriormente la delicatezza politico-legale della vicenda, che travalica ormai i confini della semplice disputa giudiziaria per acquisire connotazioni di indagine su possibili disfunzioni dell’amministrazione della giustizia.
I tempi previsti per la conclusione della nuova inchiesta della Procura di Pavia indicano che verso l’inizio del 2026 potrebbe arrivare la richiesta di rinvio a giudizio per Andrea Sempio. Parallelamente, la Procura di Brescia prosegue nelle sue indagini su Mario Venditti, per il quale è stata richiesta una valutazione del Tribunale del Riesame circa i sequestri disposti nei suoi confronti. La complessità dello scenario investigativo, determinata dal sovrapporsi di due diversi filoni procedurali e dalla necessità di coordinare le competenze territoriali fra i due uffici giudiziari, rappresenta una sfida di natura procedurale destinata a caratterizzare i prossimi mesi dell’istruttoria.
Quel che rimane certo è che le 48 ore di gennaio 2017 fra Sempio e gli investigatori pavesi hanno assunto, nella ricostruzione dei magistrati bresciani, il significato di una comunicazione mirata e coordinata, la cui finalità sostanziale non trova giustificazione nelle ordinarie procedure investigative. La mancanza di memoria manifestata da Sapone e dai difensori di Sempio circa i motivi di quei contatti non rappresenta, agli occhi della magistratura inquirente, un elemento di scagionamento, ma anzi un ulteriore indizio della natura informale e potenzialmente non conforme ai doveri di ufficio di quelle comunicazioni. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!
