Non è pubblicità, è sopravvivenza: smettetela di pretendere contenuti gratis

Un’analisi critica contro la mentalità che pretende contenuti gratuiti online, evidenziando come ad-blocker e rifiuto dei paywall danneggino l’ecosistema digitale e la qualità dell’informazione.

L’era digitale ha portato con sé un paradosso che pervade ogni angolo del web: da un lato una crescente domanda di contenuti di qualità sempre più elevata e specializzata, dall’altro una pretesa diffusa che tutto debba essere accessibile gratuitamente. Questa contraddizione, che attraversa ogni settore dell’informazione e dell’intrattenimento online, sta mettendo a serio rischio la sostenibilità economica di intere categorie professionali, dai giornalisti ai food blogger, dai content creator ai fotografi.

Il fenomeno dell’ad-blocking rappresenta uno degli esempi più emblematici di questa mentalità distorta. Secondo i dati del 2016, la percentuale di utenti con ad-blocker a livello globale si attestava al 30%, mentre in Italia raggiungeva il 13%. Questi numeri, apparentemente innocui, nascondono una realtà ben più complessa e dannosa per l’ecosistema digitale. L’utilizzo di sistemi di blocco pubblicitario non si limita a rimuovere banner fastidiosi, ma compromette sistematicamente le entrate degli editori, specialmente quelli di piccole e medie dimensioni che dipendono principalmente dai ricavi pubblicitari per sostenere i costi operativi e retribuire il personale.

La ricerca condotta da PageFair su un campione di 2.574 siti ha rivelato il reale impatto devastante che i sistemi di ad-blocking causano al mondo editoriale. Il processo di deterioramento segue un percorso prevedibile ma inesorabile: inizialmente gli editori registrano un incremento del traffico sulla pagina, dovuto alla possibilità per gli utenti di fruire dei contenuti senza essere distratti dagli annunci. Tuttavia, dopo circa un anno e mezzo, i piccoli e medi editori non riescono più a sostenere gli investimenti necessari per produrre contenuti di qualità, con conseguente diminuzione del traffico. Dopo tre anni, la pagina web registra una caduta di visualizzazioni che si attesta intorno all’8%, creando un circolo vizioso che porta alla progressiva riduzione della qualità e della quantità dei contenuti disponibili.

Johnny Ryan, head of ecosystem di PageFair, ha espresso con chiarezza la gravità della situazione: “Quello di cui stiamo parlando è la morte, la lenta morte delle nicchie e della diversità sul web”. Questa affermazione non rappresenta un allarmismo ingiustificato, ma una constatazione basata su dati concreti che evidenziano come l’utilizzo indiscriminato di ad-blocker stia contribuendo alla creazione di un web sempre più omogeneo e controllato da pochi grandi player, a discapito della pluralità informativa e della diversità dei contenuti.

La monetizzazione di un giornale online non è un’attività che si può improvvisare, come dimostrano le sfide quotidiane che gli editori devono affrontare per fare i conti con la crescita e l’evoluzione della rete. Al di là delle facili promesse e delle formule “magiche” che circolano spesso nel settore, a fare davvero la differenza sono competenza, serietà e soprattutto qualità. Per generare ricavi con la pubblicità sul proprio sito, non basta inserire banner o dedicarsi esclusivamente alla vendita di pubbliredazionali, ma è necessario sviluppare una strategia di monetizzazione complessa e articolata che richiede investimenti significativi in termini di tempo, risorse e competenze specialistiche.

Il tempo necessario per produrre un articolo di qualità rappresenta un investimento considerevole che spesso viene sottovalutato dal pubblico. Secondo le analisi del settore, servono almeno quattro ore di lavoro per produrre un articolo professionale. Questo tempo include la ricerca approfondita delle fonti, che richiede almeno un’ora per argomenti di base e molto di più per tematiche complesse, la redazione del testo che per contenuti tra 500 e 800 parole necessita di almeno un’ora e mezza, e le successive fasi di revisione, editing e ottimizzazione per i motori di ricerca. Considerando che il costo di redazione di contenuti varia tra 25 e 60 euro ad articolo, con tariffe che possono raggiungere 50-80 euro per articoli di 1500-2000 parole, appare evidente come la richiesta di contenuti gratuiti rappresenti una forma di sfruttamento inaccettabile.

Il settore del food blogging offre un esempio particolarmente significativo di questa dinamica. Realtà, come ad esempio “Il Club delle Ricette”, investono tempo, energia e risorse per creare contenuti di qualità costante. Questi professionisti non si limitano a condividere ricette sui social media, ma le devono studiare, ideare, creare e poi realizzare con elevati costi di sviluppo. La richiesta di ottenere gratuitamente sui social media quello che questi professionisti offrono sui loro siti rappresenta una mancanza di rispetto per il loro lavoro e per gli investimenti sostenuti.

La strategia del paywall sta emergendo come una soluzione sempre più adottata dai giornali online per garantire la sostenibilità economica e la qualità dei contenuti. Questa tendenza, diffusa a livello globale, sta ridefinendo le regole del giornalismo digitale, trasformando quello che un tempo era considerato una necessità in una vera e propria strategia di crescita. Il paywall consente alle testate di svincolarsi dalla volatilità del mercato pubblicitario, sempre più dominato da colossi tecnologici, e di avere entrate prevedibili che permettono una pianificazione più efficace e investimenti strategici nel lungo periodo.

I dati del Digital News Report 2020 del Reuters Institute mostrano che in Italia il 10% dei lettori intervistati paga per le news, un dato in crescita di un punto percentuale rispetto al 2019. Anche se questo numero può sembrare limitato, rappresenta un segnale importante di una crescente consapevolezza da parte del pubblico riguardo al valore dell’informazione di qualità. Countries come la Norvegia, dove il 42% dei fruitori di news risultano abbonati, dimostrano che è possibile costruire un modello sostenibile basato sui contenuti a pagamento quando esiste una cultura del rispetto per il lavoro giornalistico.

Google News Showcase rappresenta un riconoscimento esplicito da parte di uno dei maggiori player tecnologici del valore dei contenuti giornalistici di qualità. Gli editori partecipanti ricevono compensi mensili per la licenza dei loro contenuti, inclusi articoli che potrebbero essere dietro paywall, dimostrando che anche le piattaforme tecnologiche stanno riconoscendo la necessità di remunerare adeguatamente chi produce informazione di valore. Questo programma offre agli editori l’opportunità di aumentare il traffico verso i loro siti web, dove possono monetizzare ulteriormente attraverso pubblicità o abbonamenti.

La pretesa di ottenere contenuti di qualità senza contribuire economicamente alla loro produzione rappresenta una forma di parassitismo digitale che mina alle fondamenta la sostenibilità dell’intero ecosistema informativo. Ogni click su un ad-blocker, ogni rifiuto di sottoscrivere un abbonamento, ogni richiesta di contenuti gratuiti sui social media contribuisce a impoverire la qualità dell’informazione disponibile online e a precarizzare il lavoro di migliaia di professionisti che dedicano la loro vita alla creazione di contenuti di valore. È tempo di riconoscere che la gratuità ha un costo che, se non viene sostenuto dagli utenti, finisce inevitabilmente per essere pagato dalla qualità dei contenuti e dalla dignità del lavoro di chi li produce.