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Chernobyl, avvistati dei cani blu ma non è colpa delle radiazioni

Tre cani dalla colorazione blu acceso avvistati a Chernobyl nel 2025 hanno suscitato speculazioni circa mutazioni radioattive.
Credit © Clean Futures Fund/Instagram

La zona di esclusione di Chernobyl ha catalizzato ancora una volta l’attenzione mediatica mondiale con il mistero dei cani dal mantello blu acceso, avvistati nei pressi dell’ormai celebre sito nucleare ucraino. Le immagini, diffuse da volontari e ricercatori operanti nella regione durante il mese di ottobre 2025, hanno immediatamente suscitato speculazioni circa mutazioni genetiche indotte dalla contaminazione radioattiva. Tuttavia, la realtà scientifica rivela un quadro ben diverso da quello suggerito dalla narrazione sensazionalistica che ha accompagnato la circolazione virale del fenomeno.

I tre cani oggetto della documentazione sono stati individuati dai team operativi dell’organizzazione Dogs of Chernobyl, struttura affiliata al programma no-profit Clean Futures Fund, durante le operazioni di routine dedicate al controllo demografico della popolazione canina presente nella zona d’esclusione. Il team ha sottoposto a verifica ciascuna immagine attraverso geotagging, certificando l’autenticità documentaria degli scatti acquisiti il 6 ottobre 2025. Gli animali, sebbene presentassero una colorazione straordinaria e uniforme, mostravano condizioni di salute apparentemente idonee, caratterizzati da mobilità normale e assenza di segni di malattia conclamata.

La comunità scientifica ha prontamente contrastato l’ipotesi ricorrente della mutazione radioattiva. La dottoressa Jennifer Betz, direttore medico veterinario di Dogs of Chernobyl, ha esplicitamente dichiarato che “no, i cani non sono diventati blu a causa delle radiazioni e no, non stiamo dicendo che siano diventati blu a causa delle radiazioni”. L’affermazione perentoria rispecchia la determinazione degli esperti nel contrastare una narrazione distorta che confonde il sensazionalismo con l’accuratezza scientifica. L’organizzazione ha inoltre evidenziato come il cambiamento cromatico, manifestatosi improvvisamente e in modo omogeneo sull’intero mantello, non potrebbe risultare da un processo mutazionale genetico, il quale richiederebbe tempi evolutivi drasticamente differenti.

L’ipotesi prevalente formulata dalla comunità di ricercatori attivi in loco punta verso una contaminazione chimica di natura decisamente più banale e, per certi versi, comica dal punto di vista scientifico. Durante le investigazioni condotte nel medesimo sito in cui erano stati avvistati i cani dal manto blu, il team ha effettivamente scoperto una attrezzatura da bagno portatile, comunemente denominata “porta-potty” nel gergo tecnico. Questo genere di strutture contiene un fluido chimico caratterizzato da un’intensa colorazione azzurra, impiegato per deodorare i rifiuti umani. La Dottoressa Betz ha ipotizzato che gli animali, in comportamento perfettamente coerente con l’etologia canina, si siano deliberatamente rotolati o abbiano trascorso tempo prolungato in contatto diretto con tale sostanza, determinando una saturazione totale del mantello.

Questa conclusione, pur non potendo essere tecnicamente verificata fino al momento della cattura e dell’analisi microbiologica dei campioni biologici, rappresenta l’esplicazione più coerente con i dati empirici disponibili. I team operativi hanno tentato per molteplici occasioni di catturare gli animali ricorrendo a tecniche di sedazione mediante colpi di freccetta, ma i cani, manifestando una paura estrema del contatto umano tipica della popolazione ferrale, hanno eludito ripetutamente i tentativi di contenimento. Tale resistenza ha impedito l’acquisizione di campioni biologici definitivi sino ad oggi.

La situazione assume significato nel contesto della popolazione canina che popola la zona d’esclusione dal 1986 in poi, quando l’evacuazione di 120.000 persone ha determinato l’abbandono di animali domestici successivamente adattati alla vita selvaggia. Questa popolazione unica al mondo è stata oggetto di ricerche genetiche intense nel corso dei decenni, rivelando la presenza di mutazioni genetiche distintive, sebbene la letteratura scientifica contemporanea dibatta circa il grado effettivo di correlazione con l’esposizione radiativa cronica. Gli studi longitudinali hanno dimostrato, con precisione, che i cani di Chernobyl hanno sviluppato adattamenti biologici peculiari, ma il fenomeno della colorazione blu riveste caratteristiche incompatibili con meccanismi mutagenesi.

Il direttore veterinario ha sottolineato ulteriormente come l’applicazione di marcatori colorati temporanei, pratica corrente durante le campagne di sterilizzazione, comporta l’utilizzo di colori vivaci quali blu, rosso, verde e viola, applicati solamente sulla sommità del capo per identificare gli animali sottoposti a intervento chirurgico. Questi marcatori si dissolvono naturalmente nel corso di ventotto quarantotto ore e rimangono circoscritti alla regione superiore della testa. La colorazione osservata nei tre cani in questione, al contrario, si estendeva lungo l’intera superficie corporea, escludendo con certezza questa prassi veterinaria quale responsabile.

Precedenti episodi analoghi di cani dal mantello blu erano stati documentati in ambito internazionale, in particolare nella regione russa di Dzeržinsk nel 2021, territorio caratterizzato da una storica tradizione di produzione chimica industriale. In quel caso specifico, le analisi successive avevano identificato residui di solfato di rame quale responsabile della colorazione anomala, confermando il principio secondo cui l’esposizione a composti chimici industriali rappresenta la spiegazione più probabile di fenomeni cromatici anomali riscontrati in popolazioni animali ferali.

Gli esperti hanno inoltre rassicurato la comunità scientifica e l’opinione pubblica circa l’assenza di pericolo diretto associato alla contaminazione chimica osservata. La Dottoressa Betz ha specificato che, nella contingenza in cui gli animali non procederanno al leccamento sistematico dei residui presenti sul mantello, l’esposizione risulterà sostanzialmente inoffensiva e il colore si dissolverà mediante i normali cicli di pulizia corporea spontanea. I team continuano tuttavia le operazioni di ricerca e cattura, con l’obiettivo secondario di sterilizzare gli animali e rimuovere fisicamente la contaminazione chimica attraverso il lavaggio. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!