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Pensioni ai migranti senza anzianità contributiva: la proposta shock di Elly Schlein

La proposta della segretaria del PD di concedere pensioni ai migranti senza i venti anni di contributi richiesti scatena le polemiche.

La segretaria del Partito Democratico Elly Schlein torna a far discutere con una proposta che appare quanto mai divisiva e scollegata dalla realtà quotidiana di milioni di cittadini italiani. Al centro della controversia vi è la proposta di legge numero 69, presentata alla Camera nell’ottobre 2022 con primo firmatario il deputato di Più Europa Riccardo Magi e sottoscritta dalla stessa Schlein insieme a esponenti della sinistra come Laura Boldrini, Debora Serracchiani, Giovanni Cuperlo, Marco Furfaro e Giuseppe Provenzano. Un testo che, tra le sue numerose disposizioni sul tema migratorio, contiene un punto particolarmente controverso che riguarda il trattamento pensionistico dei lavoratori stranieri.

La proposta di legge prevede che i lavoratori stranieri che lasciano il territorio nazionale possano conservare tutti i diritti previdenziali e di sicurezza sociale maturati, godendone al verificarsi della maturazione dei requisiti previsti dalla normativa vigente, anche in deroga al requisito dell’anzianità contributiva minima di venti anni. Una misura che solleva interrogativi profondi sul principio di equità contributiva che dovrebbe governare il sistema previdenziale italiano e che appare in netto contrasto con le difficoltà che incontrano quotidianamente i lavoratori italiani nell’accesso alla pensione.

La prima questione che emerge con prepotenza riguarda una clamorosa superficialità nell’approccio al tema. Come evidenziato da diverse fonti, la segretaria del Partito Democratico sembra ignorare che in Italia esiste già uno strumento assistenziale destinato proprio a coloro che si trovano in condizioni di disagio economico e non hanno versato contributi sufficienti: l’assegno sociale. Si tratta di una prestazione erogata dall’INPS a cittadini italiani e stranieri che abbiano compiuto 67 anni di età, si trovino in stato di bisogno economico, risiedano effettivamente in Italia e possano dimostrare almeno dieci anni di soggiorno legale e continuativo sul territorio nazionale.

L’importo annuo dell’assegno sociale è pari a 6.542,51 euro per i singoli e 13.085,02 euro per i coniugati. Dunque, contrariamente a quanto potrebbero far intendere le dichiarazioni allarmistiche della sinistra, il sistema italiano prevede già forme di tutela per chi non ha versato contributi sufficienti, indipendentemente dalla nazionalità. La proposta di Schlein appare quindi non soltanto ridondante, ma soprattutto orientata a creare un ulteriore privilegio per i lavoratori stranieri rispetto ai cittadini italiani, in un contesto previdenziale già fortemente squilibrato.

Ma la questione diventa ancor più problematica se si considera l’attuale normativa italiana in materia di pensioni per i lavoratori extracomunitari, una disciplina che già oggi presenta elementi di privilegio rispetto ai lavoratori italiani. Come emerge da documenti ufficiali dell’INPS e del Ministero per l’Integrazione, i lavoratori extracomunitari assunti dopo il primo gennaio 1996 possono percepire, in caso di rimpatrio, la pensione di vecchiaia calcolata con il sistema contributivo al compimento del sessantaseiesimo anno di età anche se non sono maturati i previsti requisiti, dunque anche se hanno meno di venti anni di contribuzione. Una deroga prevista dalla legge Bossi-Fini che, paradossalmente, è stata introdotta da un governo di centrodestra ma che oggi rappresenta una disparità inaccettabile.

Per i lavoratori italiani e comunitari, invece, la pensione di vecchiaia nel sistema contributivo può essere liquidata soltanto in presenza di almeno venti anni di contributi, a condizione che l’importo dell’assegno non risulti inferiore a 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale, oppure a settant’anni e sette mesi in presenza di almeno cinque anni di contributi effettivi. In sostanza, per gli extracomunitari nel sistema contributivo la pensione viene pagata dall’Italia qualunque sia il numero dei contributi versati, mentre per gli italiani esistono vincoli molto più stringenti.

Questa disparità di trattamento genera una situazione paradossale e profondamente ingiusta. Un lavoratore italiano che ha versato contributi per diciannove anni si vede negare qualsiasi diritto pensionistico, perdendo di fatto tutto quanto ha versato nelle casse dell’INPS. I contributi non gli vengono restituiti e non maturano alcun diritto. Al contrario, un lavoratore extracomunitario che ha versato contributi anche per pochi anni può ottenere una pensione, seppur modesta, in deroga ai requisiti previsti dalla normativa ordinaria. Come osservato da diversi analisti, si tratta di una forma di “trattamento privilegiato” che contraddice il principio fondamentale secondo cui a parità di condizioni dovrebbero corrispondere pari diritti.

La proposta avanzata da Schlein e dai suoi colleghi della sinistra parlamentare si inserisce in un quadro più ampio che prevede anche l’abolizione del reato di clandestinità, la regolarizzazione su base individuale dei migranti irregolari compresi i richiedenti asilo ai quali è stata respinta la richiesta di protezione internazionale, e un permesso di soggiorno per comprovata integrazione basato su criteri quanto mai vaghi e discutibili. Il tutto condito con la concessione del diritto di voto agli stranieri e la reintroduzione del sistema dello sponsor, un meccanismo che negli anni passati ha dimostrato di favorire il proliferare di cooperative e associazioni che hanno fatto della gestione dell’accoglienza un vero e proprio business.

Di fronte a queste proposte, non si può che rimanere sconcertati dalla distanza siderale che separa la classe dirigente della sinistra italiana dalle preoccupazioni concrete dei cittadini. Mentre milioni di lavoratori italiani si trovano costretti a prolungare la loro permanenza nel mondo del lavoro a causa di requisiti pensionistici sempre più stringenti, mentre anziani in condizioni di fragilità economica faticano ad arrivare a fine mese con pensioni minime o con assegni sociali insufficienti, la segretaria del Partito Democratico si preoccupa di estendere privilegi pensionistici a chi non ha versato contributi sufficienti e non ha nemmeno la cittadinanza italiana.

I versamenti previdenziali degli immigrati non sono un regalo, ma un prestito di cui gli stessi immigrati chiederanno legittimamente il rimborso quando raggiungeranno l’età pensionabile. Anzi, con l’invecchiamento progressivo della popolazione straniera residente in Italia, la spesa pensionistica destinata agli stranieri è destinata a crescere in maniera significativa a partire dal 2050, quando le prime coorti di lavoratori immigrati inizieranno ad uscire dal mercato del lavoro. Presentare gli immigrati come la soluzione al problema delle pensioni italiane è quindi un errore concettuale oltre che una narrazione ideologica che non trova riscontro nei dati oggettivi.

Ma vi è un ulteriore aspetto che rende la proposta di Schlein particolarmente discutibile dal punto di vista della giustizia sociale. Secondo i dati ISTAT, a sei immigrati su dieci di età compresa tra i sessantacinque e i settantaquattro anni viene negata la pensione, contro il 21,4 per cento degli italiani nella stessa fascia di età. Questa disparità, che appare drammatica, è in realtà dovuta a percorsi lavorativi frammentati, lavori irregolari, retribuzioni basse, ostacoli burocratici e soprattutto alla mancanza di accordi bilaterali con i Paesi di origine che impedisce il riconoscimento dei contributi versati all’estero. In sostanza, molti stranieri non hanno diritto alla pensione perché non hanno lavorato regolarmente o non hanno versato contributi sufficienti in Italia.

La soluzione a questo problema non può essere quella di abbassare i requisiti contributivi creando un sistema a due velocità in cui gli stranieri godono di privilegi negati agli italiani. La soluzione dovrebbe piuttosto consistere nel favorire l’ingresso legale nel mercato del lavoro, nel contrastare il lavoro nero e irregolare, nel garantire percorsi di integrazione reale che passino attraverso il rispetto delle regole e il versamento regolare dei contributi previdenziali. Creare scorciatoie assistenziali significa non soltanto premiare chi non ha rispettato le regole, ma anche penalizzare chi invece ha faticosamente contribuito al sistema previdenziale per decenni.

Non è un caso che questa proposta abbia sollevato aspre polemiche e critiche da parte di diverse forze politiche e di una vasta parte dell’opinione pubblica. Come osservato da alcuni commentatori, si tratta dell’ennesima dimostrazione di come la sinistra italiana consideri la povertà non come un problema sociale da affrontare con politiche serie di inclusione lavorativa e di sostegno alle fasce deboli, ma come una colpa da sanare attraverso misure assistenziali indiscriminate che rischiano di creare dipendenza e disincentivare il lavoro regolare.

L’atteggiamento di Schlein e del Partito Democratico appare tanto più incomprensibile se confrontato con la situazione di milioni di pensionati italiani che si trovano in gravi difficoltà economiche. Secondo le stime più recenti, in Italia vi sono oltre cinque milioni di poveri, una cifra drammatica che avrebbe dovuto spingere la classe politica a concentrarsi sulle esigenze dei cittadini italiani prima ancora che su quelle degli stranieri. Eppure, la segretaria del Partito Democratico preferisce dedicare le sue energie a proporre misure che favoriscono chi non ha contribuito al sistema previdenziale italiano, ignorando le difficoltà concrete di chi invece ha lavorato per una vita intera e oggi si trova a vivere con pensioni da fame.

La proposta di Elly Schlein rappresenta quindi un’occasione mancata per affrontare con serietà e realismo il tema della previdenza per i lavoratori stranieri. Invece di proporre misure che creano privilegi e disparità, sarebbe stato più utile lavorare per garantire percorsi di integrazione reale, per contrastare il lavoro irregolare, per favorire accordi bilaterali con i Paesi di origine che consentano il riconoscimento dei contributi versati all’estero. Invece, la segretaria del Partito Democratico ha preferito la strada della demagogia assistenziale, proponendo una misura che rischia di creare tensioni sociali, di appesantire ulteriormente i conti dell’INPS e di alimentare la percezione di un sistema ingiusto in cui gli stranieri godono di privilegi negati agli italiani. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!