Scarica l'App NewsRoom.
Non perderti le ULTIME notizie e le ALLERTA METEO in tempo reale.

Scarica GRATIS

Artico, il ghiaccio non si scioglie più, ecco cosa sta davvero accadendo

Studio dell’Università di Exeter documenta rallentamento 55-63% dello scioglimento artico dal 2005, ma ricercatori avvertono: è solo pausa temporanea prima di accelerazione.
Credit © Unsplash

La calotta glaciale dell’Artico, simbolo indiscusso del cambiamento climatico in corso, ha registrato negli ultimi vent’anni un fenomeno che ha sorpreso la comunità scientifica internazionale: il rallentamento significativo del processo di scioglimento. Uno studio appena pubblicato sulla prestigiosa rivista Geophysical Research Letters dall’Università di Exeter ha documentato come dal 2005 al 2024 la perdita di ghiaccio marino artico abbia mostrato una decelerazione compresa tra il 55 e il 63 percento rispetto ai decenni precedenti, configurando quello che i ricercatori definiscono una pausa temporanea del processo di fusione.

Il dottor Mark England, principale autore della ricerca condotta attraverso l’analisi dei dati satellitari raccolti dal 1979 a oggi, sottolinea come questo rallentamento possa apparire contraddittorio in un contesto di progressivo riscaldamento globale causato dalle attività antropiche. La ricerca, concentrata sui dati del mese di settembre quando l’estensione del ghiaccio artico raggiunge il minimo annuale, ha evidenziato come tra il 2005 e il 2024 il ghiaccio sia diminuito di 0,35 milioni di chilometri quadrati nel primo decennio e di 0,29 milioni nel secondo, rappresentando il tasso di perdita più lento registrato dal 1979.

Le cause di questo rallentamento temporaneo sono da ricercare nelle fluttuazioni naturali multi-decennali delle correnti oceaniche di Atlantico e Pacifico, che modificano la quantità di acqua riscaldata che fluisce verso le regioni artiche. Secondo England, questo fenomeno è coerente con le simulazioni generate dai modelli climatici e rappresenta il risultato dell’interazione tra variazioni climatiche naturali e i cambiamenti causati dall’uomo nel lungo termine. L’analisi di migliaia di simulazioni dei modelli climatici ha confermato che eventi simili non sono estremamente rari e possono verificarsi un paio di volte nel corso di un secolo.

La dottoressa Gaëlle Veyssière, fisica e ricercatrice del ghiaccio marino presso il British Antarctic Survey, ha tuttavia messo in guardia dall’interpretare questo rallentamento come un segnale di miglioramento della situazione climatica. Il ghiaccio marino artico rimane considerevolmente inferiore ai livelli degli anni Ottanta e il declino complessivo continua, seppur a ritmo ridotto. La ricercatrice ha precisato che questa pausa non deve essere confusa con un segno di ripresa e non indica che il ghiaccio marino artico stia migliorando o che si stia assistendo a un’inversione delle tendenze climatiche in corso.

I dati storici forniscono un quadro drammatico della perdita di ghiaccio marino artico: dall’inizio degli anni Settanta l’estensione del ghiaccio marino nel periodo di fine estate si è dimezzata, con il riscaldamento globale responsabile di circa due terzi di questo scioglimento mentre il restante terzo è attribuibile alle fluttuazioni naturali del clima. Con un riscaldamento dell’Artico quasi quattro volte superiore alla media globale, dagli anni Ottanta sono andati persi più di diecimila chilometri cubi di ghiaccio marino, una quantità equivalente al volume di quattro miliardi di piscine olimpioniche.

Il settembre 2012 ha rappresentato un momento cruciale nella storia della misurazione del ghiaccio artico, quando l’estensione si è ridotta al minimo storico di 3,41 milioni di chilometri quadrati, alimentando le prime speculazioni scientifiche sulla possibilità di vedere presto l’Artico completamente privo di ghiaccio durante la stagione estiva. Questo evento ha catalizzato l’attenzione della comunità internazionale sui meccanismi di amplificazione polare, fenomeno per cui le regioni artiche si riscaldano più rapidamente del resto del pianeta a causa del feedback positivo innescato dalla perdita di ghiaccio.

Secondo le proiezioni elaborate dai ricercatori, il rallentamento dello scioglimento ha il cinquanta percento di probabilità di durare per altri cinque anni e il venticinque percento di continuare per un decennio. Tuttavia, quando questo periodo di pausa si concluderà, la perdita di ghiaccio artico potrebbe essere molto più rapida della media storica, con i modelli climatici che indicano un possibile raddoppio del ritmo di fusione. Migliaia di simulazioni analizzate nella ricerca rivelano che la perdita di ghiaccio a settembre potrebbe aumentare a un ritmo superiore a 500.000 chilometri quadrati per decennio dopo periodi prolungati di perdita minima.

Per spiegare la natura temporanea di questo fenomeno, England ha utilizzato l’analogia proposta dallo scienziato del clima Ed Hawkins, paragonando il processo a una palla che rimbalza mentre scende da una collina, dove la collina rappresenta il cambiamento climatico. La palla continua il suo percorso discendente, ma quando incontra ostacoli può temporaneamente volare verso l’alto o di lato, non sembrando affatto che stia viaggiando verso il basso. Nonostante la traiettoria non sia sempre regolare, la palla raggiungerà inevitabilmente il fondo della collina, così come il ghiaccio artico continuerà il suo processo di scioglimento nel lungo termine.

Il meccanismo dell’amplificazione artica rimane il principale responsabile dell’accelerazione del riscaldamento polare. Quando il ghiaccio marino si riduce, diminuisce l’albedo della superficie, ossia la capacità di riflettere la radiazione solare. Il ghiaccio riflette circa il sessanta-settanta percento della radiazione solare, mentre la superficie oceanica libera ne riflette solo il cinque percento, assorbendo il restante novantacinque percento del calore solare. Questo feedback positivo crea un circolo vizioso che amplifica il riscaldamento: meno ghiaccio corrisponde a più calore assorbito, temperature più elevate e ulteriore fusione.

La ricerca sottolinea l’importanza di comunicare correttamente il fenomeno per evitare interpretazioni errate che potrebbero essere sfruttate per minare la fiducia nella scienza climatica. Il rallentamento temporaneo non segnala la fine del cambiamento climatico né riduce l’urgenza di ridurre le emissioni di gas serra per raggiungere gli obiettivi climatici globali. Senza il riscaldamento causato dalle attività umane, il ghiaccio marino sarebbe probabilmente aumentato durante questo periodo di variabilità naturale.

Le implicazioni di questo studio si estendono oltre la semplice comprensione dei processi di scioglimento artico. La perdita di ghiaccio marino influenza la circolazione oceanica globale, con particolare impatto sulla Circolazione Meridionale di Rovesciamento Atlantico (AMOC), di cui fa parte la Corrente del Golfo. Lo scioglimento dei ghiacci groenlandesi e artici rilascia acqua dolce nell’oceano, modificando la densità delle masse d’acqua e potenzialmente alterando i processi di convezione che guidano queste correnti fondamentali per la redistribuzione del calore globale.

I ricercatori prevedono che periodi simili a quello attuale si verificheranno più frequentemente in futuro a causa delle variazioni naturali del clima che si sovrappongono al trend di riscaldamento antropico. Questo scenario richiede una comprensione più sofisticata delle interazioni tra variabilità naturale e forzanti antropici, elementi essenziali per migliorare le proiezioni climatiche e sviluppare strategie di adattamento efficaci. La complessità del sistema climatico artico, caratterizzato da teleconnessioni con oscillazioni oceaniche come l’Oscillazione Pacifica Decadale e l’Oscillazione Nord Atlantica, rende necessario un approccio multidisciplinare per comprendere appieno i meccanismi in gioco.

In conclusione, sebbene il rallentamento dello scioglimento del ghiaccio artico possa sembrare una notizia incoraggiante, rappresenta solo una tregua temporanea in un processo di trasformazione climatica a lungo termine. La ricerca dell’Università di Exeter conferma che l’Artico rimane uno dei più sensibili indicatori del cambiamento climatico globale e che la sua evoluzione continuerà a essere determinata principalmente dalle emissioni antropiche di gas serra, nonostante le fluttuazioni temporanee indotte dalla variabilità naturale del sistema climatico.Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!