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Riforma della Giustizia, Separazione delle Carriere: l’Europa già lo fa

Dalla Germania alla Spagna, dal Portogallo alla Svezia: L’Europa (ad eccezione di Italia e Grecia) ha già carriere separate.
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Separare chi accusa da chi giudica non è un tecnicismo. È la condizione prima perché un processo sia davvero equo, perché il cittadino si trovi davanti a un giudice terzo e non a un sistema in cui accusa e giudizio condividono la stessa carriera, le stesse logiche interne e le stesse valutazioni di merito.
È un principio semplice, liberale, persino ovvio nei Paesi che hanno costruito la democrazia sulla divisione dei poteri.

E infatti, in Europa, quasi ovunque le carriere di giudici e pubblici ministeri sono nettamente separate. Solo pochi ordinamenti – Italia e Grecia, in particolare – mantenevano fino ad oggi il vecchio modello “unitario”, dove il pubblico ministero è un magistrato come il giudice, appartenente allo stesso corpo, con la possibilità di passare da una funzione all’altra.

Questa anomalia sta finalmente per finire. Il 30 ottobre 2025, il Parlamento italiano ha approvato in via definitiva la riforma costituzionale della giustizia voluta dal governo Meloni, che introduce la separazione delle carriere, istituisce due distinti Consigli Superiori (uno per la magistratura giudicante e uno per quella requirente) e vieta il passaggio da una funzione all’altra.
Una riforma attesa da decenni, che ora si avvia verso il referendum confermativo previsto per la primavera 2026. “Non è una vendetta contro nessuno, ma un atto di giustizia verso i cittadini”, ha dichiarato la premier, rivendicando il diritto di ogni imputato a essere giudicato da un magistrato davvero indipendente, non da un collega dell’accusa.

L’Europa parla chiaro

Basta guardare la mappa per capire quanto l’Italia, fino a ieri, fosse un’eccezione. In Germania, le carriere sono rigidamente separate: i pubblici ministeri (Staatsanwälte) sono funzionari del potere esecutivo, sottoposti all’autorità dei ministri della Giustizia dei Länder e del governo federale. Proprio per questo, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha escluso i PM tedeschi dall’emissione dei mandati d’arresto europei, rilevando che – pur non essendo giudici – non possono considerarsi pienamente indipendenti.

Anche in Austria il pubblico ministero risponde al Ministro della Giustizia; lo stesso vale in Repubblica Ceca, Estonia e Cipro, dove la procura è parte integrante dell’amministrazione statale.

In Francia, la situazione è più sfumata: giudici e PM appartengono entrambi alla “magistrature”, ma le loro carriere sono separate e il pubblico ministero – il cosiddetto parquet – resta gerarchicamente collegato al Ministero della Giustizia. È un sistema che garantisce uniformità d’azione ma che, secondo molti giuristi francesi, continua a porre il tema della reale indipendenza dell’azione penale.

In Spagna, il Ministerio Fiscal ha una struttura autonoma, ma il vertice – il Fiscal General del Estado – è nominato dal Governo e spesso proviene dall’ambito politico. Anche qui si discute di riforme per rafforzarne l’autonomia.
Il Portogallo, invece, ha scelto una via più netta: il Ministério Público è un corpo separato, costituzionalmente indipendente dal Governo, pur con un Procuratore Generale nominato dal Presidente della Repubblica su proposta dell’esecutivo.

Nei Paesi Bassi, il pubblico ministero (Openbaar Ministerie) appartiene formalmente al potere esecutivo e risponde al Ministro della Giustizia, che può impartire direttive generali e, in casi eccezionali, anche specifiche. Ma da anni è in corso un dibattito per abolire questo potere e rendere la procura pienamente indipendente: il progetto di legge è oggi all’esame del Senato.

Belgio, Finlandia e Lussemburgo hanno scelto carriere separate con diversi gradi di autonomia, mentre Polonia e Romania mantengono un forte controllo governativo sul PM: a Varsavia il Ministro della Giustizia è anche Procuratore Generale, una fusione che Bruxelles ha più volte criticato.

Nei Paesi nordici – Svezia, Danimarca, Norvegia, Finlandia – il pubblico ministero è un funzionario distinto dai giudici. Solo in Svezia, pur facendo parte dell’amministrazione, gode di una piena indipendenza funzionale: nessun ministro può interferire in un caso specifico.

Anche nel mondo anglosassone la distinzione è ferrea. Nel Regno Unito, il Crown Prosecution Service rappresenta lo Stato nelle azioni penali ma non fa parte della magistratura; risponde all’Attorney General, che esercita un controllo politico di indirizzo, non di merito. In Irlanda, il Director of Public Prosecutions è un ufficio indipendente dall’esecutivo.

Nel resto d’Europa la tendenza è la stessa. Bulgaria, Croazia, Lettonia, Lituania, Slovacchia, Slovenia, Ungheria: ovunque giudici e PM sono corpi distinti, con strutture e percorsi separati. Anche nei Balcani – Serbia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Macedonia del Nord, Albania, Kosovo – la riforma giudiziaria post-comunista ha sempre previsto due carriere autonome. Persino la Svizzera, fuori dall’UE, ha una Procura federale indipendente e ministeri pubblici cantonali del tutto separati dai tribunali.

Le sole eccezioni europee sono, appunto, Italia (fino a oggi), Grecia e, in parte, Francia, dove persiste una comunanza di formazione e status tra giudici e PM.

Ruoli distinti, garanzie per tutti

La separazione delle carriere non è una minaccia all’indipendenza, ma la sua condizione naturale. Un pubblico ministero indipendente dal giudice – ma non politicizzato – può agire con libertà e responsabilità. Un giudice che non proviene dallo stesso corpo dell’accusa è più credibile agli occhi del cittadino.
E una difesa che si misura con un’accusa dotata di pari dignità processuale, non di superiorità istituzionale, garantisce il principio fondamentale del giusto processo.

L’Italia ha pagato per decenni l’ambiguità di un sistema in cui accusa e giudice siedono, simbolicamente, nello stesso corridoio del potere. È un modello nato nel dopoguerra per assicurare indipendenza al PM, ma che nel tempo ha finito per generare correntismi, autotutela corporativa e un deficit di percezione di equità. La riforma approvata dal governo Meloni – con due Consigli Superiori distinti e carriere non più comunicanti – restituisce chiarezza ai ruoli e responsabilità ai singoli.

Verso un nuovo equilibrio

Con la riforma appena approvata, l’Italia si colloca finalmente nel solco europeo: giudice super partes, accusa autonoma, difesa alla pari. Non si tratta, come qualcuno ha provato a insinuare, di “mettere i pubblici ministeri sotto il Governo”. È esattamente l’opposto: significa renderli indipendenti dal giudice e responsabili davanti alla legge, come in Germania, Spagna, Portogallo o nei Paesi nordici. Significa affermare che la libertà del cittadino si difende non confondendo i poteri, ma separandoli.

Una giustizia giusta, in fondo, nasce da qui: dal coraggio di dire che chi accusa non può essere giudice, e che la terzietà del giudice è il primo diritto di ogni imputato e di ogni vittima. L’Europa lo fa da tempo. Ora, finalmente, anche l’Italia segue quella strada. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!