Donald Trump ha firmato venerdì 6 settembre il duecentesimo ordine esecutivo del suo secondo mandato presidenziale, segnando una svolta simbolica nella politica militare americana con la rinominazione del Dipartimento della Difesa in Dipartimento della Guerra. La decisione, annunciata nello Studio Ovale della Casa Bianca, ripristina una denominazione abbandonata nel 1947 e rappresenta una delle trasformazioni più controverse dell’amministrazione Trump.
L’ordine esecutivo autorizza l’utilizzo del Dipartimento della Guerra come titolo per l’attuale Dipartimento della Difesa, mentre il segretario Pete Hegseth assume ufficialmente il ruolo di segretario della Guerra. Nel giro di pochi minuti dalla firma, il sito web del Pentagono è stato aggiornato dal dominio defense.gov a war.gov, mentre operai specializzati hanno iniziato la sostituzione delle insegne presso il quartier generale di Arlington, Virginia, sotto gli occhi delle telecamere nazionali.
Le motivazioni dietro questa scelta affondano nella visione geopolitica di Trump, che ha dichiarato durante la cerimonia di firma: “Penso che invii un messaggio di vittoria e di forza. Siamo eccezionalmente forti, molto più potenti di quanto la maggior parte delle persone possa comprendere”. Il presidente ha criticato l’attuale denominazione come troppo politicamente corretta, sostenendo che “la difesa è troppo difensiva” e che gli Stati Uniti “vogliono essere offensivi oltre che difensivi quando necessario”.
La decisione appare particolarmente significativa se contestualizzata nel quadro delle recenti tensioni internazionali. Il 3 settembre, tre giorni prima della firma dell’ordine esecutivo, Xi Jinping aveva ospitato una delle più imponenti parate militari della storia cinese, commemorando l’ottantesimo anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale con la presenza di Vladimir Putin e Kim Jong Un. L’evento, trasmesso globalmente, aveva messo in mostra armamenti avanzati mai esposti pubblicamente, inclusi missili ipersonici e droni sottomarini, in quella che molti analisti hanno interpretato come una sfida diretta all’egemonia americana.
Secretary of Defense letters coming down at the Pentagon. pic.twitter.com/MTofWOsNpM
— Acyn (@Acyn) September 5, 2025
Trump aveva reagito ambivalentemente alla parata cinese, inizialmente accusando i tre leader di “cospirare contro gli Stati Uniti” sui social media, per poi definire l’evento “molto impressionante” e ammettere che “stavano sperando che io stessi guardando, e io stavo guardando”. La rinominazione del Pentagono appare quindi come una risposta simbolica a questa dimostrazione di forza, nel tentativo di riaffermare la determinazione militare americana di fronte alle crescenti sfide geopolitiche.
Il ritorno storico al nome Dipartimento della Guerra riporta gli Stati Uniti alla denominazione utilizzata dal 1789 al 1947, voluta dal primo presidente George Washington. Per centocinquantotto anni, questa istituzione ha supervisionato le operazioni militari americane attraverso conflitti che hanno definito la nazione, dalle guerre contro le tribù native americane alle due guerre mondiali. Il presidente Harry Truman aveva cambiato il nome nel 1947 con il National Security Act, creando inizialmente il National Military Establishment per poi trasformarlo definitivamente nel Dipartimento della Difesa nel 1949, unificando sotto un’unica autorità civile l’Esercito, la Marina e la neonata Aeronautica Militare.
La modifica di Truman era stata motivata dalla necessità di razionalizzare la struttura militare post-bellica e di proiettare un’immagine meno aggressiva durante l’emergere della Guerra Fredda, quando gli Stati Uniti erano l’unica potenza nucleare mondiale. Curiosamente, il National Military Establishment aveva dovuto essere rapidamente rinominato perché la sua abbreviazione “NME” suonava troppo simile alla parola inglese “enemy” (nemico), creando imbarazzo nelle comunicazioni ufficiali.
Pete Hegseth, il nuovo segretario della Guerra, ha accolto con entusiasmo il cambiamento, dichiarando che “le parole contano” e che questa denominazione aiuterà a “ripristinare un’etica guerriera” nelle forze armate. Quarantaquattrenne veterano della Guardia Nazionale del Minnesota con esperienza in Iraq, Afghanistan e Guantanamo Bay, Hegseth era precedentemente noto come conduttore del programma “Fox & Friends” prima della sua conferma senatoriale avvenuta con il voto decisivo del vicepresidente J.D. Vance.
Hegseth ha immediatamente implementato il nuovo titolo nei suoi profili social e nella comunicazione ufficiale, mentre cartelli con la scritta “Ufficio del Segretario della Guerra” sono apparsi presso i suoi uffici nel Pentagono. Durante la cerimonia di firma, ha sottolineato che “combatteremo per vincere, non per perdere” e che le forze armate americane “andranno all’offensiva, non solo in difesa”, provocatoriamente aggiungendo che gli Stati Uniti “non hanno vinto una guerra dalla” Seconda Guerra Mondiale.
La decisione si inserisce nella più ampia filosofia “Peace Through Strength” dell’amministrazione Trump, che richiama la dottrina di Ronald Reagan secondo cui la potenza militare garantisce la pace. Un documento della Casa Bianca ha citato il primo discorso annuale di George Washington al Congresso del 1790, quando il primo presidente dichiarò che “essere preparati alla guerra è uno dei mezzi più efficaci per preservare la pace”. Trump ha ripetutamente sottolineato come durante il suo primo mandato gli Stati Uniti non abbiano iniziato nuovi conflitti, pur mantenendo una retorica militare aggressiva.
Sebbene l’ordine esecutivo non cambi formalmente il nome del dipartimento, che richiederebbe l’approvazione del Congresso, esso autorizza l’utilizzo del “Dipartimento della Guerra” come titolo secondario in tutte le comunicazioni ufficiali. Trump ha espresso incertezza sulla necessità dell’approvazione congressuale, affermando “Non lo so, ma lo scopriremo”, mentre senatori repubblicani come Rick Scott della Florida e Mike Lee dello Utah hanno già presentato legislazione per facilitare il cambiamento permanente.
Le reazioni politiche sono state polarizzate lungo le linee partitiche. Il senatore democratico Andy Kim ha definito l’iniziativa “infantile”, sostenendo che “gli americani vogliono prevenire le guerre, non celebrarle”. Anche alcuni repubblicani hanno espresso perplessità: il senatore Mitch McConnell del Kentucky, veterano delle questioni di difesa, ha criticato la proposta su X scrivendo che “se lo chiamiamo Dipartimento della Guerra, faremmo meglio a equipaggiare l’esercito per prevenire e vincere effettivamente le guerre”.
I costi operativi del cambiamento potrebbero risultare significativi, con stime che oscillano attorno al miliardo di dollari per aggiornare loghi, uniformi, indirizzi email, documentazione ufficiale e segnaletica su oltre settecentomila strutture in tutto il mondo. La Casa Bianca non ha ancora fornito dettagli specifici sui finanziamenti necessari, ma Trump ha minimizzato le preoccupazioni dichiarando “Sappiamo come rinominare senza dover impazzire”.
Funzionari del Pentagono hanno espresso frustrazione privata per il cambiamento, secondo quanto riportato da Politico, con alcuni dipendenti che si sono trovati a osservare la sostituzione dei cartelli negli uffici di Hegseth mentre più di una dozzina di colleghi assisteva al “cambiamento storico”. L’implementazione immediata del rebranding ha sorpreso anche veterani dell’istituzione, abituati a processi di cambiamento più graduali e consultivi.
La rinominazione rappresenta un elemento centrale della più ampia trasformazione istituzionale promossa da Trump, che include lo smantellamento di programmi considerati “woke” nelle forze armate, la ridefinizione delle priorità strategiche con la Cina al primo posto, e la pressione sugli alleati NATO per aumentare la spesa militare dal 2 al 5 percento del PIL. Un memo di “Interim National Defense Strategic Guidance” pubblicato da Hegseth ha già ridefinito le priorità del Pentagono, posizionando la Cina e la difesa del territorio nazionale come obiettivi primari.
L’iniziativa si colloca inoltre nel contesto dei fallimenti diplomatici dell’amministrazione Trump nei primi mesi del secondo mandato, con i tentativi di mediazione nei conflitti in Ucraina e Gaza che non hanno prodotto risultati tangibili. Trump stesso ha ammesso che pensava “sarebbe stato più facile” porre fine al conflitto russo-ucraino, nonostante le sue promesse elettorali di risolverlo rapidamente.
La decisione ha attirato l’attenzione internazionale per il suo simbolismo geopolitico. Commentatori conservatori come Glenn Beck hanno sostenuto che “i nomi contano” e che “un Dipartimento della Guerra riconosce la verità: l’esercito esiste per combattere e, se necessario, per vincere decisamente”. Al contrario, critici democratici hanno evidenziato l’ironia di una mossa così aggressiva da parte di un presidente che aspira al Premio Nobel per la Pace e ha promesso di porre fine alle guerre.
Il contesto internazionale amplifica l’impatto della decisione. Mentre la Cina intensifica le sue esercitazioni militari nel Mar Cinese Meridionale e la Russia continua le operazioni in Ucraina, il ripristino del nome “Dipartimento della Guerra” invia un segnale di determinazione americana che potrebbe influenzare le dinamiche diplomatiche globali. Alleati europei e partner asiatici stanno valutando attentamente le implicazioni di questa svolta retorica sulla politica di sicurezza americana.
La trasformazione del Pentagono in Dipartimento della Guerra rappresenta quindi molto più di un semplice cambiamento amministrativo: costituisce una dichiarazione di intenti che riflette la visione dell’amministrazione Trump sulla proiezione del potere americano nel ventunesimo secolo, in un momento di crescente competizione tra grandi potenze e di ridefinizione degli equilibri geopolitici mondiali.Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!