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Il Natale a settembre, sintomo di un consumismo bulimico che ha perso ogni ritegno

Sui social cresce la protesta: il Natale che arriva a settembre genera stress e rigetto. La festa perde magia e diventa un’ossessione da scaffale. Un altro segno di una società sempre più bulimica.

È ancora estate, almeno sul calendario. Le giornate sono lunghe, le temperature restano alte in molte regioni d’Italia e l’autunno non ha ancora fatto il suo ingresso. Eppure, passeggiando tra le corsie dei supermercati o entrando in alcuni grandi negozi, si ha la sensazione straniante di essere già a dicembre. Non è un’allucinazione collettiva, né una stravaganza estemporanea: è la realtà di un sistema economico che ha completamente perso il senso della misura. Panettoni, pandori, torroni, ceste natalizie, decorazioni, ghirlande, lucine e palline fanno la loro comparsa prima ancora che le foglie inizino a cadere. Il Natale, ormai, si gioca d’anticipo. E ogni anno sempre un po’ prima.

Quello che fino a pochi anni fa sarebbe sembrato assurdo o grottesco — proporre dolci natalizi con oltre tre mesi di anticipo — oggi è diventato prassi. I supermercati, sempre più spesso, dedicano interi reparti già a metà settembre a prodotti che, per tradizione, dovrebbero far parte dell’atmosfera dicembrina. E i negozi, complici le logiche dei grandi gruppi internazionali, iniziano a vestire i panni del Natale ancor prima che abbiano smesso di vendere costumi da bagno. Non si tratta più solo di un’anticipazione: è un’invasione.

Ma c’è di più, ed è un dato che non può essere ignorato. Sui social network — Instagram, Facebook, X (ex Twitter), TikTok — si moltiplicano le segnalazioni ironiche, indignate, persino infastidite di clienti che si trovano di fronte panettoni e lucine natalizie già a inizio settembre. Foto, video e commenti sottolineano l’assurdità della situazione, ma da questa ironia trapela una reazione sempre più diffusa: la repulsione. Un sentimento che cresce di anno in anno e che, paradossalmente, sta ottenendo l’effetto opposto rispetto a quello sperato dai reparti marketing: il Natale, da momento di gioia, condivisione e serenità, sta diventando un momento di stress, ansia e rigetto.

Molti utenti parlano di “saturazione”, di “esaurimento anticipato”. E non è difficile capirne il motivo. Quando una festa viene imposta con mesi di anticipo, quando i suoi simboli vengono svuotati e messi in vetrina fuori contesto, la magia si perde. Non si attende più il Natale, non lo si desidera: lo si subisce. Lo si vede arrivare troppo presto e, quando finalmente arriva, è già logoro, stanco, privato di ogni carica emotiva. Diventa una data che genera solo ansia da prestazione: regali da acquistare, cene da organizzare, spese da sostenere, tutto in un clima già avvelenato da mesi di bombardamento pubblicitario.

Questa anticipazione forzata delle festività non è un’innocente trovata commerciale, ma il sintomo evidente di una patologia più profonda: una bulimia di consumo che non concede tregue, che divora le stagioni e cancella il ritmo naturale del tempo per sostituirlo con un eterno presente fatto di acquisti, promozioni, offerte lampo. È come se vivessimo in un gigantesco centro commerciale senza uscite, dove ogni giorno è buono per vendere qualcosa, dove ogni occasione viene piegata a una logica di profitto istantaneo.

Le logiche di mercato che spingono a introdurre il Natale a settembre non sono neutre: mettono pressione psicologica sui consumatori, li costringono a pensare agli acquisti con mesi di anticipo, creano un senso di urgenza artificiale. Si innesca così un ciclo infinito in cui l’attesa viene eliminata e sostituita dall’ansia, dalla pianificazione forzata, dal senso di inadeguatezza. Una festa che dovrebbe essere liberatoria diventa un obbligo, un altro carico da sopportare.

E a perdere, in questo meccanismo, non è solo la qualità dell’esperienza natalizia, ma anche il valore simbolico della festa. Una tradizione che, al di là delle sue connotazioni religiose, dovrebbe rappresentare un momento di pausa e condivisione, viene svuotata e trasformata in una corsa agli acquisti che inizia con largo anticipo e termina con l’abbuffata di Capodanno. Tutto è merce, tutto è fretta, tutto è consumo.

Siamo arrivati a un punto in cui non è più il calendario a dettare il tempo delle nostre vite, ma il marketing. E questo dovrebbe inquietarci più di quanto siamo disposti ad ammettere. Perché una società che non sa più attendere, che brucia ogni momento prima che possa essere vissuto, è una società che ha perso la propria capacità di desiderare.

Il Natale a settembre è il simbolo perfetto di questa deriva. Non è solo una forzatura stagionale: è l’indicatore di un sistema che ha trasformato la gioia in stress, l’attesa in saturazione, la festa in strategia di vendita. È tempo di ribellarsi a questa accelerazione forzata e di difendere il tempo, le stagioni, e soprattutto la libertà di vivere le feste quando è il momento, non quando il mercato lo impone.Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!