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Cosa sono le pettole e perché si fanno a Santa Cecilia?

Le pettole sono frittelle di pasta lievitata fritte in olio, tradizionalmente preparate il 22 novembre per Santa Cecilia a Taranto. La tradizione risale al 1210 quando una donna distatta dal predicare di San Francesco lasciò lievitare eccessivamente l’impasto del pane e lo frisse, creando così questa specialità.

Le pettole rappresentano una delle più affascinanti e autentiche espressioni della tradizione culinaria meridionale, intimamente legata alla festa di Santa Cecilia, celebrata il 22 novembre. Si tratta di globi irregolari di pasta lievitata, fritta in abbondante olio bollente, che incarna secoli di storia, spiritualità e simbolismo religioso radicato nelle comunità pugliesi, particolarmente a Taranto, dove questa pratica ha assunto dimensioni di autentico fenomeno culturale.

Il termine “pettole” trae origine dall’antico greco e significa letteralmente “palline” oppure “cuscini”, da cui deriva l’appellativo popolare “cuscini del bambino Gesù”, denominazione che evidenzia il legame profondo tra questo prodotto gastronomico e la dimensione spirituale del periodo natalizio. Da un punto di vista composizionale, le pettole si caratterizzano per un impasto particolarmente morbido, costituito da farina, acqua, olio e lievito naturale o di birra, che viene fatto lievitare per diverse ore fino al raddoppio del volume. Una volta raggiunta la giusta consistenza, l’impasto viene portionato tramite cucchiaini e immerso in olio preriscaldato a temperatura controllata, generando quelle forme globulari e irregolari che contraddistinguono il prodotto finale.

La connessione tra le pettole e la festa di Santa Cecilia affonda le radici in una leggenda di particolare rilievo storico e culturale, risalente al novembre del 1210. Secondo la tradizione orale tramandata nel corso dei secoli, una donna tarantina residente in Città Vecchia, intenta a preparare il pane secondo la consueta pratica domestica, si distrasse uscendo sul balcone di casa per ascoltare le predicazioni di San Francesco d’Assisi, il quale in quel periodo evangelizzava la città. Nel frattempo, la pasta stesa a lievitare subì un processo di fermentazione eccessiva, rendendo impossibile l’infornatura secondo i canoni tradizionali. Piuttosto che disperdere l’impasto, la donna decise di riciclarlo friggendolo in olio caldo, generando così le prime frittelle. Inizialmente le condì con cannella e zucchero, che i figli apprezzarono immediatamente, mentre in seguito, per offrirle al marito reduce dalle fatiche della pesca quotidiana, aggiunse all’impasto pezzi di acciuga. Secondo la narrazione, una volta terminata la frittura, scese in strada per offrire le pettole agli zampognari che, con le loro musiche, avevano reso possibile questa invenzione gastronomica.

Altre varianti della medesima leggenda attribuiscono un ruolo volontario a San Francesco, raccontando che fosse stato il Santo stesso a distrarre intenzionalmente la donna dalla finestra mentre passava davanti alla sua abitazione. Ulteriori versioni ancora riferiscono che la signora fosse occupata a conversare con una vicina e non si accorgesse tempestivamente che l’impasto aveva già compiuto il suo corso di lievitazione. Indipendentemente dalle sfumature narratrici, il significato profondo rimane costante: dall’errore, dal distrarre, dalla necessità di riciclare nasce un capolavoro culinario che segna il passaggio verso il periodo più solenne dell’anno.

Il collegamento con Santa Cecilia, martire cristiana del II secolo e patrona della musica e dei musicisti, assume un significato simbolico di notevole portata. A Taranto, la festa della Santa acquisisce valenze particolari perché rappresenta ufficialmente l’inizio del periodo natalizio e dell’Avvento. Nella notte del 22 novembre, le bande musicali cittadine percorrono le vie della città durante le prime ore dell’alba, suonando le caratteristiche pastorali tarantine e risvegliando la comunità con una musica che penetra profondamente nell’anima collettiva. È precisamente per compensare i musicisti impegnati in questa processione solenne che le famiglie tarantine preparano le pettole, offrendo loro questo dono gastronomico come segno di gratitudine e di comunione spirituale.

La pratica culinaria associata alle pettole varia notevolmente a seconda della geografia e delle tradizioni locali. A Taranto, la preparazione segue la ricetta più tradizionale, con le pettole condite dolcemente mediante spolverata di zucchero, oppure arricchite con ingredienti salati come acciughe sott’olio. Nel Salento leccese, le prime pettole vengono fritte già l’11 novembre, in occasione della festa di San Martino, seguendo un antico proverbio che recita: “Ti la Mmaculata la prima ffrizzulata, ti la Cannilora l’ultima frizzola”, ovvero nel giorno dell’Immacolata avviene la prima preparazione di pettole, mentre nel giorno della Candelora si prepara l’ultima frittura dell’anno. A Matera, l’usanza prevede che l’impasto venga preparato al primo mattino della vigilia di Natale, per essere fritto e consumato ancora caldo verso mezzogiorno come spuntino in attesa del cenone. A Monte Sant’Angelo si aggiungono patate lesse all’impasto per conferire maggiore morbidezza al prodotto finale. Nel territorio salentino più esteso, le varianti prevedono anche l’aggiunta di ingredienti quali capperi, olive, pomodorini e altri elementi che raccontano direttamente il territorio di appartenenza.

Per quanto riguarda il profilo nutrizionale e la tecnica di preparazione, la temperatura dell’olio riveste un ruolo cruciale nel determinare il successo della frittura. Gli esperti culinari concordano su una temperatura ideale di 170 gradi Celsius, poiché temperature superiori provocherebbero l’eccessiva bruciatura esterna dell’involucro mentre l’interno resterebbe insufficientemente cotto. La fase di lievitazione richiede tipicamente quattro o cinque ore a temperatura controllata tra i 26 e i 28 gradi Celsius, garantendo così un prodotto finale con la giusta struttura e la desiderata morbidezza interna. Una volta estratte dall’olio, le pettole devono essere immediatamente condite secondo la preferenza locale: lo zucchero granulato per la versione dolce, oppure l’aggiunta di ingredienti salati per la variante salata.

La tradizione delle pettole testimonia valori profondamente radicati nella cultura meridionale: l’economia domestica, la necessità di non sprecare alimenti, la creatività popolare nel trasformare apparenti disastri in creazioni culinarie memorabili, e soprattutto il significato comunitario e religioso attribuito al cibo come mezzo di condivisione spirituale. Nel contesto tarantino contemporaneo, il 22 novembre continua a rappresentare un momento di straordinaria emozione collettiva, quando il profumo delle pettole che sfrigolano nelle pentole si miscela con le note delle pastorali suonate dalle bande musicali, creando un’atmosfera quasi mistica che attraversa il tessuto urbano. Questo fenomeno culturale, lontano dall’essere una semplice rievocazione storica, rimane vivissimo e profondamente sentito dalle comunità locali, rappresentando uno dei rituali più affascinanti e autentici della tradizione italiana meridionale. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!