Scarica l'App NewsRoom.
Non perderti le ULTIME notizie e le ALLERTA METEO in tempo reale.

Scarica GRATIS

La crisi dei balneari? Come i Taxi, sono un monopolio e manca la concorrenza

Balneari e tassisti rappresentano esempi paradigmatici di come monopoli e privilegi impediscano liberalizzazioni necessarie per modernizzare l’economia italiana.

Il malcontento estivo verso balneari e tassisti non è soltanto una questione di tariffe troppo elevate, ma rivela un problema strutturale molto più profondo che attraversa il sistema economico italiano: la resistenza alle liberalizzazioni e alla concorrenza in settori chiave dei servizi pubblici. Mentre le spiagge italiane registrano un calo delle presenze tra il 20% e il 30% per l’estate 2025 e i cittadini lamentano l’inefficienza del trasporto pubblico non di linea nelle grandi città, emerge chiaramente come questi fenomeni siano sintomi di un sistema che da decenni protegge rendite di posizione a scapito del mercato e dei consumatori.

I numeri del settore balneare fotografano con precisione questa anomalia italiana: gli stabilimenti balneari hanno un fatturato medio di 260.000 euro annui, mentre versano allo Stato canoni demaniali che nel 2024 si attestano su un minimo di 3.225 euro, rappresentando appena l’1,2-1,3% del fatturato secondo i calcoli di Legambiente. Un rapporto tra costi pubblici e profitti privati talmente squilibrato da apparire grottesco quando confrontato con altri settori dell’economia: emblematico è il caso della Costa Smeralda, dove la Smeralda Holding dell’emiro del Qatar paga soltanto 520 euro all’anno per l’utilizzo esclusivo di spiagge che generano tariffe fino a 400 euro al giorno per ombrellone e lettini.

Parallelamente, nel settore dei taxi la situazione appare altrettanto cristallizzata in una logica corporativa che impedisce l’adeguamento dell’offerta alla domanda. Le tre principali città italiane presentano livelli di disponibilità del servizio drammaticamente insufficienti: Roma registra il 44% di probabilità che una chiamata taxi non riceva risposta, Milano il 38% e Napoli addirittura il 47%. Questo deficit strutturale si spiega con la scarsità artificiale delle licenze, il cui valore di mercato oscilla tra 90.000 e 150.000 euro nelle principali città, trasformando quello che dovrebbe essere un servizio pubblico in un bene speculativo trasmissibile per eredità o vendibile come un titolo azionario.

La questione delle concessioni balneari rappresenta un caso esemplare di come la mancanza di concorrenza generi distorsioni economiche e sociali. La Direttiva Bolkestein del 2006 impone agli Stati membri di aprire alla concorrenza tutti i servizi, incluse le concessioni demaniali, attraverso procedure trasparenti e non discriminatorie. Tuttavia, l’Italia ha continuato per oltre diciassette anni a rinviare l’applicazione di questa normativa europea, ricorrendo a proroghe automatiche che hanno consolidato posizioni di privilegio senza alcuna giustificazione economica o sociale. Il risultato è un sistema in cui 12.166 concessioni balneari generano profitti enormemente sproporzionati rispetto ai contributi versati all’erario pubblico, mentre ampie porzioni di costa rimangono inaccessibili ai cittadini che ne sono i legittimi proprietari in quanto beni demaniali.

Il blocco delle liberalizzazioni ha conseguenze che vanno ben oltre la sfera economica, investendo la qualità della vita dei cittadini e la competitività del sistema paese. Nel settore dei taxi, il numero delle licenze rimane congelato da decenni: Milano non emette nuove autorizzazioni dal 2003, Roma dal 2005, Napoli dal 1998, con il record negativo di Livorno ferma al 1977. Questa scarsità programmata mantiene artificialmente elevato il valore delle licenze esistenti, creando un circolo vizioso in cui chi possiede il titolo ha tutto l’interesse a impedire l’ingresso di nuovi operatori, mentre i cittadini subiscono disservizi cronici e tariffe non competitive.

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha denunciato ripetutamente questa “strutturale inadeguatezza del numero delle licenze” nelle principali città italiane, evidenziando come le misure adottate dai vari governi, incluso il recente decreto Asset che prevede un aumento massimo del 20% delle licenze, risultino del tutto insufficienti rispetto alle dimensioni del problema. La stessa logica protezionistica si ripropone nel comparto balneare, dove le associazioni di categoria invocano la protezione governativa “dagli attacchi dei tecnocrati di Bruxelles”, trasformando il rispetto delle normative europee sulla concorrenza in una questione di sovranità nazionale piuttosto che di efficienza economica.

La resistenza alle liberalizzazioni si manifesta anche attraverso il ricorso sistematico a strumenti giuridici e politici volti a procrastinare ogni cambiamento. Recenti pronunce del TAR Liguria e del TAR Puglia hanno stabilito che le proroghe automatiche delle concessioni demaniali devono essere disapplicate in quanto incompatibili con il diritto europeo, ma nella prassi molti operatori continuano a gestire le strutture come se nulla fosse cambiato. Nel settore dei taxi, ogni tentativo di riforma viene sistematicamente bloccato da proteste che paralizzano il servizio nelle principali città, costringendo i decisori politici a cedere alle pressioni corporative piuttosto che perseguire l’interesse generale.

Questo sistema di privilegi genera costi sociali enormi che ricadono sull’intera collettività. Le famiglie italiane che quest’estate hanno rinunciato alle vacanze al mare a causa dei prezzi eccessivi, i turisti stranieri che denunciano l’inefficienza del trasporto pubblico locale, le imprese che faticano a reperire servizi adeguati sono tutte vittime di un modello che antepone la tutela di interessi particolari alla creazione di valore per l’economia nel suo complesso. La mancanza di concorrenza non solo mantiene artificialmente elevati i prezzi, ma riduce anche gli incentivi all’innovazione e al miglioramento qualitativo dei servizi, perpetuando standard che in molti altri paesi europei sarebbero considerati inaccettabili.

Le soluzioni esistono e sono già state sperimentate con successo in numerosi paesi dell’Unione Europea. L’apertura alla concorrenza attraverso gare pubbliche trasparenti per le concessioni demaniali garantirebbe maggiori entrate per l’erario, prezzi più competitivi per i consumatori e una gestione più efficiente delle risorse naturali. Nel settore dei trasporti, la liberalizzazione delle licenze taxi accompagnata da adeguati meccanismi di regolazione permetterebbe di ampliare significativamente l’offerta, riducendo i tempi di attesa e migliorando la qualità del servizio. L’esperienza di città come Londra, dove coesistono taxi tradizionali e nuove forme di mobilità in un mercato concorrenziale, dimostra che è possibile coniugare tutela dell’occupazione e soddisfazione dei consumatori.

La Corte Costituzionale ha recentemente dichiarato illegittimo il blocco delle licenze per il noleggio con conducente, aprendo uno spiraglio verso una maggiore liberalizzazione del trasporto pubblico non di linea. Tuttavia, senza una volontà politica chiara e continuativa, anche questa apertura rischia di rimanere lettera morta di fronte alla resistenza degli interessi costituiti. La sfida per il sistema politico italiano è quella di scegliere definitivamente tra la tutela di rendite parassitarie e la costruzione di un’economia moderna basata sui principi della concorrenza e dell’efficienza, che rappresentano i fondamenti stessi del mercato unico europeo di cui l’Italia fa parte da oltre sessant’anni.Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!

Add a comment

Lascia un commento