Alberto Stefani è il nuovo governatore del Veneto, eletto al termine delle elezioni regionali del 23 e 24 novembre 2025 con oltre il 60% delle preferenze, in un confronto che lo ha visto prevalere nettamente sul candidato del centrosinistra Giovanni Manildo, fermo intorno al 30% dei consensi, e su una serie di sfidanti minori. Il deputato leghista succede così a Luca Zaia dopo quindici anni di governo, proiettando una nuova generazione politica alla guida di una delle regioni più centrali nello scenario economico e istituzionale italiano, ma nel segno di una dichiarata continuità con il cosiddetto modello veneto costruito negli ultimi tre mandati regionali.
Nato a Camposampiero, in provincia di Padova, il 16 novembre 1992, Stefani ha 33 anni e con questa elezione diventa uno dei più giovani presidenti di Regione nella storia repubblicana. La sua appartenenza alla Lega risale all’adolescenza e il suo percorso interno al partito lo ha portato, nel giro di poco più di un decennio, a scalare progressivamente i livelli di responsabilità fino a diventare segretario della Liga Veneta e, successivamente, vicesegretario federale, assumendo un ruolo di primo piano nell’architettura del Carroccio e nel rapporto fra il territorio veneto e la leadership nazionale.
La formazione di Stefani è radicata nell’ambito giuridico. Dopo il liceo scientifico «Isaac Newton» di Camposampiero, concluso con il massimo dei voti, si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Padova, dove si laurea con 110 e lode con una tesi in diritto canonico e storia del diritto dedicata all’adozione dello strumento codiciale nell’ordinamento canonico, proseguendo poi un percorso di ricerca accademica e pubblicando contributi in materia di diritto ecclesiastico e canonico. Questo retroterra giuridico e accademico, spesso rivendicato dallo stesso Stefani nelle interviste, ha rappresentato uno degli elementi distintivi della sua immagine pubblica all’interno di un partito storicamente connotato da una forte componente territoriale e movimentista.
L’ingresso attivo nella politica avviene in età giovanissima, dapprima attraverso le strutture dei giovani della Lega, di cui diventa in pochi anni coordinatore provinciale a Padova e poi referente regionale per il movimento universitario, quindi con l’elezione, nel 2014, a consigliere comunale di Borgoricco, il paese in cui risiede. A poco più di vent’anni Stefani è già uno dei volti emergenti del partito in Veneto, interpretando quella generazione di amministratori locali che la Lega cerca di formare e consolidare nel tessuto dei comuni della pianura e delle aree più dinamiche della regione.
Il salto sulla scena nazionale arriva con le elezioni politiche del 2018, quando viene candidato alla Camera dei deputati nel collegio uninominale Veneto 2 – 03 (Vigonza), sostenuto dalla coalizione di centrodestra. Stefani viene eletto con oltre il 52% dei voti, doppiando il candidato del Movimento 5 Stelle e staccando nettamente la candidata del centrosinistra, in un territorio già allora fortemente orientato verso il blocco di centrodestra. Nel corso della XVIII legislatura ricopre il ruolo di segretario del Comitato per la legislazione, siede nella Commissione Affari costituzionali e si occupa di temi che spaziano dalla tutela degli studenti caregiver alle misure contro il cyberbullismo e i gruppi misogini sulle piattaforme digitali. Nel 2022 viene poi rieletto deputato in un altro collegio veneto con una percentuale ancora più ampia, superiore al 60%, confermando il radicamento personale e di partito nelle aree del Nord-Est.
Parallelamente all’attività parlamentare, Stefani consolida il proprio profilo amministrativo a livello locale. Nel 2019 viene eletto sindaco di Borgoricco con oltre la metà dei voti, diventando uno dei più giovani primi cittadini del Veneto e uno dei pochi casi in cui la carica di sindaco si somma a quella di deputato. Durante il mandato rinuncia all’indennità, destinando l’intera somma, pari a circa 193mila euro lordi, alla spesa corrente del bilancio comunale, scelta che viene sottolineata come segno di sobrietà e di attenzione all’uso delle risorse pubbliche. Nel 2024 la sua lista civica ottiene circa il 77% dei voti alle amministrative, confermando il controllo politico sul territorio e la costruzione di un consenso trasversale intorno al suo nome.
All’interno della Lega, la parabola di Stefani prosegue con una sequenza serrata di incarichi. Nel 2020 viene nominato commissario regionale del partito in Veneto, in una fase di riorganizzazione interna seguita al ciclo politico che ha visto la Lega affermarsi come forza egemone nel Nord, mentre nel 2023 il congresso regionale lo elegge segretario della Liga Veneta con circa due terzi dei voti dei delegati. L’anno successivo, nel settembre 2024, assume anche il ruolo di vicesegretario federale, entrando a pieno titolo nella ristretta cerchia dirigente più vicina a Matteo Salvini e diventando, di fatto, il principale riferimento per la declinazione territoriale della linea politica del Carroccio nel Veneto.
In parallelo agli incarichi di partito, Stefani viene indicato alla presidenza della Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale, un organismo bicamerale chiamato a seguire il processo di attuazione delle norme sull’autonomia differenziata e il riassetto dei rapporti finanziari fra Stato e Regioni. Questo ruolo contribuisce a rafforzare la sua immagine di esponente legato ai temi dell’autonomia e del regionalismo, centrali nell’agenda politica del Veneto e nella tradizione della Liga Veneta, e lo proietta al centro del dibattito su uno dei dossier più rilevanti per i futuri equilibri istituzionali del Paese.
Accanto alla dimensione istituzionale, Stefani si è distinto anche per iniziative rivolte alla formazione politica. Nel 2023 fonda «Veneto Domani», una scuola di formazione legata alla Liga Veneta che riunisce giovani e amministratori locali intorno a temi come autonomia, innovazione, sostenibilità, sistema fiscale, intelligenza artificiale e geopolitica, con l’obiettivo dichiarato di costruire una nuova classe dirigente radicata nel territorio ma in grado di confrontarsi con le sfide globali. Questa esperienza contribuisce a consolidare il suo profilo come esponente di una generazione più giovane di leghisti, attenta tanto alla dimensione identitaria quanto a quella tecnologica ed economica.
L’investitura di Stefani come candidato del centrodestra alla presidenza del Veneto arriva l’8 ottobre 2025, dopo una lunga fase di confronto interno alla coalizione, in particolare fra Lega e Fratelli d’Italia, sul nome destinato a raccogliere l’eredità di Luca Zaia. Alla fine la scelta converge sul segretario regionale del Carroccio, sostenuto da una coalizione ampia che comprende Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia, Udc, Noi Moderati e Liga Veneta Repubblica, con l’obiettivo di garantire continuità nella guida della Regione e al tempo stesso inaugurare una nuova fase generazionale. La candidatura viene presentata come naturale prosecuzione di un percorso politico costruito sul doppio binario di Roma e del territorio veneto.
La campagna elettorale che precede il voto di novembre ruota intorno ad alcuni assi fondamentali: la tutela del cosiddetto modello veneto in termini di crescita economica e gestione dei servizi, il rafforzamento dell’autonomia regionale, il tema della sicurezza declinato sia sul fronte dei confini sia su quello del controllo sociale, l’attenzione alle imprese e alle infrastrutture strategiche, nonché il consolidamento del ruolo del Veneto nel quadro europeo. Nel corso dei mesi si intreccia inoltre una partita interna al centrodestra sulla leadership nella regione, con la Lega intenzionata a mantenere il primato sfruttando il traino personale di Zaia e Fratelli d’Italia determinata a confermare il proprio peso elettorale, in un equilibrio che trova nel risultato finale una conferma dell’egemonia leghista.
I primi instant poll diffusi alla chiusura dei seggi indicano subito un vantaggio molto ampio per Stefani, accreditato tra il 59 e il 63% dei voti, contro una forbice compresa tra il 30 e il 34% per il candidato del centrosinistra Giovanni Manildo. Nel prosieguo dello spoglio, le proiezioni confermano il quadro di una vittoria netta del centrodestra e della Lega, con il nuovo governatore che supera la soglia simbolica del 60% e si impone in tutte le province, mentre gli altri candidati, tra cui Marco Rizzo, Fabio Bui e Riccardo Szumski, rimangono confinati su percentuali residuali. La fotografia uscita dalle urne consegna dunque un Veneto ancora saldamente ancorato al blocco di centrodestra e rafforza la posizione di Stefani come punto di riferimento del Carroccio a livello regionale e nazionale.
Con l’insediamento a Palazzo Balbi, il nuovo presidente eredita una regione caratterizzata da elevati livelli di sviluppo, forte vocazione manifatturiera ed esportatrice e un sistema di autonomie locali consolidato, ma anche esposta alle fragilità strutturali emerse negli ultimi anni, dal cambiamento climatico alla gestione del rischio idrogeologico, dalle trasformazioni del mercato del lavoro alle pressioni demografiche e sociali. In questo quadro, il profilo di Stefani, intreccio di esperienza amministrativa nei piccoli comuni, responsabilità parlamentari su dossier chiave come il federalismo fiscale e militanza partitica ai massimi livelli regionali e nazionali, lo colloca al centro di un passaggio politico che, pur nel segno della continuità con i quindici anni di governo Zaia, sarà osservato anche come banco di prova della capacità della nuova generazione leghista di mantenere saldo il consenso nel Nord-Est e di governare una fase di cambiamento profondo del sistema istituzionale e produttivo. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!
