Delitto di Garlasco, Famiglia Poggi: “Noi e Chiara vittime di una campagna diffamatoria”

La famiglia di Chiara Poggi denuncia una “campagna diffamatoria” dopo il servizio de Le Iene su una presunta relazione della vittima, annunciando azioni legali a tutela della sua memoria.
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La famiglia Poggi torna a far sentire la propria voce con durezza inedita, denunciando attraverso i propri legali quella che definisce una “assillante campagna diffamatoria” orchestrata da organi di informazione e social network che sta coinvolgendo non soltanto i familiari della vittima, ma anche la memoria stessa di Chiara Poggi, la giovane uccisa a Garlasco il 13 agosto 2007

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l’ultima puntata della trasmissione televisiva Le Iene, andata in onda il 3 giugno, durante la quale sono state riportate le dichiarazioni di un testimone ormai deceduto che avrebbe fatto riferimento a una presunta relazione sentimentale tra Chiara e un uomo adulto. Gli avvocati Gian Luigi Tizzoni e Francesco Compagna, che rappresentano i genitori Giuseppe Poggi e Rita Preda insieme al fratello della vittima Marco, hanno immediatamente preso posizione definendo quelle dichiarazioni “già all’epoca ritenute del tutto false”.

La nota legale diffusa nella mattinata del 4 giugno non lascia spazio a interpretazioni e delinea un quadro di crescente preoccupazione per quello che viene descritto come un fenomeno di distorsione mediatica che avrebbe raggiunto livelli intollerabili. I legali della famiglia denunciano infatti “la continua sovrapposizione fra fughe di notizie, vere o presunte, riguardanti l’attività di indagine e le autonome ricostruzioni romanzesche liberamente costruite dai soggetti più vari”, situazione che avrebbe determinato “l’incontrollabile diffusione di ogni genere di insinuazioni in totale dispregio della realtà dei fatti”.

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La reazione dei genitori di Chiara è stata immediata e particolarmente emotiva, con Rita Preda che in un punto stampa organizzato davanti alla propria abitazione a Garlasco ha dichiarato senza mezzi termini: “Siamo disgustati dalle affermazioni fatte in questi giorni dalle varie trasmissioni televisive. Si continua a infangare la memoria di nostra figlia”. La madre di Chiara ha poi aggiunto con fermezza che la figlia “era una ragazza pulita, semplice. Non aveva segreti e non aveva amanti”, ribadendo che “non aveva due telefoni” e sottolineando come “quello che è grave è che si fanno illazioni su una ragazza che non può difendersi”.

Il caso del delitto di Garlasco è tornato prepotentemente sotto i riflettori della cronaca nazionale a seguito della riapertura delle indagini da parte della Procura di Pavia, che ha iscritto nel registro degli indagati Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara, per l’omicidio della ventiseienne. Questa nuova fase investigativa, che prevede un incidente probatorio fissato per il 17 giugno con l’analisi del DNA di diversi soggetti tra cui quello delle gemelle Stefania e Paola Cappa, ha riacceso l’attenzione mediatica su un caso che già in passato aveva sollevato interrogativi sul rapporto tra pressione dell’opinione pubblica e corso della giustizia.

Per la famiglia Poggi, tuttavia, la verità processuale rimane quella sancita dalla sentenza definitiva della Corte di Cassazione che nel 2015 ha confermato la condanna a 16 anni di carcere per Alberto Stasi, all’epoca fidanzato della vittima. “Le facciano pure queste nuove indagini, ma la verità sulla morte di nostra figlia è quella della sentenza di Cassazione, per noi vale quella”, ha dichiarato il padre Giuseppe Poggi durante il punto stampa. Questa posizione riflette la frustrazione di una famiglia che dopo quasi diciotto anni dal delitto si trova ancora una volta al centro di un vortice mediatico che ritiene dannoso e ingiustificato.

La strategia legale adottata dai Poggi appare chiara e determinata: gli avvocati hanno annunciato che la famiglia “provvederà da parte sua a ogni opportuna iniziativa giudiziaria a tutela della dignità e dell’onore di Chiara”. Questa dichiarazione di intenti assume particolare rilevanza nel contesto di un’epoca in cui la diffusione di informazioni attraverso i social network e la proliferazione di programmi televisivi dedicati alla cronaca nera hanno modificato sostanzialmente le dinamiche della comunicazione pubblica su casi giudiziari di particolare risonanza.

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La vicenda ha coinvolto anche altre famiglie legate al caso, con i legali della famiglia Cappa che hanno diffuso una nota altrettanto ferma attraverso gli avvocati Gabriele Casartelli e Antonio Marino. Le gemelle Stefania e Paola Cappa, cugine di Chiara Poggi, non sono mai state indagate ma si trovano ora coinvolte nelle nuove investigazioni per quanto riguarda l’analisi del DNA. I loro legali hanno denunciato la diffusione “in modo del tutto incontrollato, delle più assurde ed implausibili pseudo-informazioni” e hanno fatto sapere che “non tollereranno oltre questo modo di agire illecito e contrario alle norme di civile convivenza”.

Il servizio de Le Iene che ha scatenato le reazioni della famiglia Poggi ha incluso anche un’intervista esclusiva a Elisabetta Ligabò, madre di Alberto Stasi, registrata otto anni fa ma pubblicata solo ora. Nel corso dell’intervista, la donna ha ribadito la propria convinzione riguardo all’innocenza del figlio, definendo la sua condanna “un’ingiustizia totale” e sostenendo che “hanno indagato solo Alberto senza guardarsi intorno”. Queste dichiarazioni, pur rappresentando il punto di vista di una madre, contribuiscono ad alimentare quel clima di confusione informativa che i legali dei Poggi denunciano con crescente preoccupazione.

La questione sollevata dalla famiglia Poggi tocca temi di rilevanza più ampia che vanno oltre il caso specifico, investendo il delicato equilibrio tra diritto di cronaca, rispetto della privacy delle vittime e dei loro familiari, e corretta amministrazione della giustizia. L’appello rivolto dalle autorità preposte affinché “possano a loro volta contribuire a porre fine a simili reiterate condotte illecite” rappresenta una richiesta di maggiore controllo e responsabilizzazione del sistema mediatico. In un contesto in cui il confine tra informazione, intrattenimento e speculazione appare sempre più labile, la vicenda della famiglia Poggi costituisce un caso emblematico delle conseguenze che un’attenzione mediatica scomposta può avere sulla vita delle persone coinvolte in vicende giudiziarie, anche a distanza di molti anni dai fatti.