La strategia comunicativa di Ryanair, da sempre caratterizzata da un tono provocatorio e ironico sui canali social, ha varcato nuovamente i confini della controversia. Il 15 novembre 2025, sui profili Instagram e X della compagnia aerea irlandese destinati al mercato italiano, è apparso un post che ha innescato un acceso dibattito digitale e mediatico. La frase incriminata recitava: «Ci riserviamo il diritto di non servire chi indossa tute da maranza», accompagnata da una caption altrettanto perentoria: «Facciamo noi le regole».
Il messaggio, concepito secondo i canoni della comunicazione ironica che caratterizza da anni la presenza social della low cost, ha immediatamente generato una valanga di reazioni contrastanti. Tra i commenti si sono alternati utenti che hanno applaudito la provocazione con affermazioni apertamente discriminatorie («Fuori i maranza dall’Italia», «Si prospetta una radicale impennata di prenotazioni sul sito Ryanair») e altri che hanno contestato duramente la scelta linguistica, definendola razzista e inopportuna. «Se pago mi servite e pure veloci», ha ribattuto qualcuno, mentre altri hanno ironizzato sull’incoerenza tra il posizionamento low cost del vettore e l’atteggiamento esclusivo: «La regina delle lowcost, dove notoriamente salgono quelli con le giacche di tweed».
La polemica non si è limitata alla piattaforma digitale. Numerosi media nazionali hanno rilanciato la notizia, trasformando il post in un caso comunicativo di portata nazionale. La compagnia, tuttavia, non ha fatto alcun passo indietro. A distanza di giorni dalla pubblicazione, il contenuto controverso è rimasto visibile sui profili ufficiali, senza correzioni o dichiarazioni di scuse da parte del team di comunicazione. Un atteggiamento coerente con la linea adottata negli anni: non scusarsi mai, ma utilizzare ogni polemica come amplificatore di visibilità.
Per comprendere appieno la portata della questione, è necessario analizzare il significato e le implicazioni del termine «maranza». Originariamente diffuso nel gergo giovanile milanese degli anni Ottanta e Novanta, il sostantivo indicava giovani dalle maniere rozze e dall’abbigliamento appariscente, equiparabile ai concetti di «tamarro» o «coatto». La parola, tuttavia, ha assunto nel tempo connotazioni ben più problematiche. Secondo studi linguistici condotti da Emanuele Banfi e Lorenzo Coveri, l’etimologia potrebbe derivare dal dialettale «maranza» (melanzana), con allusioni al colore della pelle, oppure da una sovrapposizione con termini come «marrakesh» o «marocco», utilizzati con intento dispregiativo per riferirsi ai meridionali o agli immigrati nordafricani.
Oggi il termine è tornato prepotentemente alla ribalta, alimentato dalla viralità di TikTok, dove l’hashtag dedicato ha superato il miliardo di visualizzazioni. Il maranza contemporaneo viene identificato attraverso un codice estetico preciso: tute acetate Nike o Lacoste con loghi ben visibili, borse a tracolla o marsupi di brand luxury (spesso contraffatti), sneakers Nike TN, cappellini con visiera, capelli ricci lasciati fuori dal cappuccio. Questo stile streetwear, accompagnato da un linguaggio diretto e spesso volgare, è fortemente legato alla cultura trap e drill e rappresenta l’espressione identitaria di gruppi giovanili prevalentemente delle periferie urbane del Nord Italia. Ma la connotazione del termine rimane ambigua: può essere utilizzato con tono scherzoso o affettuoso, oppure con evidente intento denigratorio, specialmente quando riferito a giovani di origine nordafricana o italiani di seconda generazione.
È proprio questa sfumatura etnica a rendere il post di Ryanair particolarmente divisivo. Numerosi utenti hanno interpretato il messaggio come discriminatorio, sottolineando come l’appellativo «maranza» venga sempre più frequentemente associato, nei contesti urbani italiani, a ragazzi di origine nordafricana. Il riferimento alle «tute da maranza», quindi, non sarebbe stato percepito come una semplice battuta sull’abbigliamento sportivo, ma come un attacco velato a una categoria etnica e sociale specifica. In un’epoca in cui la sensibilità verso linguaggio e stereotipi è cresciuta esponenzialmente, l’iniziativa della compagnia aerea ha riacceso il dibattito sulla linea di confine tra ironia e discriminazione nella comunicazione commerciale.
La strategia social di Ryanair non è certo una novità. Da anni la compagnia ha costruito la propria identità digitale attraverso un linguaggio irriverente, autoironico e spesso ai limiti della provocazione. Post come «Più facile prendere un volo e trasferirsi, che fare lo Spid» o «Il venerdì è per viaggiare, non per far finta di lavorare» sono diventati virali proprio grazie al tono dissacrante e alla capacità di intercettare trend e linguaggi della Gen Z. La social media creator italiana di Ryanair, Camilla Macchia, ha spiegato in diverse interviste come l’obiettivo della comunicazione sia generare visibilità e engagement, anche a costo di suscitare reazioni negative. «Quando si lavora sui social, bisogna spesso assumersi il rischio di avere una comunicazione audace e irriverente», ha dichiarato, sottolineando come ogni contenuto sia pensato per creare conversazioni intorno al brand e diminuire la frizione legata al modello low cost.
Il modello comunicativo adottato da Ryanair si basa sul principio della «complicità con il pubblico». Ironizzare sui servizi ridotti all’essenziale, sui sedili scomodi, sugli spazi ristretti, diventa un modo per gestire le aspettative e trasformare le critiche in contenuto condivisibile. Su TikTok, l’aereo con gli occhi e la bocca creato dal team social dialoga direttamente con gli utenti come se fosse un creator, intercettando trend virali prima che raggiungano il picco di popolarità. Questo approccio ha permesso a Ryanair di costruire una fanbase di milioni di follower e di trasformare ogni polemica in un’opportunità di visibilità. Ma il caso delle «tute da maranza» pone una questione differente: fino a che punto l’ironia può spingersi senza trasformarsi in un messaggio offensivo o discriminatorio?
Nel panorama del marketing contemporaneo, l’uso dell’ironia è considerato un’arma a doppio taglio. Da un lato, può aumentare l’engagement, rendere il brand più umano e memorabile, creare legami emotivi con il pubblico. Dall’altro, comporta rischi significativi: ambiguità interpretative, offese involontarie a categorie specifiche, banalizzazione di tematiche delicate. Gli esperti di comunicazione sottolineano come l’ironia debba essere calibrata con estrema attenzione, evitando di ironizzare su questioni legate a salute, disabilità, etnia, genere o religione, dove il rischio di backlash diventa elevato. Nel caso di Ryanair, la scelta di utilizzare un termine con chiare connotazioni razziali, seppur in chiave ironica, ha evidentemente superato quella soglia di accettabilità per una parte consistente del pubblico.
Il fenomeno della comunicazione provocatoria di Ryanair si inserisce in un contesto più ampio di brand che utilizzano l’autoironia e il sarcasmo come elementi distintivi. In Italia, casi come quello di Taffo nel settore funerario hanno dimostrato come l’humor nero possa diventare un elemento di riconoscibilità, pur mantenendosi entro limiti etici. Ryanair ha portato questo approccio all’estremo, trasformando ogni critica in contenuto e ogni limite in opportunità di provocazione. Ma mentre in passato le battute autoironiche sui servizi minimi o sui costi extra potevano strappare un sorriso senza conseguenze, il riferimento ai «maranza» ha toccato una corda più sensibile, quella della discriminazione etnica e sociale.
La questione solleva interrogativi più ampi sul ruolo dei brand nella società contemporanea. Le aziende possono permettersi di rimanere neutrali su tematiche sociali delicate? La risposta degli esperti di comunicazione è sempre più netta: l’indifferenza viene percepita come una presa di posizione. I consumatori, specialmente quelli delle fasce più giovani, premiano i brand autentici e coerenti con valori di inclusione, sostenibilità e rispetto. Utilizzare termini o stereotipi potenzialmente discriminatori, anche in chiave ironica, rischia di alienare proprio quel pubblico che la comunicazione social di Ryanair vorrebbe conquistare.
Nonostante le critiche, Ryanair continua a registrare numeri impressionanti sui social: oltre due milioni di follower su TikTok, centinaia di migliaia su Instagram e X, engagement elevato su ogni contenuto pubblicato. Questo successo quantitativo pone una domanda scomoda: l’efficacia comunicativa può giustificare scelte eticamente discutibili? La risposta della compagnia sembra essere affermativa. Come dichiarato dalla stessa Macchia, l’obiettivo non è piacere a tutti, ma far parlare del brand. E sotto questo profilo, la strategia funziona: ogni polemica si traduce in milioni di impressions, articoli sui giornali, discussioni online. Ma questa logica, che privilegia la visibilità a ogni costo, potrebbe rivelarsi insostenibile nel lungo periodo, specialmente in un contesto in cui i consumatori chiedono sempre più coerenza, autenticità e responsabilità sociale ai brand. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!
