La vicenda dell’ex influencer Andrea Pinna continua a riservare sviluppi allarmanti, con nuovi episodi che confermano un quadro di comportamenti sempre più gravi e preoccupanti. La giornalista Grazia Sambruna, che ha fatto esplodere il caso attraverso la sua newsletter e gli articoli pubblicati su MowMag, ha reso noti ulteriori particolari di quella che si configura come una vera e propria spirale di soprusi e intimidazioni nei confronti di decine di donne che si erano fidate dell’ex vincitore di Pechino Express.
Dal materiale documentato da Sambruna emerge un episodio di particolare gravità risalente all’autunno del 2024, quando Pinna avrebbe sottoposto a pressioni intimidatorie una donna al nono mese di gravidanza. La vittima, interessatasi attraverso le storie Instagram a una sedia a dondolo per l’allattamento, si sarebbe trovata coinvolta in una dinamica coercitiva che l’ha portata a versare una caparra di 100 euro senza aver mai confermato l’intenzione di acquistare il prodotto. L’episodio assume contorni particolarmente inquietanti per le modalità aggressive utilizzate dall’ex influencer, che avrebbe fatto ricorso a minacce di tipo legale per costringere la donna a effettuare il pagamento nonostante la sua condizione di vulnerabilità.
L’8 luglio 2025 rappresenta un’altra data cruciale nella ricostruzione della vicenda, poiché corrisponde all’ultima vendita documentata effettuata da Pinna prima della sua completa sparizione dai canali di comunicazione. Da quel momento, secondo quanto riportato dalle vittime intervistate da Sambruna, ogni tentativo di contatto con l’ex influencer è risultato vano, con tutti i numeri di telefono utilizzati per le transazioni commerciali che sono diventati irraggiungibili o che squillano a vuoto. Questa improvvisa interruzione delle comunicazioni ha lasciato decine di clienti in attesa di rimborsi o di consegne mai avvenute, alimentando ulteriormente le preoccupazioni su quella che molte considerano ormai una truffa sistematica.
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Particolarmente significative risultano le testimonianze raccolte tra gli ex amici di Pinna, che delineano un quadro di comportamenti problematici perpetrati nel corso di oltre un decennio. Secondo quanto riferito alla giornalista, l’ex influencer si sarebbe rivolto sistematicamente ai suoi conoscenti richiedendo sempre la stessa somma di denaro: 100 euro da versare immediatamente tramite PayPal. Questa modalità operativa, che gli ex amici descrivono come un’ossessione ricorrente, si ripeterebbe da almeno dieci anni con cadenza regolare, accompagnata da giustificazioni sempre diverse e spesso incomprensibili. Uno degli ex amici ha dichiarato di aver interrotto ogni rapporto dopo aver riconosciuto che Pinna “non voleva farsi aiutare”, mentre un altro ha sottolineato come la richiesta di denaro rappresentasse l’unico motivo per cui l’ex influencer si facesse sentire.
La trasformazione dell’attività di compravendita di beni di lusso in un’operazione su larga scala non ha sorpreso chi conosceva Pinna dal periodo milanese. Come riferito da una delle fonti interpellate da Sambruna, quando hanno visto che lanciava un’attività di vendita sui social, “nessuno si aspettava che sarebbe andata a finire bene”, poiché questo rappresentava semplicemente il proseguimento “più in grande” di quello che faceva già da tempo: chiedere denaro. L’ambiente milanese, stando a queste testimonianze, era già a conoscenza delle problematiche comportamentali di Pinna, tanto che si era “fatto terra bruciata intorno” proprio a causa di queste continue richieste di denaro.
Il totale delle somme coinvolte nella presunta truffa continua a crescere con l’emergere di nuove testimonianze. Secondo le stime più recenti riportate da Sambruna, il gruppo delle cosiddette “Oche Spennate” – denominazione scelta dallo stesso Pinna per il gruppo WhatsApp delle sue clienti – avrebbe versato complessivamente circa 30.000 euro per l’acquisto di borse, accessori e mobili che nella maggior parte dei casi non sono mai stati consegnati o sono risultati essere prodotti contraffatti di scarsissima qualità. Le clienti che hanno avuto la fortuna di ricevere qualcosa si sono trovate di fronte a quella che gli esperti hanno definito “paccottiglia fake”, molto lontana dai prodotti di lusso originali che erano stati promessi.
La strategia utilizzata da Pinna per eludere le responsabilità legali si è rivelata particolarmente insidiosa. L’ex influencer non accettava pagamenti intestati direttamente al suo nome, rimandando invece a una rete di presunti collaboratori, alcuni dei quali potrebbero non esistere realmente. Tra questi figura un certo Eugenio Piras, nome che curiosamente corrisponde a un personaggio presente in uno dei romanzi scritti dallo stesso Pinna, alimentando sospetti sulla natura fittizia di almeno parte di questa rete operativa. La maggior parte di questi collaboratori non risulta avere profili social verificabili, il che ha contribuito a creare un sistema di transazioni opaco e difficilmente tracciabile.
Un elemento particolarmente preoccupante riguarda il coinvolgimento nei pagamenti della madre di Pinna, Annamaria, nota a Quartu Sant’Elena come “Panina”. Secondo quanto riportato dalle vittime, la donna appare attiva nelle chat di compravendita e risulta beneficiaria di alcune transazioni, nonostante secondo le informazioni raccolte da Sambruna sarebbe una signora anziana “non in grado di usare il cellulare” a causa dell’età avanzata. Questo particolare solleva ulteriori interrogativi sulla reale identità di chi gestisce operativamente queste transazioni e sulla possibile esistenza di un sistema più ampio di identità virtuali utilizzate per confondere le vittime.
L’ultimo messaggio documentato inviato da Pinna alle sue clienti, datato 18 luglio 2025, rappresenta un tentativo esplicito di scoraggiare qualsiasi azione legale. Nel messaggio, l’ex influencer si dichiara “nullatenente” e privo di qualsiasi bene materiale, suggerendo alle vittime di rivolgersi pure agli avvocati ma avvertendo che “staremo in causa per anni, magari pure 17 come è successo a mia mamma per un rimborso”. Questa dichiarazione, oltre a confermare la consapevolezza della gravità della situazione, sembra configurarsi come un tentativo di utilizzare la propria condizione economica come scudo legale per evitare le conseguenze delle proprie azioni.
La vicenda assume ulteriori sfumature preoccupanti se si considera il contesto della condizione di salute mentale di Pinna. L’ex influencer, a cui nel 2016 è stato diagnosticato un disturbo bipolare, ha utilizzato sistematicamente la propria patologia per giustificare ritardi nelle consegne e problematiche varie, inviando messaggi in cui si scusava per i disagi causati dalla sua malattia. Tuttavia, esperti e vittime hanno sottolineato come l’appropriazione indebita di denaro non possa essere considerata sintomo di alcuna patologia psichiatrica, e come l’utilizzo strumentale di una condizione di vulnerabilità per fini commerciali rappresenti un aggravamento della posizione dell’accusato.
Il caso Pinna solleva interrogativi più ampi sulla responsabilità degli influencer nell’utilizzo della propria notorietà per attività commerciali e sulla necessità di maggiori controlli sulle transazioni che avvengono attraverso canali social non ufficiali. La vicenda dimostra come la fiducia generata da un personaggio pubblico possa essere facilmente sfruttata per scopi fraudolenti, lasciando le vittime senza adeguate tutele legali. L’utilizzo di modalità di pagamento che eludono le garanzie offerte dalle piattaforme digitali, combinato con la creazione di identità fittizie per ricevere i pagamenti, configura un modus operandi particolarmente sofisticato e difficile da contrastare.
Le autorità competenti dovranno ora valutare se sussistano gli estremi per configurare i reati di truffa aggravata, appropriazione indebita e possibile riciclaggio, considerando che i pagamenti venivano effettuati su conti non intestati direttamente all’accusato e potenzialmente non dichiarati al fisco. La sparizione di Pinna dai canali di comunicazione dopo l’8 luglio, documentata attraverso testimonianze fotografiche dell’ultima consegna effettuata in presenza, potrebbe rappresentare un ulteriore elemento di aggravamento della sua posizione legale, configurando un possibile tentativo di sottrarsi alle responsabilità civili e penali derivanti dalle proprie azioni.Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!