Mentre il debito pubblico italiano continua la sua inarrestabile crescita, superando il 135% del PIL e con previsioni di ulteriore aumento fino al 139% entro la fine dell’anno, il Governo ha pensato bene di introdurre una nuova voce di spesa: i social media manager nella Pubblica Amministrazione. Il recente decreto PA, convertito nella legge 69 del 2025, ha infatti aperto le porte all’assunzione di migliaia di professionisti del digitale in comuni, regioni e altri enti pubblici.
Si parla di un fabbisogno stimato di oltre 16.000 figure professionali, con stipendi che, stando ai dati di mercato, partono da un minimo di 22.000 euro lordi annui per i profili junior fino a superare i 40.000 euro per quelli senior. Un semplice calcolo, anche ipotizzando una retribuzione media prudenziale di 27.500 euro annui, ci porta a una spesa complessiva di almeno 440 milioni di euro all’anno. E questo senza considerare i costi accessori, come formazione, strumentazione e budget per le campagne pubblicitarie a pagamento che questi professionisti dovranno gestire.
La domanda sorge spontanea: in un Paese dove il PIL è in frenata, con stime europee che lo vedono crescere appena dello 0,7% nel 2025, e un deficit atteso al 3,3%, possiamo davvero permetterci questo lusso? La risposta appare evidente quando si osserva la condizione in cui versano i servizi essenziali dei nostri comuni: strade dissestate, edifici scolastici fatiscenti, trasporti pubblici inefficienti, servizi sociali ridotti all’osso. Gli enti locali, stretti nella morsa dei tagli ai trasferimenti statali e dei vincoli di bilancio, faticano già a garantire il minimo indispensabile ai cittadini.
I promotori dell’iniziativa, come Paolo Emilio Russo di Forza Italia, sostengono che queste nuove figure professionali servirebbero a “garantire informazioni chiare e accessibili proprio dove la maggioranza dei cittadini le cerca: sui social network e online“. Il ministro Zangrillo parla di “costruire una macchina amministrativa sempre più efficiente e pronta ad affrontare con rinnovate competenze le sfide del contesto europeo“. Belle parole, senza dubbio. Ma siamo sicuri che la priorità dei cittadini sia avere un comune più attivo su Instagram o TikTok, piuttosto che strade sicure, scuole funzionanti o un pronto soccorso efficiente?
Le retoriche trionfalistiche sulla digitalizzazione della PA non possono nascondere l’irresponsabilità fiscale di questa scelta. A cosa serve una comunicazione social impeccabile se i servizi di base non funzionano? È come comprare un costoso smartphone ultimo modello mentre in casa manca l’acqua corrente. Anche perché, ricordiamolo, lo stipendio mensile netto di questi professionisti parte da un minimo di 1.260 euro, ma può arrivare fino a sfiorare i 4.000 euro per i profili più esperti. Cifre che molti lavoratori del settore pubblico impegnati in servizi essenziali possono solo sognare.
Va però anche detto che il decreto prevede che il social media manager possa essere scelto anche tra il personale già in servizio, se dotato di competenze digitali. Una soluzione che avrebbe potuto limitare i costi, se non fosse che la realtà dei fatti porterà inevitabilmente a nuove assunzioni attraverso concorsi pubblici, con ulteriore aggravio per le casse dello Stato. Perché non investire nella formazione del personale già presente, invece di creare nuove posizioni?
Non si vuole qui mettere in discussione l’importanza della comunicazione digitale nella società contemporanea. Ma in un momento di grave crisi economica e con un debito pubblico che continua a crescere, nonostante i miglioramenti nei saldi di bilancio, è doveroso stabilire delle priorità. E forse, prima di pensare a come comunicare meglio sui social, sarebbe il caso di concentrarsi su cosa comunicare. Ovvero risultati concreti, servizi efficienti, infrastrutture funzionanti.
La sensazione è che questa ennesima operazione di facciata serva più a creare nuovi posti di lavoro nel pubblico impiego – e quindi potenziali consensi elettorali – che a migliorare realmente l’efficienza della pubblica amministrazione. Nel frattempo, il debito pubblico italiano rispetto al PIL è proiettato a stabilizzarsi intorno al 139,80 percento del PIL nel 2026 e al 140,50 percento del PIL nel 2027. Numeri che dovrebbero far tremare i polsi a qualsiasi amministratore pubblico responsabile.
La verità è che l’Italia non può permettersi questi nuovi 16.000 social media manager. Non ora, non con questo debito pubblico, non mentre i servizi essenziali languono. Prima di pensare a come migliorare la propria immagine sui social, la pubblica amministrazione italiana dovrebbe preoccuparsi di migliorare la sostanza dei propri servizi. Perché, alla fine, nessun tweet ben confezionato potrà mai compensare una strada piena di buche o un ospedale senza personale sufficiente.