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Referendum sulla Giustizia, Sondaggio Ghisleri: “Distacco di 10 punti”

L’ultima rilevazione di Only Numbers illustrata da Alessandra Ghisleri su La Stampa indica il Sì al referendum sulla riforma della giustizia in vantaggio di dieci punti sul No (38,9% contro 28,9%).
Credit © Mediaset

L’ultima rilevazione realizzata da Only Numbers e illustrata dalla sondaggista Alessandra Ghisleri sulle colonne de La Stampa offre indicazioni favorevoli al governo sulla riforma costituzionale della giustizia, che sarà sottoposta a referendum confermativo nella primavera del 2026. Secondo i dati diffusi, il fronte del Sì si attesta al 38,9 per cento, superando di dieci punti percentuali il No, fermo al 28,9 per cento. Si tratta di un distacco significativo che, proiettato ai soli voti validi ed escludendo quindi gli indecisi, porterebbe il divario a un più netto 57 per cento contro 43 per cento.

La riforma, approvata definitivamente dal Senato il 30 ottobre 2025 con 112 voti favorevoli, 59 contrari e 9 astensioni, introduce la separazione delle carriere tra magistratura giudicante e requirente, modificando gli articoli 87, 102, 104, 105, 106, 107 e 110 della Costituzione. Tra le principali novità figurano l’istituzione di due Consigli Superiori distinti per giudici e pubblici ministeri, concorsi di accesso separati sin dall’ingresso in magistratura e una nuova Alta Corte disciplinare. L’obiettivo dichiarato dal governo è garantire una netta distinzione di percorsi professionali tra chi giudica e chi esercita l’azione penale, rafforzando la terzietà del giudice.

Il referendum, che secondo il ministro della Giustizia Carlo Nordio si terrà tra marzo e aprile 2026, presenta una caratteristica fondamentale rispetto ai referendum abrogativi: non richiede il raggiungimento del quorum. Trattandosi di un referendum confermativo su una legge costituzionale, sarà sufficiente la maggioranza dei voti validamente espressi, indipendentemente dall’affluenza alle urne. Questa peculiarità lo differenzia dai referendum abrogativi, dove è necessaria la partecipazione di almeno il 50 per cento più uno degli aventi diritto, come stabilito dall’articolo 75 della Costituzione.

La rilevazione di Only Numbers evidenzia una netta polarizzazione in base all’orientamento politico degli elettori. Il 78,8 per cento degli elettori dei partiti di maggioranza si dichiara pronto a confermare la riforma, mentre tra le opposizioni il 60,8 per cento voterebbe per il No. Tuttavia, emerge un dato particolarmente significativo: il 17,7 per cento degli elettori di opposizione sostiene la proposta del governo, segno di una spaccatura all’interno del fronte contrario alla riforma.

Altri sondaggi confermano questa tendenza. La rilevazione Youtrend per Sky TG24 di inizio novembre registra un vantaggio ancora più ampio per il Sì, che si attesterebbe al 56 per cento contro il 44 per cento del No. Rispetto a un precedente sondaggio di luglio, quando i favorevoli erano al 51 per cento e i contrari al 49 per cento, si è verificato un incremento di cinque punti percentuali a favore della riforma. Secondo Youtrend, questo spostamento sarebbe dovuto in parte a una maggiore compattezza del centrodestra sul Sì e a uno spostamento di una quota significativa di elettori del Movimento 5 Stelle, dove il 44 per cento si dice favorevole contro il 56 per cento contrario.

Il sondaggio BiDiMedia di ottobre presenta invece un quadro più frammentato, con il 33 per cento degli italiani favorevole alla riforma, il 30 per cento contrario e ben il 37 per cento di indecisi. Quest’ultimo dato sottolinea come una parte consistente dell’elettorato non abbia ancora maturato una posizione definita, rendendo imprevedibile l’esito finale della consultazione.

La campagna referendaria si preannuncia particolarmente complessa e carica di implicazioni politiche. Secondo la stessa Ghisleri, il 52 per cento degli elettori dichiara di non essersi ancora informato sul tema della riforma. Si tratta di un elemento rilevante che, come osserva la sondaggista, lascia intendere che la battaglia referendaria si giocherà più sulle narrazioni che sui contenuti. Il rischio, secondo questa analisi, è che il dibattito pubblico si polarizzi su slogan contrapposti piuttosto che su una reale comprensione della portata istituzionale della riforma.

Sul fronte delle conseguenze politiche, il governo ha escluso categoricamente che un’eventuale sconfitta al referendum possa portare alle dimissioni del premier Giorgia Meloni. La presidente del Consiglio ha sottolineato che la riforma costituisce un punto centrale del programma elettorale con cui il centrodestra si è presentato agli italiani nel 2022. Dal canto suo, la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein ha dichiarato che non c’è bisogno che la Meloni si dimetta, precisando che l’opposizione intende batterla alle prossime elezioni, distanziandosi da coloro che nel campo del No vorrebbero trasformare il referendum in un voto di sfiducia al governo.

Secondo i dati del sondaggio Only Numbers, il 48,7 per cento degli italiani ritiene che Meloni non dovrebbe dimettersi in caso di vittoria del No, mentre il 62,3 per cento degli elettori delle opposizioni pensa il contrario. L’86,9 per cento degli elettori della maggioranza condivide la posizione del premier.

L’astensionismo rappresenta l’unica vera incognita di questa consultazione. Sebbene l’assenza di quorum renda teoricamente meno rilevante il livello di partecipazione, l’affluenza potrebbe comunque influenzare l’esito finale e soprattutto la percezione politica del risultato. Il sondaggio BiDiMedia stima un’affluenza massima del 57 per cento, con voti certi pari al 39 per cento del campione e voti probabili al 48 per cento. Si tratta di percentuali inferiori rispetto all’affluenza registrata alle ultime elezioni politiche (64 per cento) e persino alle elezioni europee (sotto il 50 per cento).

La riforma si inserisce in un contesto storico particolare. L’ultimo referendum costituzionale confermativo risale al 4 dicembre 2016, quando la riforma Renzi-Boschi venne bocciata con il 59,1 per cento di No contro il 40,9 per cento di Sì, con un’affluenza del 65,5 per cento. Quella consultazione, fortemente personalizzata dall’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi, che aveva legato il proprio destino politico all’esito del voto, si concluse con le dimissioni immediate del premier.

Diverso il discorso per i referendum abrogativi, dove il mancato raggiungimento del quorum ha rappresentato storicamente un ostacolo insormontabile. Il referendum del 12 giugno 2022 sulla giustizia, che pure registrò una vittoria schiacciante dei Sì (74,01 per cento) alla separazione delle carriere, rimase privo di effetti per via di un’affluenza ferma al 20,93 per cento, ben al di sotto del quorum richiesto.

L’Associazione Nazionale Magistrati ha espresso sin dall’inizio una netta contrarietà alla riforma, sostenendo che il provvedimento altera l’assetto dei poteri disegnato dai costituenti e mette in pericolo la piena realizzazione del principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Il presidente dell’Anm Cesare Parodi ha accettato l’invito di Sky TG24 a un confronto televisivo con il ministro Nordio.

Sia i partiti di maggioranza (Fratelli d’Italia, Forza Italia, Lega) sia quelli di opposizione (Partito Democratico, Movimento 5 Stelle, Alleanza Verdi-Sinistra) hanno già avviato la raccolta delle firme per chiedere il referendum. La procedura prevede che entro tre mesi dalla pubblicazione della legge in Gazzetta Ufficiale possano presentare richiesta un quinto dei parlamentari di una Camera, 500mila elettori o cinque Consigli regionali. I senatori dei partiti di governo hanno depositato la richiesta alla Corte di Cassazione il 5 novembre 2025. La Cassazione ha 30 giorni per valutare la regolarità della richiesta, dopodiché il Presidente della Repubblica fisserà la data del voto in una domenica compresa tra il 50esimo e il 70esimo giorno successivo al decreto di indizione.

Alcune fonti giornalistiche hanno ipotizzato la data del 29 marzo 2026 come possibile giornata di voto, anche se i tempi potrebbero anticiparsi a gennaio 2026 qualora i giudici della Cassazione si esprimessero rapidamente. Il governo punta comunque a una consultazione tra marzo e aprile, periodo che consentirebbe di chiudere la partita referendaria con ampio margine rispetto alle elezioni politiche previste per il 2027.

La sfida referendaria si prospetta dunque come un banco di prova cruciale per l’esecutivo Meloni, chiamato a difendere uno dei pilastri del proprio programma di governo in un confronto diretto con i cittadini. Dai sondaggi emerge un quadro favorevole alla riforma, ma la quota elevata di indecisi e la scarsa conoscenza dei contenuti della riforma da parte dell’elettorato lasciano aperte tutte le possibilità. La campagna elettorale, che entrerà nel vivo nei prossimi mesi, sarà determinante per consolidare o ribaltare questi primi orientamenti. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!