Una vicenda giudiziaria dal carattere paradossale ha imposto all’Agenzia delle Entrate-Riscossione, l’ente pubblico che ordinariamente procede al recupero coattivo dei crediti fiscali, di subire a sua volta un pignoramento esecutivo disposto dall’ufficiale giudiziario presso la Corte d’Appello di Roma per complessivi 24 milioni di euro, a seguito di un contenzioso ormai decennale con il Comune di Ciampino. La somma effettiva del debito residuo ammonta a 5 milioni e 643 mila euro, ma l’importo è stato portato a 8 milioni di euro secondo i meccanismi di maggiorazione previsti dalla normativa processuale in materia di pignoramento.
La cifra complessiva ha raggiunto i 24 milioni di euro a causa della modalità di esecuzione del pignoramento: l’atto è stato notificato contemporaneamente su tre diversi istituti di credito di cui si serve l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, e tutti i tentativi sono andati a buon fine, determinando una triplicazione dell’importo vincolato. Questa circostanza rappresenta un evento inedito nella storia della riscossione tributaria italiana, poiché per la prima volta l’ente statale che normalmente effettua pignoramenti nei confronti di cittadini e imprese si ritrova nella posizione di soggetto debitore assoggettato alle medesime procedure esecutive.
Le origini del contenzioso: inadempimenti nella riscossione dei tributi comunali
La querelle legale affonda le radici nel 2014, quando il Comune di Ciampino, assistito dal professor Enrico Michetti, decise di citare in giudizio Equitalia Sud, all’epoca concessionaria della riscossione coattiva dei tributi municipali, per inadempienze contrattuali relative alla gestione del servizio di riscossione coattiva dei tributi, delle multe, delle contribuzioni per le mense scolastiche e del servizio idrico. La tesi difensiva sostenuta da Michetti si fondava su un Regio Decreto del 1933 che consentiva agli enti locali di rivolgersi direttamente alla Corte dei Conti per le controversie riguardanti la responsabilità amministrativa dei concessionari della riscossione.
Secondo le contestazioni mosse dal Comune, Equitalia aveva omesso parzialmente di procedere alla riscossione delle somme dovute, violando la convenzione stipulata il 10 luglio 2008. L’ente municipale quantificò la richiesta di risarcimento del danno in 11 milioni e 898 mila euro. Nel corso degli anni il Comune aveva inutilmente sollecitato il Concessionario a procedere nella riscossione dei ruoli affidati, lamentando in particolare la totale assenza di chiarezza e la mancata partecipazione di documenti che giustificassero le quote dichiarate inesigibili. La situazione si aggravava quando la Corte dei Conti, in sede di controllo, chiedeva al Comune chiarimenti in ordine alla gestione dei residui riferiti proprio ai ruoli affidati alla concessionaria.
Il percorso giudiziario: tre gradi di giudizio e la condanna definitiva
Nel 2015 la Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale per il Lazio, accolse il ricorso del Comune di Ciampino con la sentenza numero 255, condannando Equitalia Sud al pagamento di 12 milioni e 91 mila euro. La società concessionaria presentò appello contro la decisione di primo grado e nel 2018 la Corte dei Conti, Sezioni Giurisdizionali centrali di Appello, respinse le eccezioni sollevate ma rideterminò l’importo del risarcimento danni in 9 milioni e 793 mila euro. Tra i motivi di appello respinti figurava la violazione del decreto legislativo numero 112 del 1999 in tema di comunicazioni di inesigibilità e procedura di discarico delle quote iscritte a ruolo: la Corte stabilì che la previsione del termine per la comunicazione da parte del concessionario dell’inesigibilità del credito non comportava l’obbligo per l’amministrazione di attendere la scadenza del detto termine per chiedere conto al concessionario medesimo della gestione.
A seguito dello scioglimento di Equitalia Sud, tutti i rapporti giuridici in essere passarono all’Agenzia delle Entrate-Riscossione, che propose un ulteriore ricorso per revocazione nel 2019, anch’esso respinto dalla Corte dei Conti. La Corte di Cassazione confermò nel 2020 la sentenza impugnata, rendendola definitivamente passata in giudicato. Con la sentenza numero 5595 del 28 febbraio 2020, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno stabilito definitivamente che la Corte dei Conti ha giurisdizione sulle controversie tra Comuni e agenti della riscossione riguardanti la responsabilità per danni patrimoniali causati da inadempienze nella gestione dei crediti tributari. La giurisdizione contabile ha infatti natura tendenzialmente generale e si estende alla verifica dei rapporti di dare ed avere tra agente della riscossione ed ente locale titolare del credito da riscuotere, nonché al risultato contabile finale di detti rapporti.
Il mancato pagamento integrale e l’esecuzione forzata
Nonostante la sentenza definitiva, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione ha versato al Comune di Ciampino soltanto un pagamento parziale pari a 4 milioni e 10 mila euro, lasciando un debito residuo di 5 milioni e 783 mila euro. Questo pagamento incompleto ha indotto il Comune a conferire nel 2019 un nuovo mandato all’avvocato Michetti per notificare un atto di precetto da 5 milioni e 847 mila euro. L’atto di precetto costituisce un’intimazione formale di pagare il debito, con l’avvertimento che in caso di mancato adempimento sarebbe scattato il pignoramento.
L’Agenzia presentò opposizione davanti al Tribunale di Roma, che nel marzo 2024 rideterminò l’importo in 5 milioni e 162 mila euro. La sentenza del Tribunale fu a sua volta impugnata in Corte d’Appello, che ha fissato la prima udienza per il 2 aprile 2027, rigettando però la richiesta cautelare di sospensione della provvisoria esecutorietà. Nel frattempo l’Agenzia delle Entrate-Riscossione versò solamente 11.978 euro, aprendo così la strada al pignoramento effettivo notificato dall’ufficiale giudiziario. L’Agenzia ha presentato un’istanza per la riduzione del pignoramento, fissata per martedì 11 novembre, ma l’importo del debito di 5 milioni e 643 mila euro rimane comunque dovuto in quanto stabilito da una sentenza della Corte dei Conti passata in giudicato cinque anni fa.
Il meccanismo di maggiorazione nel pignoramento presso terzi
La vicenda assume una rilevanza particolare sotto il profilo giuridico e istituzionale, evidenziando come anche gli enti pubblici preposti alla riscossione coattiva debbano sottostare agli stessi meccanismi procedurali che applicano quotidianamente nei confronti dei contribuenti privati. La normativa sul pignoramento presso terzi prevede infatti che il terzo pignorato sia soggetto agli obblighi del custode relativamente alle somme dovute, nei limiti dell’importo del credito precettato aumentato secondo scaglioni progressivi. Per crediti superiori a 3.200 euro, come nel caso in esame, l’incremento è pari alla metà della somma precettata. Tale meccanismo di maggiorazione è stato introdotto per garantire la capienza delle spese processuali e degli accessori in sede di assegnazione delle somme pignorate.
L’articolo 546 del codice di procedura civile, modificato dal decreto legge numero 19 del 2024 convertito con la legge numero 56 del 2024, stabilisce che dal giorno in cui gli è notificato l’atto di pignoramento il terzo è soggetto agli obblighi che la legge impone al custode relativamente alle cose e alle somme da lui dovute, nei limiti dell’importo del credito precettato aumentato di 1.000 euro per i crediti fino a 1.100 euro, di 1.600 euro per i crediti da 1.100,01 euro fino a 3.200 euro e della metà per i crediti superiori a 3.200 euro. Prima della riforma, la previgente formulazione prevedeva che, qualunque fosse l’importo precettato, il terzo risultasse sempre obbligato per tale importo aumentato della metà.
Il precedente giurisprudenziale e le sue implicazioni per gli enti locali
Il caso del Comune di Ciampino ha costituito un precedente giurisprudenziale di rilevanza nazionale, dimostrando che gli enti locali hanno la possibilità di agire direttamente contro i concessionari della riscossione qualora vengano accertate inadempienze contrattuali nella gestione dei tributi affidati. La tesi del professor Michetti, confermata in tutti i gradi di giudizio fino alla Cassazione, ha infatti aperto la strada ad azioni di risarcimento da parte di altri comuni che si trovino in situazioni analoghe di inadempienza da parte dell’agente della riscossione. Questa pronuncia ha consolidato quello che è stato definito il Lodo contabile Michetti, consentendo agli enti pubblici che hanno subito inadempienze nella riscossione dei tributi di percorrere con successo la medesima strada giudiziale.
La giurisdizione della Corte dei Conti in questa materia si fonda sull’articolo 103 della Costituzione, che attribuisce alla magistratura contabile competenza generale in materia di contabilità pubblica. Tale competenza non riguarda solo fattispecie illecite che comportano un danno erariale in senso proprio, ma anche la corretta gestione del denaro pubblico, che viene affidato agli agenti contabili soprattutto per le finalità previste dalla legge e comunque per apportare benefici apprezzabili alla collettività. La Corte Costituzionale ha più volte ribadito che il pubblico denaro proveniente dalla generalità dei contribuenti e destinato al soddisfacimento dei pubblici bisogni deve essere assoggettato alla garanzia costituzionale della correttezza della sua gestione, garanzia che si attua con lo strumento del rendiconto giudiziale.
Il paradosso istituzionale e le prospettive future
Nel contesto attuale, mentre l’Agenzia delle Entrate-Riscossione si trova ad affrontare questa inedita posizione di debitrice sottoposta a esecuzione forzata, il legislatore sta introducendo nuove norme che potenziano ulteriormente gli strumenti di riscossione a disposizione dell’ente. Il disegno di Legge di Bilancio 2026 prevede infatti l’estensione del patrimonio informativo dell’Agenzia, che potrà accedere ai dati relativi ai corrispettivi delle fatture elettroniche al fine di consentire pignoramenti più mirati ed efficaci. La norma non sarà immediatamente operativa, ma sarà necessario un altro provvedimento dell’Agenzia delle Entrate per definirne i criteri, da emanare entro tre mesi dalla sua entrata in vigore.
Parallelamente, una recente sentenza della Cassazione numero 28520 del 27 ottobre 2025 ha chiarito che dopo la notifica del pignoramento fiscale le banche sono obbligate a versare all’Agenzia non solo le somme presenti sul conto al momento della notifica, ma anche tutti gli accrediti successivi per un periodo di sessanta giorni. Secondo la Terza Sezione Civile della Suprema Corte, l’istituto non ha margini discrezionali e in base all’articolo 546 del codice di procedura civile è obbligato a custodire e poi trasferire al Fisco tutte le somme transitate sul conto entro i sessanta giorni. In pratica, per quel lasso di tempo, il conto corrente non appartiene più realmente al titolare, ma si trasforma in una stazione di passaggio obbligata verso le casse pubbliche.
La vicenda del pignoramento subìto dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione evidenzia dunque un paradosso istituzionale: l’ente che quotidianamente applica procedure esecutive nei confronti di cittadini e imprese si trova a sua volta sottoposto agli stessi meccanismi processuali, dimostrando che il principio di legalità e la tutela giurisdizionale valgono indistintamente per tutti i soggetti dell’ordinamento, pubblici e privati. L’udienza fissata per martedì 11 novembre per l’istanza di riduzione del pignoramento costituirà un passaggio procedurale rilevante, ma l’esistenza di una sentenza passata in giudicato rende ormai certo l’obbligo dell’Agenzia di adempiere integralmente al pagamento del debito residuo nei confronti del Comune di Ciampino, chiudendo così un contenzioso che ha attraversato un intero decennio e tre gradi di giudizio. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!
