Emilio Fede è morto. Le sue condizioni di salute, già da tempo precarie, si erano aggravate nelle ultime ore e l’ex direttore di Studio Aperto e del TG4 era ricoverato presso la Residenza San Felice di Segrate. Con lui scompare uno dei protagonisti più longevi e controversi del giornalismo televisivo italiano, una figura che ha attraversato oltre cinquant’anni di informazione tra Rai e Mediaset, lasciando un’impronta che ha segnato il modo di raccontare la politica e la cronaca nel nostro Paese.
Nato a Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, il 24 giugno 1931, Fede iniziò la carriera come collaboratore per alcuni quotidiani, tra cui Il Momento – Mattino di Roma e La Gazzetta del Popolo. Nel 1958 entrò in Rai, dove lavorò come inviato e conduttore, facendosi conoscere dal grande pubblico. La sua crescita professionale fu rapida: nel 1981 divenne direttore del TG1, incarico che mantenne fino al 1982, periodo in cui contribuì a consolidare la centralità del notiziario della prima rete. Dopo l’esperienza in Rai, negli anni Novanta il suo percorso si intrecciò con quello delle reti di Silvio Berlusconi.
Nel 1991 fu nominato primo direttore di Studio Aperto, il nuovo telegiornale di Italia 1, che debuttò il 16 gennaio, lo stesso giorno dello scoppio della guerra del Golfo. Durante la maratona televisiva dedicata al conflitto, Fede ricevette in diretta da New York la notizia dell’inizio dell’operazione Desert Storm, facendo di Studio Aperto il primo telegiornale italiano a dare la notizia, un momento destinato a rimanere nella storia dell’informazione televisiva.
L’anno successivo, nel giugno 1992, assunse la direzione del TG4 di Rete 4, incarico che mantenne fino al marzo 2012, diventandone il direttore più longevo. Nei vent’anni di guida, Fede trasformò il TG4 in una testata fortemente caratterizzata, con una linea editoriale esplicitamente schierata e vicina a Silvio Berlusconi.
Lo stile diretto, talvolta polemico e non privo di toni accesi, rese il telegiornale oggetto di critiche da parte dell’opinione pubblica e delle autorità di vigilanza, ma anche un appuntamento seguito da milioni di telespettatori che riconoscevano nel suo direttore un volto familiare e inconfondibile. Negli anni successivi Fede rimase al centro del dibattito pubblico non solo per la sua attività giornalistica, ma anche per vicende giudiziarie che segnarono la sua vita. Il caso più noto fu quello legato al cosiddetto “Ruby bis”, nel quale fu indagato e condannato per favoreggiamento della prostituzione minorile e induzione alla prostituzione. Le sentenze, confermate fino in Cassazione, portarono a pene scontate agli arresti domiciliari, compatibili con la sua età e le condizioni di salute.
Nonostante ciò, continuò a comparire nei media come personaggio spesso al centro di polemiche, con episodi curiosi e talvolta grotteschi, come quello dell’evasione dai domiciliari nel 2020. La sua carriera, lunga oltre mezzo secolo, fu segnata da un’identificazione fortissima con il mondo berlusconiano, di cui divenne una delle voci più riconoscibili e allo stesso tempo più divisive. Oltre all’attività professionale, la sua vita fu legata a quella della moglie, la giornalista e politica Diana De Feo, sposata nel 1965 e scomparsa nel 2021. Dalla loro unione nacquero due figlie, Sveva e Simona.
Con la morte di Emilio Fede si chiude una stagione della televisione italiana che ha visto il giornalismo passare da un modello tradizionale e istituzionale, tipico della Rai degli anni Sessanta e Settanta, a quello fortemente personalizzato, polemico e spesso spettacolarizzato delle reti private. Amato e criticato, considerato da alcuni un simbolo di fedeltà e da altri un esempio di giornalismo fazioso, Fede ha rappresentato una parte significativa della storia dell’informazione televisiva italiana, contribuendo a definirne linguaggi, limiti e contraddizioni.Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!