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Salute, Mangiare troppo pollo aumenta il rischio di cancro: ecco cosa dice il nuovo studio italiano

Uno studio dell’IRCCS De Bellis collega l’assunzione settimanale di pollo superiore a 300 grammi a un aumento della mortalità per tumori gastrointestinali; la filiera avicola contesta i limiti metodologici e invoca ricerche più ampie.
Credit © Unsplash

Il dibattito sull’impatto sanitario della carne avicola si è riacceso dopo la pubblicazione, sulla rivista Nutrients, di un studio dell’IRCCS “Saverio de Bellis” di Castellana Grotte che ha rilevato un potenziale aumento della mortalità per tumori gastrointestinali associato a un consumo settimanale di pollo superiore a 300 grammi. L’allarme ha immediatamente polarizzato l’opinione pubblica in un Paese dove la carne bianca viene spesso considerata alternativa salutare alla carne rossa e dove il consumo pro capite sfiora i 21,4 chilogrammi annui.

L’indagine pugliese ha seguito per diciannove anni 4.869 adulti di Castellana Grotte e Putignano, registrandone abitudini alimentari, stile di vita e cause di morte. Utilizzando il questionario EPIC per stimare l’introito settimanale di carne, i ricercatori hanno suddiviso il pollame in quattro fasce: meno di 100 grammi, 100–200 grammi, 201–300 grammi e oltre 300 grammi. Nei modelli di rischio competitivo, la fascia superiore ha mostrato un hazard ratio di 2,27 per i decessi oncologici dell’apparato digerente rispetto alla fascia inferiore, mentre già la classe intermedia di 100–200 grammi presentava un incremento del rischio pari al 35 percento.

Secondo gli autori, il dato ribalta l’immagine consolidata del pollame come carne “magro e sicuro”. La spiegazione ipotizzata chiama in causa una molteplicità di fattori, dalla formazione di ammine eterocicliche ad alte temperature alla possibile presenza di residui farmacologici nei mangimi, ma gli studiosi stessi riconoscono i limiti di un disegno osservazionale che non consente di stabilire nessi causali diretti né di isolare l’influenza di altre variabili confondenti.

La comunità scientifica internazionale ricorda che evidenze pregresse, comprese vaste coorti come UK Biobank, non hanno trovato associazioni significative fra consumo di pollo e tumori del colon-retto; al contrario, alcuni sottogruppi avevano mostrato deboli correlazioni con melanoma maligno, linfoma non Hodgkin e carcinoma prostatico, suggerendo un quadro più sfumato e dipendente dal tipo di neoplasia. Organizzazioni come il World Cancer Research Fund continuano a non classificare il pollame fra le carni a comprovata carcinogenicità, mentre diverse meta-analisi indicano un possibile effetto neutro o addirittura protettivo per alcune sedi tumorali.

Proprio sulla base di tali elementi, il comparto avicolo ha reagito con fermezza. Unaitalia, principale associazione di categoria, ha diffuso una nota in cui definisce “ingiustificato” l’allarmismo mediatico, sottolineando che lo studio si fonda su diari alimentari autocompilati, priva di un gruppo di controllo e circoscrive il campione a una specifica area geografica, riducendo la generalizzabilità dei risultati. Simili critiche provengono dalla National Chicken Council statunitense, che richiama la letteratura internazionale favorevole al consumo di pollame nell’ambito di diete bilanciate e segnala l’assenza di informazioni su modalità di cottura, attività fisica e fattori socioeconomici, tutti potenziali correttori di rischio.

La disputa si inserisce in un contesto mediatico in cui la comunicazione nutrizionale alterna ciclicamente demonizzazioni e riabilitazioni di singoli alimenti. Gli allevatori evidenziano come lo studio pugliese, pur meritando attenzione per durata del follow-up e dettaglio delle variabili epidemiologiche, non modifichi il peso delle evidenze aggregate che continuano a considerare la carne avicola una fonte proteica a basso tenore di grassi saturi. Gli autori, dal canto loro, rivendicano la necessità di approfondire la relazione tra consumo reale, spesso superiore alle soglie raccomandate, e malattie croniche ad alta incidenza, esortando a indagini multicentriche che includano parametri genetici, marcatori bioumorali e tracciabilità della filiera.

È degno di nota che il medesimo gruppo di ricerca abbia osservato un aumento del rischio per la carne rossa soltanto oltre i 350 grammi settimanali, mentre il pollame mostra un gradiente più ripido, ipoteticamente collegato alla maggiore frequenza di consumo in Italia. Tuttavia, l’interpretazione di queste soglie deve tener conto dell’errore di misurazione alimentare intrinseco ai questionari e della variabilità nella porzione domestica, elementi che, come segnalato dagli allevatori, potrebbero sovra- o sottostimare l’esposizione reale.

Le divergenze tra ricercatori e filiera produttiva convergono, tuttavia, su un punto: la necessità di campagne educative improntate alla moderazione e alla varietà, evitando semplificazioni che trasformano risultati preliminari in giudizi definitivi. Gli autori ribadiscono che il lavoro non invita all’eliminazione del pollo, bensì all adozione di quantità conformi alle linee guida nazionali, con attenzione ai metodi di preparazione e alla qualità del prodotto. Gli allevatori, dal canto loro, si dichiarano disponibili a collaborare con gli enti di ricerca per protocolli condivisi su tracciabilità, benessere animale e riduzione degli antibiotici, convinti che la trasparenza sia la migliore risposta a ogni timore di salute pubblica.

In assenza di trial randomizzati a lungo termine, il nesso tra pollo e cancro resta oggetto di approfondimento, ma l’attuale corpus di studi suggerisce un approccio prudente e contestualizzato. Gli epidemiologi invitano a considerare l’insieme della dieta mediterranea, caratterizzata da prevalenza di cereali integrali, legumi, frutta, verdura e olio extravergine d’oliva, dove le proteine animali trovano spazio in porzioni contenute e calibrate sul fabbisogno individuale. In tal modo, i risultati del De Bellis si collocano non come verità conclusiva, ma come stimolo per linee di ricerca capaci di integrare epidemiologia, scienze tecnologiche degli alimenti e pratiche di allevamento sostenibile.

Il lavoro pugliese propone un rapporto statistico fra introduzione elevata di carne di pollo e mortalità per tumori dell’apparato digerente, ma l’interpretazione resta controversa per limiti metodologici e divergenze con studi di coorte più ampi. Le repliche degli allevatori mettono in luce carenze di campionamento e controllo dei fattori confondenti, richiamando una vasta letteratura che giudica il pollame neutro o addirittura favorevole in ottica oncologica. Alla luce di questi elementi, la questione richiede ulteriori indagini multicentrali e un dialogo costante fra ricerca, filiera e autorità sanitarie, al fine di conciliare sicurezza alimentare, informazione corretta e tutela dei consumatori.Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!

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