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Meredith Kercher, l’ex pm: “Non è stata fatta giustizia. Troppe pressioni”

L’ex pm Giuliano Mignini ammette che non è stata fatta giustizia per Meredith Kercher e critica l’interrogatorio di Amanda Knox privo di garanzie difensive, mentre fattori fortuiti processuali cambiarono l’esito del caso.

A diciotto anni dall’omicidio di Meredith Kercher, la studentessa inglese trovata morta nel suo appartamento di via della Pergola a Perugia nella notte tra il primo e il 2 novembre 2007, Giuliano Mignini, il magistrato che coordinò le indagini, torna a parlare di una vicenda giudiziaria che non ha mai smesso di interrogare l’opinione pubblica italiana e internazionale. In un’intervista rilasciata a La Stampa, l’ex pubblico ministero, ora in pensione, ammette con franchezza che la giustizia, in questo caso, non è stata fatta.

Le dichiarazioni di Mignini si concentrano su alcuni aspetti cruciali del processo che hanno segnato profondamente l’esito finale della vicenda. Al centro delle sue riflessioni c’è la gestione dell’interrogatorio di Amanda Knox, la studentessa americana coinquilina della vittima, che venne ascoltata dalla polizia nella notte tra il 5 e il 6 novembre 2007. Secondo Mignini, durante quell’interrogatorio non furono rispettate pienamente le garanzie di difesa previste dalla legge, come il diritto a restare in silenzio o a farsi assistere da un legale. Un’omissione che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo riconoscerà anni dopo, il 24 gennaio 2019, condannando l’Italia a risarcire Amanda Knox con oltre diciottomila euro per la violazione del diritto alla difesa e per l’assenza di un interprete professionale durante quell’interrogatorio.

Knox venne ascoltata come persona informata sui fatti, ma di fatto si trovava già in una posizione di indagata. Durante quelle ore concitate, la giovane americana accusò Patrick Lumumba, proprietario di un locale dove lavorava, di essere l’assassino di Meredith. Un’accusa che si rivelò falsa e che le costò una condanna definitiva a tre anni per calunnia. La stessa Knox ha sempre sostenuto di essere stata sottoposta a pressioni psicologiche intollerabili, di aver subito schiaffi sulla testa e di essere stata interrogata per cinquantatré ore complessive in cinque giorni senza assistenza legale.

I fattori fortuiti che cambiarono il corso del processo

Nell’intervista, Mignini non nasconde il suo rammarico per come si sono sviluppati gli eventi processuali. Ammette di non essere stato del tutto sereno nel momento in cui dovette chiedere la condanna di Amanda Knox, una ragazza di appena vent’anni. Da padre, confessa, si trovò in difficoltà davanti a quella situazione. Ma soprattutto, l’ex magistrato sottolinea come diversi fattori fortuiti abbiano giocato a favore della Knox e di Raffaele Sollecito, l’allora fidanzato di Amanda, anch’egli inizialmente condannato e poi assolto.

Tra questi fattori, Mignini indica in particolare la scelta del rito abbreviato da parte di Rudy Guede, il cittadino ivoriano che è stato l’unico condannato in via definitiva per l’omicidio di Meredith a sedici anni di reclusione, pena ormai interamente scontata. Quella scelta processuale determinò l’incompatibilità del primo collegio giudicante, obbligando a formarne uno nuovo e separato. Secondo Mignini, se così non fosse stato, la condanna sarebbe stata certa anche per Knox e Sollecito. L’ex pubblico ministero definisce l’assoluzione finale dei due imputati una sentenza eccezionale, richiamando l’annullamento senza rinvio deciso dalla Cassazione, caso raro nella giurisprudenza italiana.

Per Mignini, la presenza della Knox e quasi certamente di Sollecito sulla scena del delitto resta accertata, anche se non fu mai chiarito quale ruolo abbiano avuto realmente. Il magistrato è convinto che Guede non agì da solo. Questa convinzione si basa sulle prove raccolte durante le indagini, come il DNA di Sollecito trovato sul gancetto del reggiseno di Meredith, repertato dalla polizia scientifica a distanza di settimane dal delitto, e altre tracce che collocavano i due giovani nell’abitazione quella notte. Tuttavia, la perizia disposta in appello ritenè non attendibili quegli accertamenti tecnici, non escludendo la possibilità di contaminazioni dovute alle modalità di raccolta delle prove.

Gli errori giudiziari e le pressioni internazionali

Tra gli errori più significativi del processo, Mignini indica anche la valutazione dei testimoni. Il clochard Antonio Curatolo, che affermò di aver visto Amanda e Raffaele insieme in piazza Grimana, a poca distanza dalla casa del delitto, la sera di Halloween del 2007, non venne ritenuto attendibile dai giudici d’appello. Curatolo sosteneva di aver notato nel pomeriggio del primo novembre un viavai di carabinieri e polizia nella zona, ma il corpo di Meredith venne scoperto solo la mattina del 2 novembre. Le difese riuscirono a far ascoltare testimoni che smentivano la presenza di navette in piazza Grimana quella sera, elemento utilizzato da Curatolo per circostanziare il suo ricordo.

Mignini critica anche la conclusione secondo cui l’effrazione della finestra dell’abitazione fosse reale. Secondo il magistrato, quella rottura della finestra era in realtà un tentativo di depistaggio per favorire qualcuno che stava nella casa, cioè Amanda Knox. Un elemento che l’accusa ha sempre considerato una prova della simulazione di un furto per sviare le indagini.

L’ex pubblico ministero descrive anche il clima che accompagnò il caso, segnato da pregiudizi reciproci e forti pressioni internazionali. Gli italiani, secondo Mignini, tendevano a giudicare l’americana come una poco di buono, gli inglesi avevano pregiudizi nei confronti di italiani e americani, e gli statunitensi li avevano sugli europei. Il magistrato racconta di essere stato definito inquisitore dalla stampa americana e di aver ricevuto anche lettere di minaccia, alcune provenienti da un giudice dello Stato di Washington che lo invitava a desistere dall’accusare Amanda Knox. Ricorda inoltre l’intervento del Dipartimento di Stato americano, che seguì con attenzione il caso sin dal novembre 2007, e le dichiarazioni pubbliche di Donald Trump, che lo attaccò definendolo un maniaco e invitando tutti a boicottare l’Italia se Amanda Knox non fosse stata liberata.

Il segretario di Stato Hillary Clinton si dichiarò pronta a incontrare chiunque avesse dubbi sulla gestione del caso e a verificare se fosse stato condizionato da sentimenti antiamericani in Italia. Pressioni che, secondo alcuni osservatori, avrebbero pesato sull’esito finale del processo, anche se formalmente nessun intervento diplomatico diretto è mai stato documentato.

Un nuovo nome e la vicenda che non si chiude

Negli ultimi mesi, secondo quanto riferito da Mignini, è emerso un possibile nuovo nome, mai considerato prima, segnalato da una fonte ritenuta attendibile. Si tratterebbe di una persona che lasciò l’Italia pochi giorni dopo il delitto. L’ex magistrato ha trasmesso la segnalazione alla Procura di Perugia, che però non ha aperto alcun nuovo fascicolo riguardante l’omicidio Kercher. Le indagini rimangono quindi chiuse e condensate nelle sentenze passate in giudicato, che vedono Rudy Guede unico condannato.

Mignini confessa che se avesse avuto questi elementi all’epoca, le indagini avrebbero preso un’altra direzione, aggiungendo che molte persone, per anni, avrebbero taciuto per paura. Ma a distanza di quasi due decenni, il magistrato ammette di provare ancora un senso di incompiutezza. Ci furono errori giudiziari, errori a favore degli imputati, confessa. E conclude con amarezza affermando che questa è una storia che non gli va giù, perché non c’è stata giustizia.

Nel 2022 Mignini ha pubblicato un libro dal titolo Caso Meredith Kercher. Una vicenda giudiziaria tra due continenti, in cui ripercorre la vicenda dalla sua prospettiva, soffermandosi su atti e persone. Nel volume, l’ex magistrato scrive che Meredith è stata brutalmente uccisa, lontana da casa e dai suoi familiari, che si sono distinti per l’assoluto rispetto della giustizia italiana e per la grandissima dignità con cui hanno sopportato il loro dolore, ma non hanno ottenuto giustizia e non la otterranno più. E questo è il pensiero che continuamente lo assilla.

Paradossalmente, dopo la conclusione del processo e la definitiva assoluzione di Amanda Knox dall’accusa di omicidio, tra il magistrato e l’ex imputata si è sviluppato un rapporto epistolare che ha portato persino a un incontro nel giugno 2022 nei pressi di Perugia, alla presenza del cappellano del carcere, amico di entrambi. Mignini racconta che l’incontro è stato commovente e che si sono abbracciati. Oggi il magistrato ammette di conoscere Amanda e di fidarsi di lei, chiedendosi come potrebbe vederla capace di fare qualcosa di male. Ma aggiunge subito dopo che i processi non si possono fare con i sentimenti. Resta tra loro una diversità di vedute insuperabile sul piano processuale. Lei ritiene che si sia trattato di un errore giudiziario, mentre lui non accetta questo giudizio.

Amanda Knox, da parte sua, ha sempre proclamato la propria innocenza e ha recentemente prodotto una miniserie televisiva per Disney+ dal titolo The Twisted Tale of Amanda Knox, in cui racconta la vicenda dal suo punto di vista. La famiglia di Meredith Kercher ha reagito con durezza, accusando Knox di voler rimescolare le carte e di trarre profitto dalla tragedia, mentre il legale dei Kercher ha definito la serie una rappresentazione indegna e sensazionalistica. Anche Mignini ha criticato la miniserie, pur riconoscendo la bravura degli attori, affermando che stravolge completamente la realtà delle indagini e processuale.

A diciotto anni di distanza, l’omicidio di Meredith Kercher continua a rappresentare una ferita aperta per tutti i protagonisti di questa storia. Una vicenda giudiziaria che ha attraversato due continenti, generato polemiche infinite e lasciato irrisolte domande fondamentali sulla verità e sulla giustizia. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!