Il governo italiano ha adottato una linea di rigore nei confronti dei cittadini italiani coinvolti nella missione umanitaria della Global Sumud Flotilla, intercettata dalla marina militare israeliana lo scorso 2 ottobre in acque internazionali. La posizione dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni è stata chiarita attraverso fonti ufficiali: l’assistenza consolare sarà garantita secondo gli standard diplomatici, ma le spese di rimpatrio non graveranno sui contribuenti italiani.
La premier ha seguito personalmente l’evolversi della situazione durante il Consiglio europeo informale di Copenhagen, monitorando sul proprio dispositivo mobile il tracciamento delle imbarcazioni dirette verso Gaza. Nel frattempo, il vicepremier Antonio Tajani e il ministro della Difesa Guido Crosetto coordinavano le operazioni dalla sede della Farnesina, mantenendo contatti diretti con le controparti israeliane per evitare escalation violente.
Le autorità israeliane hanno intercettato quarantadue delle quarantasette imbarcazioni della Flotilla, arrestando oltre quattrocentosettanta attivisti provenienti da diversi paesi europei. Tra questi figurano quarantasei cittadini italiani, inclusi quattro parlamentari dell’opposizione e tre giornalisti. Gli abbordaggi sono avvenuti a circa settanta miglia nautiche dalle coste di Gaza, in acque considerate internazionali secondo il diritto marittimo.
Gli attivisti fermati sono stati trasferiti inizialmente nel porto israeliano di Ashdod per le procedure di identificazione, successivamente condotti nel centro di detenzione di Ketziot, situato nel deserto del Negev. Le autorità diplomatiche italiane hanno ottenuto garanzie sulle condizioni di detenzione e sulla possibilità di visite consolari, evitando che i connazionali già espulsi in precedenza da Israele dovessero affrontare procedure giudiziarie prolungate.
La strategia governativa prevede due modalità di rimpatrio: l’espulsione volontaria immediata, che consente agli attivisti di lasciare il territorio israeliano entro ventiquattro-quarantotto ore, e l’espulsione forzata, che richiede un decreto dell’autorità giudiziaria israeliana con tempi stimati tra le quarantotto e le settantadue ore. In entrambi i casi, secondo le indicazioni dell’esecutivo, i costi dei voli di rientro non saranno sostenuti dallo Stato italiano.
Il ministro degli Esteri Tajani ha confermato che se Israele dovesse presentare fatture per i voli in partenza dalla base aerea di Ramon, questi importi dovrebbero essere coperti direttamente dagli attivisti. La decisione rappresenta una rottura con precedenti prassi diplomatiche che prevedevano il finanziamento pubblico di voli charter per il rimpatrio di cittadini italiani in situazioni di emergenza all’estero.
I quattro parlamentari coinvolti nella missione – il senatore del Movimento Cinque Stelle Marco Croatti, l’eurodeputata del Partito Democratico Annalisa Corrado, il deputato democratico Arturo Scotto e l’eurodeputata di Alleanza Verdi e Sinistra Benedetta Scuderi – sono stati rilasciati dalle autorità israeliane dopo intense trattative diplomatiche. Il loro rientro è avvenuto attraverso un volo di linea commerciale, con assistenza del personale dell’ambasciata italiana a Tel Aviv.
La posizione del governo ha suscitato reazioni contrastanti. Il team legale della Flotilla ha definito “improbabile” che l’esecutivo possa effettivamente scaricare sugli attivisti i costi dei voli di Stato, sostenendo che le autorità italiane sarebbero comunque tenute a organizzare un trasporto speciale per i propri cittadini. Dall’altra parte, fonti della maggioranza hanno precisato che la decisione non costituisce una “vendetta politica” ma una scelta di principio per non far ricadere sulle casse pubbliche le conseguenze di azioni individuali considerate controverse.
Il caso evidenzia le tensioni all’interno del governo italiano tra l’alleanza strategica con Israele e la pressione dell’opinione pubblica nazionale, sempre più critica verso l’offensiva militare nella Striscia di Gaza. La premier Meloni ha definito la missione della Flotilla “irresponsabile” e “pericolosa”, argomentando che tale iniziativa rischia di compromettere i negoziati di pace in corso e di alimentare ulteriormente il conflitto nella regione.
L’operazione diplomatica ha comunque conseguito alcuni risultati positivi. Gli attivisti italiani non sono stati sottoposti a interrogatori approfonditi né a procedure giudiziarie complesse, limitandosi alla firma di un documento che riconosce il tentativo di ingresso illegale nel territorio israeliano. Inoltre, è stata evitata la detenzione prolungata per coloro che erano già stati espulsi da Israele in precedenti occasioni.
Le autorità israeliane hanno organizzato voli charter dall’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv verso Madrid e Londra per il 6 e 7 ottobre, destinazioni richieste dagli stessi attivisti. Questa soluzione logistica consente di evitare il coinvolgimento diretto dell’Italia nell’organizzazione dei trasporti, mantenendo la linea politica stabilita dall’esecutivo di non sostenere economicamente le operazioni di rimpatrio.
Il dibattito sulla gestione della crisi ha coinvolto anche aspetti operativi interni al governo. Secondo ricostruzioni giornalistiche, si sarebbe verificato un confronto acceso tra la presidente del Consiglio e il ministro della Difesa Crosetto riguardo all’invio della fregata Fasan per monitorare la situazione. La decisione di autorizzare la missione navale senza preventiva consultazione con Palazzo Chigi avrebbe generato tensioni ai vertici dell’esecutivo.
L’episodio rappresenta un precedente significativo nella politica estera italiana, segnando una netta distinzione tra assistenza consolare e sostegno finanziario alle operazioni di rimpatrio. La scelta del governo Meloni di non farsi carico delle spese di trasporto costituisce un messaggio politico chiaro verso chi partecipa a missioni considerate controverse o potenzialmente destabilizzanti per gli equilibri diplomatici regionali.Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!