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Gli stranieri in Italia rimandano in patria 8,3 miliardi di euro, un’emorragia silenziosa che pesa sull’economia

Gli 8,3 miliardi inviati all’estero dagli stranieri rappresentano una ricchezza che lascia il Paese e non torna nell’economia nazionale, aggravando una crescita già fragile e un welfare sotto pressione.

Secondo gli ultimi dati della Banca d’Italia, nel corso dell’ultimo anno i lavoratori stranieri presenti nel nostro Paese hanno inviato verso le loro nazioni d’origine circa 8,3 miliardi di euro. Una cifra imponente, che merita un’analisi attenta perché rappresenta, di fatto, una trasferenza netta di ricchezza prodotta in Italia ma sottratta al circuito economico interno.

Per comprendere l’impatto di questo fenomeno occorre ricordare che ogni euro sottratto alla domanda interna è un euro che non viene speso in consumi, investito in attività produttive o destinato a servizi che generano valore aggiunto. Con un moltiplicatore fiscale stimato in un intervallo tra 1,2 e 1,5, a seconda dei settori, la fuoriuscita di 8,3 miliardi può tradursi in mancata crescita potenziale per oltre 10 miliardi di PIL. È un dato che non può essere ignorato in un Paese la cui crescita economica rimane strutturalmente debole.

Il tema diventa ancora più rilevante se si considera il rapporto tra ciò che molti cittadini stranieri ricevono e ciò che effettivamente reinvestono sul territorio. Una parte significativa della popolazione immigrata accede infatti al servizio sanitario nazionale, ai servizi sociali, agli alloggi pubblici e a una serie di misure assistenziali che rappresentano un costo per la collettività. Si tratta di diritti garantiti dall’ordinamento italiano, ma il problema nasce quando il contributo economico prodotto non viene reinserito nel circuito nazionale bensì trasferito altrove.

Le rimesse sono comprensibili dal punto di vista umano: chi lavora all’estero tende ad aiutare la propria famiglia. Tuttavia, sul piano macroeconomico, questi trasferimenti rappresentano un equilibrio inefficiente, soprattutto quando avvengono in un contesto caratterizzato da bassa crescita, pressione fiscale elevata e forte domanda di investimenti pubblici e privati. L’Italia, che fatica a trattenere capitale umano e finanziario, si trova così a svolgere il ruolo di piattaforma economica dalla quale risorse prodotte qui alimentano economie straniere, spesso in via di sviluppo.

Un ulteriore elemento critico riguarda la struttura occupazionale: una parte dei lavoratori stranieri opera in settori a bassa produttività e con salari modesti. Questo genera minori contributi fiscali a fronte di servizi pubblici utilizzati in misura non irrilevante. Se almeno una quota più significativa dei redditi generati restasse in circolo nel nostro mercato interno, l’impatto sui consumi, sulle piccole imprese, sul gettito fiscale e perfino sulla sostenibilità del welfare sarebbe sensibilmente diverso.

Le rimesse non sono di per sé un fenomeno negativo, ma diventano problematiche quando si collocano in un sistema economico già fragile. L’Italia necessita di investimenti, di risparmio interno, di liquidità reiniettata nel tessuto produttivo nazionale. Ogni miliardo che esce rappresenta un’occasione persa per rafforzare infrastrutture, imprese, innovazione o persino il semplice commercio locale.

Il punto sollevato da una parte del pensiero conservatore non riguarda l’accoglienza o la presenza degli stranieri in quanto tale, ma l’esigenza che il rapporto tra contributo economico e utilizzo dei servizi pubblici sia equilibrato, sostenibile e orientato a generare valore per il Paese che offre opportunità di lavoro e welfare. In caso contrario, si rischia di consolidare un sistema dove una porzione delle risorse prodotte in Italia alimenta economie terze mentre il nostro debito pubblico continua a crescere e la capacità di investimento interno si riduce.

La discussione merita di essere affrontata senza ideologie ma con realismo: 8,3 miliardi di euro sono una cifra troppo grande per essere liquidata come un dettaglio statistico. In tempi di fragilità economica e demografica, comprendere dove finisce la ricchezza che il Paese produce è un dovere politico, economico e civile. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!