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Il cemento degli antichi romani si auto-ripara, ecco perché resiste da millenni

Ricercatori del MIT svelano il segreto millenario del cemento romano: clasti di calce viva che permettono l’autoriparazione delle strutture attraverso il processo di “hot mixing”, aprendo nuove prospettive per l’edilizia sostenibile moderna.
Credit © Unsplash

Il segreto della straordinaria resistenza delle costruzioni dell’antica Roma è stato finalmente svelato attraverso uno studio internazionale coordinato dal Massachusetts Institute of Technology che ha rivoluzionato la comprensione delle antiche tecnologie costruttive. Monumenti come il Pantheon, il Colosseo e gli acquedotti romani, ancora intatti dopo quasi duemila anni di intemperie e eventi sismici, devono la loro durabilità a una formula di cemento che contiene un meccanismo di autoriparazione mai completamente compreso fino ad oggi.

La ricerca, pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Science Advances, è stata condotta dal professore Admir Masic del MIT insieme a un team internazionale che comprende scienziati dell’Università di Harvard, istituti svizzeri e la startup italiana DMAT. L’indagine ha preso avvio dall’analisi di campioni di calcestruzzo provenienti dal sito archeologico di Priverno, nella provincia di Latina, la cui composizione risulta rappresentativa del cemento utilizzato nelle principali costruzioni dell’impero romano.

Gli studiosi si sono concentrati su piccoli elementi minerali bianchi presenti nel cemento romano, definiti “clasti di calce”, che per decenni erano stati considerati semplici residui di una lavorazione approssimativa o difetti di fabbricazione. Questa interpretazione, tuttavia, non riusciva a spiegare come strutture apparentemente “imperfette” potessero resistere per millenni, mentre le moderne costruzioni in calcestruzzo mostrano segni di deterioramento dopo poche decine di anni.

Il meccanismo di autoriparazione

Le analisi microscopiche e spettroscopiche hanno rivelato che i romani utilizzavano una tecnica denominata “hot mixing”, che consisteva nell’incorporare calce viva direttamente nell’impasto del calcestruzzo, contrariamente a quanto si riteneva in precedenza. La pratica comune ipotizzava che venisse utilizzata calce spenta, ovvero calce viva già idratata con acqua, ma le evidenze sperimentali hanno dimostrato l’utilizzo deliberato di calce viva non trattata.

Quando la calce viva entra in contatto con l’acqua durante il processo di miscelazione, genera una reazione esotermica che riscalda l’intero impasto, portando alla formazione di inclusioni di carbonato di calcio dalle caratteristiche uniche. Questi clasti di calce sviluppano un’architettura nanoparticellare particolarmente fragile che crea una fonte di calcio facilmente fratturabile e altamente reattiva all’interno della struttura cementizia.

Credit © science.org

Il sistema di autoriparazione si attiva quando si verificano crepe nella struttura e l’acqua piovana o l’umidità penetra nelle fessure. A differenza del calcestruzzo moderno, dove l’infiltrazione d’acqua tende ad allargare le crepe compromettendo l’integrità strutturale, nel cemento romano i clasti di calce reagiscono con l’acqua creando una soluzione satura di calcio che può ricristallizzarsi come carbonato di calcio, riempiendo automaticamente le fessure prima che queste si propaghino.

La formula del cemento romano

La composizione del calcestruzzo romano si basava su una sapiente combinazione di ingredienti locali che conferivano al materiale proprietà eccezionali. L’elemento chiave era la pozzolana, una cenere vulcanica estratta principalmente nella zona di Pozzuoli, nei Campi Flegrei, che veniva spedita in tutto l’impero romano per la realizzazione delle costruzioni più importanti. Questa cenere vulcanica, ricca di silicati e alluminio, reagiva chimicamente con l’idrossido di calcio presente nella calce, creando composti cementizi estremamente stabili e resistenti.

La ricetta tradizionale prevedeva la miscelazione di una parte di calce con tre parti di pozzolana per ottenere una malta idraulica capace di indurire anche sott’acqua. A questa base venivano aggiunti i “caementa”, frammenti di pietra grezza come scaglie di tufo, travertino, selce e pezzi di mattoni o tegole rotte, che conferivano resistenza meccanica alla struttura finale.

Credit © science.org

La calce veniva prodotta attraverso la cottura di pietre calcaree o marmo in fornaci aerate a circa 900 gradi Celsius, un processo che richiedeva significativamente meno energia rispetto alla produzione del moderno cemento Portland, che necessita di temperature superiori ai 1400 gradi. Questo aspetto rendeva la produzione romana non solo più efficiente dal punto di vista energetico, ma anche considerevolmente meno impattante dal punto di vista ambientale.

Le evidenze sperimentali

Per dimostrare la validità delle loro teorie, i ricercatori del MIT hanno condotto esperimenti pratici creando due campioni di calcestruzzo: uno preparato secondo la formulazione antica con miscelazione a caldo, l’altro realizzato con tecniche moderne standard. Entrambi i campioni sono stati deliberatamente danneggiati per creare delle crepe, quindi esposti all’acqua per osservare il comportamento nel tempo.

I risultati hanno confermato in modo inequivocabile le proprietà autoriparanti del cemento romano: il campione preparato con la tecnica antica ha mostrato una completa chiusura delle fessure nel giro di due settimane, mentre quello moderno non ha manifestato alcuna capacità di rigenerazione. Le analisi hanno inoltre evidenziato che le lesioni che possono essere riparate automaticamente hanno dimensioni nell’ordine dei decimi di millimetro, sufficienti per prevenire la propagazione di danni strutturali più gravi.

Implicazioni per l’edilizia moderna

La comprensione dei meccanismi che governano la durabilità del cemento romano apre prospettive rivoluzionarie per l’industria delle costruzioni contemporanea. L’implementazione di queste tecniche potrebbe portare alla realizzazione di calcestruzzi con una durata funzionale estesa fino al 50% rispetto ai materiali attuali, riducendo drasticamente i costi di manutenzione e la necessità di ricostruzioni premature delle infrastrutture.

Dal punto di vista ambientale, l’adozione di formulazioni ispirate al cemento romano potrebbe contribuire significativamente alla riduzione delle emissioni globali di gas serra, considerando che la produzione di cemento rappresenta attualmente circa l’8% delle emissioni totali di anidride carbonica a livello mondiale. La minore temperatura richiesta per la produzione e la maggiore durabilità del prodotto finale si traducono in un impatto ambientale complessivamente ridotto.

Le applicazioni pratiche di questa tecnologia potrebbero essere particolarmente vantaggiose per le strutture esposte a condizioni ambientali severe, come le installazioni portuali, i sistemi fognari e le opere in zone sismicamente attive, dove la capacità di autoriparazione rappresenterebbe un valore aggiunto fondamentale per la sicurezza e la longevità delle costruzioni.

La commercializzazione della tecnologia

I ricercatori stanno attualmente lavorando per trasferire queste scoperte dal laboratorio alla produzione industriale attraverso la startup italiana DMAT, fondata per commercializzare formulazioni di calcestruzzo autoriparante a prezzi competitivi. L’obiettivo non è la replica fedele delle tecniche romane, ma l’integrazione dei principi fondamentali di autoriparazione nel contesto delle moderne tecnologie di produzione del cemento.

La sfida principale consiste nel trovare sostituti adeguati alla pozzolana romana in regioni del mondo dove la cenere vulcanica non è facilmente reperibile, mantenendo però le proprietà chimiche essenziali per il funzionamento del meccanismo di autoriparazione. Gli studi sono attualmente concentrati sull’utilizzo di ceneri vulcaniche provenienti dagli Stati Uniti occidentali e sulla sperimentazione con altri materiali pozzolanici artificiali.

La ricerca rappresenta un esempio emblematico di come l’archeologia sperimentale e l’ingegneria dei materiali possano convergere per risolvere sfide contemporanee, dimostrando che le soluzioni tecnologiche del passato possono ancora offrire spunti innovativi per affrontare le problematiche del presente e del futuro nella costruzione di un’edilizia più sostenibile e duratura.Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!

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