Il Partito Democratico di Pisa si trova al centro di una guerra fratricida che ha portato alla sospensione delle attività congressuali da parte del segretario regionale Emiliano Fossi. Una decisione straordinaria che ha fatto emergere uno scandalo dalle proporzioni significative, coinvolgendo tessere acquistate con i soldi del circolo e iscritti albanesi di dubbia riconducibilità al partito.
La controversia è emersa quando Stefano Ceccanti, costituzionalista e già parlamentare democratico, ha presentato un esposto dopo essere stato escluso dal voto nel proprio circolo. Gli era stato comunicato che non avrebbe potuto partecipare al congresso per “discrepanza tra l’anagrafe degli iscritti e quanto certificato dalla commissione congresso”, ma successivamente altri iscritti hanno potuto votare regolarmente. Ceccanti ha definito l’episodio “fuori dalle regole” e ha presentato ricorso ai garanti provinciali.
La battaglia interna vede contrapposti due candidati principali: Mario Iannella, di area bonacciniana e sostenuto da Antonio Mazzeo, e Marco Biondi, ingegnere edile-architetto vicino a Dario Nardella e all’area Schlein. Dietro questa contesa si nasconde una partita più ampia che coinvolge le ambizioni di Antonio Mazzeo, vicepresidente dell’assemblea regionale toscana, che necessita di una deroga per candidarsi a un terzo mandato, vietato dallo statuto regionale.
Le irregolarità più gravi riguardano proprio le modalità di tesseramento. Iannella ha ammesso di aver “preso dei soldi dal circolo di cui è segretario” per acquistare delle tessere, sostenendo che si trattava di un “prestito”. Parallelamente, tra i sostenitori di Biondi sono stati individuati operai albanesi tesserati nei cantieri che l’ingegnere dirigeva professionalmente. Una situazione che ha sollevato interrogativi sulla genuinità delle adesioni e sulla regolarità delle procedure di iscrizione.
L’elemento più paradossale della vicenda è che Iannella stesso ha denunciato le irregolarità nelle tessere di Biondi, senza tenere conto che anche tra i propri sostenitori vi fossero tessere acquisite con modalità controverse. Questa dinamica ha creato un’escalation di accuse reciproche che ha reso insostenibile la prosecuzione del congresso.
La complessità della situazione è accentuata dal fatto che Iannella ha recentemente vinto un concorso come ricercatore a tempo determinato presso l’Università di Bari, nello stesso dipartimento dove insegna Nicola Pignatelli, uno degli avvocati di Antonio Mazzeo. Una coincidenza che ha alimentato sospetti sui collegamenti tra le diverse figure coinvolte nella vicenda.
Il segretario regionale Emiliano Fossi ha quindi deciso di intervenire in maniera drastica, bloccando il congresso e inviando Diego Blasi, assessore a Prato e portavoce del Pd toscano, come emissario per monitorare la situazione e tentare una ricomposizione. La decisione è stata presa anche in vista delle cruciali elezioni regionali toscane previste per l’autunno, dove il partito non può permettersi divisioni interne che potrebbero compromettere la competizione elettorale.
La vicenda pisana rappresenta un test significativo per la tenuta democratica interna del Partito Democratico. Come sottolineato da Ceccanti, ciò che preoccupa non è tanto l’episodio specifico, quanto “l’atteggiamento della maggioranza del Pd, che non si pone limiti nella sua volontà di distruggere la minoranza riformista”. Il costituzionalista ha denunciato un “clima non di confronto fisiologico e democratico”, ma di “resa dei conti definitiva” che mira a contestare “non le posizioni ma la legittimità e l’esistenza stessa dell’opposizione interna”.
La sospensione del congresso ha creato una situazione di stallo che richiede un intervento equilibrato. Biondi ha dichiarato che le “presunte irregolarità riguardano un solo circolo e non possono oscurare il lavoro corretto, trasparente e partecipato svolto in tutti gli altri della città”. Dal canto suo, Iannella ha accolto “con favore la decisione del partito regionale di intervenire”, riconoscendo che “qualcosa non ha funzionato e non si può pensare di proseguire come nulla fosse”.
Il responsabile organizzazione del Pd toscano Luca Sani ha chiarito che l’intervento si è reso necessario per “riportare calma e unità all’interno del partito locale”, sottolineando come le “tensioni” si siano manifestate “in varie forme” attraverso “dichiarazioni, ricorsi, lettere inviate anche alla segreteria regionale”. La Commissione provinciale di garanzia aveva infatti già deliberato la sospensione di entrambi i candidati dall’attività di partito, contribuendo alla decisione finale di Fossi.
L’emissario regionale Diego Blasi ha il compito di “monitorare la situazione e contribuire a un percorso di ricomposizione”, ma la strada appare in salita. La questione non riguarda solo Pisa, ma si inserisce in un contesto più ampio di tensioni interne al partito toscano, dove si profila anche la questione della ricandidatura del presidente regionale Eugenio Giani e le ambizioni di altri esponenti locali come l’assessore regionale Alessandra Nardini.
La vicenda pisana si configura quindi come un microcosmo delle tensioni che attraversano il Partito Democratico a livello nazionale, dove il confronto tra diverse anime del partito rischia di degenerare in guerre di posizione che minacciano l’unità e l’efficacia politica. Le prossime settimane saranno decisive per capire se sarà possibile trovare una soluzione che rispetti le regole democratiche interne e consenta al partito di presentarsi unito alle prossime scadenze elettorali.
Il paradosso di questa “guerra fratricida” è che mentre il partito si lacera internamente su questioni di potere e controllo degli organismi locali, all’orizzonte si profilano sfide elettorali cruciali che richiederebbero invece la massima coesione. La festa dell’Unità nazionale di Firenze e le elezioni regionali toscane rappresentano appuntamenti che non ammettono distrazioni o divisioni interne, rendendo ancora più urgente la necessità di una ricomposizione che possa restituire credibilità e unità al Partito Democratico pisano e toscano.