Un uomo di sessanta anni residente a Berlino rappresenta il settimo caso documentato al mondo di remissione prolungata dall’HIV, conseguita attraverso un trapianto di cellule staminali eseguito per trattare una leucemia mieloide acuta. La particolarità di questo paziente, il cui caso è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Nature alla fine di novembre 2025, risiede nel fatto che il donatore delle cellule staminali possedeva soltanto una copia della mutazione genetica ritenuta fino a questo momento indispensabile per l’eradicazione del virus.
Il paziente ha ricevuto la diagnosi di HIV nel 2009 e, sei anni dopo, nel 2015, quella di leucemia mieloide acuta. Il trapianto di cellule staminali allogeniche si è reso necessario per curare il tumore ematologico, una procedura che prevede la sostituzione del sistema immunitario del ricevente con quello del donatore. Tre anni dopo il trapianto, l’uomo ha interrotto autonomamente la terapia antiretrovirale, il trattamento standard che sopprime la replicazione virale a livelli non rilevabili. A distanza di oltre sette anni dalla sospensione dei farmaci, le analisi non hanno rilevato alcuna traccia del virus nei campioni ematici, configurando quello che la comunità scientifica definisce una “cura funzionale” da HIV.
La rivoluzione scientifica portata da questo caso riguarda il tipo di cellule staminali utilizzate. Fino a oggi, i sei pazienti precedentemente guariti dall’HIV avevano ricevuto cellule staminali da donatori omozigoti per la mutazione CCR5 Delta 32, vale a dire portatori di due copie del gene mutato. Questa particolare alterazione genetica rende inattivo il recettore CCR5 presente sulla superficie delle cellule immunitarie, una proteina che il virus dell’HIV utilizza come porta d’accesso per penetrare e infettare le cellule. Le persone con entrambe le copie del gene mutato risultano di fatto resistenti all’infezione da HIV.
Nel caso del secondo paziente di Berlino, invece, il donatore era eterozigote, portatore cioè di una sola copia della mutazione CCR5 Delta 32, mantenendo parzialmente funzionale il recettore CCR5. Questa caratteristica genetica è significativamente più comune nella popolazione generale rispetto alla forma omozigote, che si stima essere presente in circa una persona su mille in Europa e America. La scoperta che anche cellule staminali parzialmente resistenti possano condurre alla remissione dell’HIV espande considerevolmente il bacino di potenziali donatori compatibili per futuri trapianti terapeutici.
Il team di ricerca guidato da Christian Gaebler della Charité – Universitätsmedizin Berlin, lo stesso ospedale che nel 2007 aveva trattato Timothy Ray Brown, il primo paziente al mondo guarito dall’HIV noto come “paziente di Berlino”, ha monitorato attentamente il decorso clinico. Durante il periodo del trapianto, il paziente continuava ad assumere la terapia antiretrovirale per impedire che le nuove cellule immunitarie del donatore venissero infettate. La chemioterapia ad alte dosi somministrata prima del trapianto aveva distrutto la maggior parte delle cellule immunitarie del paziente, creando lo spazio biologico necessario affinché le cellule staminali del donatore potessero ricostruire un sistema immunitario sano.
I meccanismi biologici alla base della guarigione rimangono complessi e probabilmente multifattoriali. L’ipotesi prevalente fino a questo momento attribuiva la cura all’impossibilità per il virus, nascosto nelle residue cellule immunitarie del ricevente sopravvissute alla chemioterapia, di infettare le nuove cellule del donatore resistenti al CCR5. Questo avrebbe determinato l’esaurimento del “serbatoio” di cellule ospiti suscettibili all’infezione. Tuttavia, il successo del trapianto eterozigote suggerisce che altri fattori giochino un ruolo determinante.
Gli esperti ipotizzano che le reazioni immunitarie innescate dalle differenze nelle proteine di superficie tra le popolazioni cellulari del donatore e del ricevente possano assumere un ruolo terapeutico inaspettato. Il sistema immunitario del donatore riconoscerebbe le cellule residue del ricevente come elementi estranei da eliminare, un fenomeno noto in ambito trapiantologico come reazione del trapianto contro l’ospite. Inoltre, la rapida sostituzione del sistema immunitario e possibili caratteristiche speciali nelle cellule del donatore potrebbero aver contribuito al successo del trattamento.
La lista dei pazienti guariti dall’HIV dopo trapianto di cellule staminali comprende ora sette casi documentati. Oltre a Timothy Ray Brown, deceduto nel 2020 a causa di una recidiva della leucemia, figurano Adam Castillejo, noto come “paziente di Londra”, il cui caso è stato pubblicato nel 2019, Marc Franke, il “paziente di Düsseldorf”, una donna identificata come “paziente di New York” che nel 2022 ha rappresentato il primo caso di guarigione dopo trapianto di cellule staminali del cordone ombelicale, Paul Edmonds, il “paziente di City of Hope”, e il paziente di Ginevra, il cui periodo di remissione virale di oltre due anni aveva inizialmente suscitato scetticismo nella comunità scientifica.
La procedura del trapianto di cellule staminali comporta rischi significativi e non può essere considerata una soluzione applicabile alla popolazione generale delle persone sieropositive. Il trattamento viene riservato esclusivamente a pazienti che, oltre a convivere con l’HIV, sviluppano alcune forme di leucemia o linfoma che non rispondono a radiazioni o chemioterapia. Le complicanze associate alla procedura includono infezioni potenzialmente letali legate all’immunosoppressione prolungata, rigetto del trapianto, fallimento del trapianto e la malattia del trapianto contro l’ospite, che si verifica in circa il 22 per cento di tutti i pazienti.
Attualmente, circa 40 milioni di persone nel mondo convivono con il virus dell’HIV. La stragrande maggioranza può condurre una vita lunga e sana assumendo la terapia antiretrovirale, oggi disponibile anche in formulazioni estremamente comode. Tra le innovazioni più recenti figura il lenacapavir, farmaco approvato dalla Food and Drug Administration che richiede soltanto due iniezioni all’anno per garantire una protezione pressoché completa dall’infezione, sia come trattamento per pazienti con ceppi virali multiresistenti sia come profilassi pre-esposizione per la prevenzione.
La ricerca scientifica continua a esplorare strategie alternative per la cura definitiva dell’HIV, concentrandosi sull’editing genetico delle cellule immunitarie attraverso tecnologie come CRISPR-Cas9. Questa tecnica di modificazione genetica agisce come una coppia di forbici molecolari, capace di riconoscere e tagliare sequenze precise di DNA virale. Studi recenti hanno dimostrato che l’editing mirato può bloccare la produzione di proteine virali e ridurre significativamente la replicazione del virus. La combinazione dell’escissione del DNA dell’HIV con l’inattivazione del recettore CCR5 mediante CRISPR, unita ai farmaci antiretrovirali, ha eliminato le infezioni da HIV nei topi, offrendo speranza a milioni di persone colpite da questa malattia.
Il farmaco sperimentale EBT-101, sviluppato dalla Excision Bio Therapeutics insieme a ricercatori della Temple University e dell’Università Statale di Milano, è stato recentemente approvato dalla FDA come “Investigational New Drug” per la terapia sperimentale. Il programma utilizza CRISPR-Cas9 e due RNA guida che prendono di mira tre siti all’interno del genoma dell’HIV, asportando ampie porzioni del genoma virale e riducendo al minimo la potenziale fuga virale. Questa strategia di “chirurgia genica” mira a eliminare il DNA provirale dell’HIV per inattivare la sua espressione, non più soltanto la sua replicazione come accade con le terapie antiretrovirali.
Nonostante il settimo caso di guarigione rappresenti un traguardo eccezionale per il singolo paziente, la sua importanza risiede soprattutto nelle nuove prospettive teoriche che offre per comprendere i meccanismi attraverso cui l’organismo umano può liberarsi di un’infezione virale considerata fino a non molti anni fa inesorabilmente cronica e progressiva. La comunità scientifica è stata costretta a rivedere radicalmente le conoscenze sui meccanismi biologici alla base della guarigione da HIV attraverso trapianto di cellule staminali. Come sottolinea Christian Gaebler, autore principale della ricerca pubblicata su Nature, questi risultati forniscono un’ulteriore prova che la presenza di cellule prive dell’espressione di CCR5 non è un prerequisito per raggiungere la remissione dall’HIV dopo il trapianto di cellule staminali.
Le implicazioni pratiche di questa scoperta vanno interpretate con cautela. Teoricamente, la platea di donatori potenzialmente idonei per trapianti curativi di HIV si allarga considerevolmente, includendo anche individui senza la doppia mutazione CCR5, molto più comuni nella popolazione generale. Tuttavia, è probabile che molteplici fattori debbano allinearsi affinché il meccanismo funzioni, tra cui la compatibilità genetica tra donatore e ricevente, la velocità con cui le cellule del donatore possono eliminare quelle del ricevente e probabilmente anche la distribuzione anatomica delle cellule immunitarie residue. Per questa ragione, la maggior parte dei pazienti che necessitano di trapianto di cellule staminali per leucemia e sono anche affetti da HIV dovrebbero ancora ricevere, quando disponibili, cellule staminali con doppia mutazione CCR5.
Gli esperti della Charité hanno dichiarato che continueranno a indagare i meccanismi precisi della guarigione. L’obiettivo dichiarato rimane quello di curare l’HIV non solo nei singoli pazienti, ma su una base più ampia in futuro. Il caso del secondo paziente di Berlino, con i suoi sette anni e tre mesi di assenza virale rilevabile, rappresenta la seconda durata più lunga tra tutti i pazienti guariti documentati, superato soltanto da un individuo rimasto libero dal virus per circa dodici anni. Questo periodo di remissione virale rafforza significativamente l’ipotesi che la resistenza completa al CCR5 non sia l’unico meccanismo attraverso cui si può ottenere l’eradicazione dell’HIV.
Il sesto caso, quello del paziente di Ginevra, aveva già suggerito questa possibilità con una remissione superiore ai due anni, ma molti ricercatori ritenevano il periodo troppo breve per parlare di cura definitiva. Il nuovo caso documentato dissipa questi dubbi e illumina un percorso più ampio per la ricerca di una potenziale cura per l’HIV attraverso l’ingegneria genetica e i trapianti. Per la comunità scientifica, rappresenta un segnale incoraggiante che la lista dei donatori compatibili per un futuro “effetto Berlino” sia finalmente più lunga, aprendo prospettive concrete per trasformare l’HIV da condizione cronica a potenzialmente curabile. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!
