Un nuovo soggetto politico potrebbe profilarsi all’orizzonte del panorama italiano, ed è una proposta che non manca di suscitare dibattito: un partito islamico, rappresentativo della crescente comunità musulmana in Italia. A lanciare l’idea è Ibrahim Youssef, attivista dei Giovani Musulmani d’Italia, divulgatore e dottore in Scienze Politiche e Filosofia, che ne ha parlato apertamente nel corso del podcast Strong Believer, uno spazio dedicato alla crescita personale e spirituale, fondato da Abed Elbakki Rtaib. Il modello ispiratore? L’ascesa di figure politiche musulmane in contesti occidentali, come Zohran Mamdani, oggi consigliere statale a New York, a cui il podcast attribuisce erroneamente la carica di sindaco.
Youssef propone una riflessione che intreccia dati demografici, rappresentanza politica e consapevolezza identitaria. Secondo le proiezioni del Pew Research Center, nel 2022 i musulmani rappresentavano il 4,6% della popolazione italiana; entro il 2050 potrebbero diventare il 9,6%. Una crescita che, nel linguaggio della politica, si traduce in base elettorale. “Se questo 9,6% avrà cittadinanza italiana e potere di voto, allora avremo un impatto enorme – afferma Youssef –. Partiti come la Lega non potrebbero più permettersi di ignorare o contrastare la comunità islamica senza pagare un prezzo elettorale“.
Il ragionamento ruota intorno a un concetto cruciale: trasformare una presenza numerica in forza politica. Ma l’attivista è consapevole che i numeri, da soli, non bastano. “Non è un processo automatico”, spiega, evidenziando la mancanza di una coscienza politica collettiva all’interno della comunità musulmana italiana. In questo senso, l’idea di un partito islamico diventa non tanto una realtà imminente quanto un progetto a lungo termine, che richiede organizzazione, formazione, partecipazione civica e una visione inclusiva del proprio ruolo nella società.
A rilanciare il dibattito è anche la menzione del movimento Muro27, embrione di partito musulmano nato a Roma, di cui Youssef è sostenitore. Un progetto che, per ora, rimane periferico e poco strutturato, ma che potrebbe rappresentare un primo passo nella direzione tracciata. L’obiettivo dichiarato è costruire uno spazio politico in cui i cittadini musulmani possano riconoscersi, senza rinunciare alla propria identità religiosa ma inserendosi pienamente nel tessuto democratico del Paese.
Il confronto, tuttavia, è già acceso. L’ipotesi di un partito islamico in Italia tocca nervi scoperti, soprattutto in un contesto segnato da tensioni identitarie e diffidenze reciproche. I riferimenti storici proposti da Youssef – come il paragone tra l’evoluzione dei partiti di destra in Italia e l’eventuale cambiamento di atteggiamento nei confronti dei musulmani – possono risultare provocatori e sollevano interrogativi sulla compatibilità tra religione e politica in una democrazia laica.
Ma al di là delle polemiche, la proposta solleva una questione reale e sempre più urgente: il riconoscimento della diversità religiosa e culturale come parte integrante della cittadinanza. Se quasi un decimo della popolazione sarà di fede islamica entro il 2050, il Paese dovrà confrontarsi non solo con nuove esigenze sociali e culturali, ma anche con la legittima aspirazione a una rappresentanza politica adeguata. La sfida, per la comunità musulmana italiana, sarà quella di superare la frammentazione interna, formare una classe dirigente credibile e costruire un progetto politico che non sia settario, ma dialogante e capace di inserirsi nel quadro istituzionale italiano.
Nel frattempo, il sogno di un partito islamico resta, per ora, una suggestione ambiziosa. Ma come ogni sogno politico, ha la forza di aprire spazi di riflessione e cambiare il modo in cui pensiamo alla partecipazione e all’identità.
Entro il 2050 i musulmani potrebbero rappresentare quasi il 10% della popolazione italiana: basterà per dar vita a un vero partito islamico? La sfida è culturale, prima ancora che politica. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!
