L’autonomia differenziata, introdotta dalla Legge 26 giugno 2024 n. 86, rappresenta uno dei cambiamenti più rilevanti degli ultimi anni nel rapporto tra Stato e Regioni. Tra le materie potenzialmente interessate dal trasferimento di competenze figura anche la protezione civile, ambito strategico per la sicurezza nazionale e per la gestione delle emergenze che ciclicamente colpiscono il Paese. L’effetto di questa riforma, tuttavia, non è né immediato né uniforme: non produce automaticamente nuove attribuzioni, ma offre alle Regioni la possibilità di chiedere maggiori poteri attraverso un’intesa con lo Stato, dalla durata massima di dieci anni e rinnovabile, nel rispetto dei principi costituzionali di unità, solidarietà e coesione territoriale.
L’autonomia differenziata si inserisce in un quadro giuridico già strutturato, nel quale il Servizio nazionale della protezione civile, disciplinato dalla legge 225/1992 e dal Codice della protezione civile (D.Lgs. 1/2018), si caratterizza per un modello multilivello. Lo Stato conserva il ruolo di indirizzo, coordinamento e dichiarazione delle emergenze di rilievo nazionale; le Regioni partecipano alla programmazione, alla pianificazione, alla gestione operativa e al coordinamento delle strutture sul territorio; i Comuni svolgono il ruolo di front line dell’allerta, della prevenzione e dell’intervento immediato. La riforma dell’autonomia non scardina questa architettura, ma apre la possibilità di modificarne l’equilibrio interno, ampliando la libertà delle Regioni nel disciplinare organizzazione, strumenti e risorse della protezione civile regionale, a condizione che ciò non generi nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
In un contesto caratterizzato da eventi calamitosi sempre più frequenti e intensi — dai fenomeni idrogeologici alle ondate di calore, fino ai terremoti e agli incendi boschivi — la prospettiva di una maggiore autonomia può costituire un’opportunità per rafforzare la capacità delle Regioni di rispondere alle specificità del proprio territorio. La possibilità di adattare norme, modelli organizzativi e sistemi di prevenzione alla morfologia e alle vulnerabilità locali rappresenta uno dei principali elementi positivi. Regioni caratterizzate da rischio idrogeologico elevato, per esempio, potrebbero sviluppare strategie più mirate di manutenzione, allerta e gestione del territorio; quelle esposte a incendi boschivi ricorrenti potrebbero investire con maggiore agilità su piani regionali e infrastrutture specifiche; quelle con forte presenza industriale potrebbero potenziare le strutture per il rischio tecnologico. L’autonomia, se ben progettata, potrebbe inoltre incentivare l’efficienza amministrativa, la rapidità decisionale e la valorizzazione delle competenze tecniche locali, creando un sistema più reattivo e meno vincolato da procedure centralizzate. Anche il rapporto con il volontariato di protezione civile, uno dei pilastri del sistema italiano, potrebbe beneficiare di una governance più vicina ai territori, capace di riconoscere e valorizzare le peculiarità delle organizzazioni locali.
Accanto a queste potenzialità si collocano criticità non trascurabili. La protezione civile è infatti uno dei settori che più richiede uniformità nazionale, interoperabilità tra le strutture, standard formativi e operativi condivisi, capacità di coordinamento immediato e senza ambiguità in caso di emergenze che spesso superano i confini regionali. Una frammentazione normativa e organizzativa potrebbe ostacolare l’universalità degli interventi, indebolendo l’efficacia delle risposte nei contesti più complessi. La classificazione della protezione civile come materia “non-LEP”, ossia non soggetta al vincolo dei livelli essenziali delle prestazioni, solleva inoltre interrogativi sulla garanzia di equità tra cittadini di diverse Regioni: l’assenza di standard minimi vincolanti potrebbe accentuare disparità nella qualità della prevenzione, della pianificazione e dell’assistenza in caso di eventi calamitosi. A ciò si aggiunge il rischio che Regioni con maggiore capacità amministrativa o disponibilità di risorse possano ampliare ulteriormente il divario rispetto a quelle meno strutturate, rendendo il sistema nazionale complessivamente più disomogeneo.
Un altro punto critico riguarda il ruolo dello Stato. Pur mantenendo le funzioni di indirizzo e coordinamento, un’eccessiva devoluzione potrebbe complicare la gestione unitaria delle emergenze nazionali, soprattutto in situazioni che richiedono un comando chiaro e immediato. La forza del Servizio nazionale della protezione civile italiano è sempre stata la capacità di lavorare come un corpo unico; qualsiasi riforma deve evitare di indebolire questa caratteristica. Va inoltre considerata la complessità del processo di intesa previsto dalla legge 86/2024, che richiede valutazioni finanziarie puntuali, monitoraggio continuo e verifiche periodiche. La clausola di invarianza finanziaria, se da un lato tutela la finanza pubblica, dall’altro rischia di limitare la reale efficacia dell’autonomia, impedendo alle Regioni di ottenere risorse proporzionate ai nuovi compiti.
Il futuro rapporto tra autonomia differenziata e protezione civile dipenderà dalle scelte politiche e istituzionali che verranno compiute nei prossimi anni. Ogni Regione potrà decidere se richiedere maggiori competenze e in quale forma; lo Stato dovrà valutare la coerenza di tali richieste con l’interesse nazionale e con la capacità di mantenere un sistema equilibrato. La sfida sarà trovare un punto di equilibrio tra personalizzazione territoriale ed esigenze di unità operativa, tra autonomia responsabile e coesione solidale. La protezione civile è, più di altre materie, un settore in cui la vita delle persone dipende dalla rapidità, dall’efficienza e dalla coordinazione delle istituzioni. Per questo, qualsiasi processo di autonomia dovrà essere sostenuto da una visione strategica comune, da strumenti di controllo efficaci e da un impegno condiviso a non indebolire ma, al contrario, rafforzare l’impianto nazionale.
L’autonomia differenziata può essere un’occasione per innovare il sistema della protezione civile, ma solo se affrontata con rigore tecnico, prudenza istituzionale e un costante orientamento alla sicurezza collettiva. La sfida non sarà solo amministrativa, ma culturale: trasformare la diversificazione in un valore aggiunto senza rinunciare alla solidarietà che da sempre caratterizza il modello italiano. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!
