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Mediaworld, iPad Air venduti a 15 euro sul sito: cosa è successo e cosa accadrà ora

L’8 novembre MediaWorld ha venduto per errore iPad Air M3 a 15 euro invece di circa 800: ora chiede ai clienti di restituirli o pagare la differenza, ma la legittimità della richiesta è contestata.

La catena di elettronica MediaWorld si trova al centro di una vicenda destinata a far discutere consumatori e giuristi per le settimane a venire, dopo che un clamoroso errore tecnico sulla piattaforma e-commerce ha permesso a un numero imprecisato di clienti di acquistare un iPad Air M3 da 13 pollici al prezzo irrisorio di 15 euro, contro un valore di mercato compreso tra i 784 e gli 879 euro a seconda della configurazione.

I fatti risalgono all’8 novembre 2025, quando sul sito e sull’applicazione mobile di MediaWorld è comparsa un’offerta riservata ai possessori della carta fedeltà che proponeva il tablet Apple con uno sconto del 98%, una percentuale talmente elevata da sembrare irreale ma che, nel contesto del periodo pre-Black Friday caratterizzato da promozioni aggressive e campagne di marketing particolarmente spregiudicate, non ha destato sospetti immediati in molti consumatori che hanno proceduto all’acquisto senza esitazione.

L’iter di acquisto si è svolto in maniera del tutto regolare, senza che emergessero segnali di anomalia: gli ordini venivano accettati dal sistema, le conferme di disponibilità del prodotto arrivavano puntuali via email e, per coloro che optavano per il ritiro presso i punti vendita fisici, il pagamento dei 15 euro avveniva direttamente alla cassa con rilascio di scontrino fiscale e documentazione standard, il tutto sotto gli occhi dei dipendenti della catena che non hanno sollevato obiezioni di sorta.

La situazione è precipitata undici giorni dopo l’accaduto, quando il 19 novembre MediaWorld ha inviato ai clienti coinvolti una comunicazione via posta elettronica ordinaria, non tramite PEC o raccomandata, nella quale l’azienda spiegava che il prezzo pubblicato era “manifestamente errato” a causa di un “disguido tecnico straordinario e imprevisto sulla piattaforma e-commerce”, definendo l’accaduto un “errore macroscopico” che rendeva la vendita “economicamente insostenibile e non rappresentativa della nostra offerta commerciale”.

Le due alternative proposte dall’azienda

Nella medesima comunicazione, MediaWorld ha prospettato ai clienti due possibili soluzioni presentate come “via amichevole” per “ripristinare l’equilibrio contrattuale”: la prima opzione prevede il mantenimento del prodotto previo versamento di 619 euro aggiuntivi entro dieci giorni dalla ricezione della mail, con l’applicazione di uno sconto di 150 euro rispetto al prezzo di listino a titolo di risarcimento per il disagio arrecato; la seconda alternativa consiste nella restituzione gratuita dell’iPad, con ritiro a domicilio tramite corriere o consegna presso il punto vendita più vicino, accompagnata dal rimborso dei 15 euro versati e da un buono spesa del valore di 20 euro utilizzabile per acquisti futuri.

L’azienda ha giustificato la propria posizione richiamandosi alla “normativa vigente” e a un “principio giuridico volto a preservare l’equilibrio contrattuale laddove si verifichi un errore di tale portata”, sottolineando che l’approccio scelto intendeva “privilegiare la relazione con il cliente” offrendo “soluzioni che andassero oltre la mera applicazione della norma”.

Il nodo giuridico: cosa prevede il Codice Civile

La questione solleva interrogativi di natura legale che potrebbero richiedere l’intervento della magistratura per essere definitivamente risolti, poiché il cuore della controversia ruota attorno all’articolo 1428 del Codice Civile, il quale stabilisce che “l’errore è causa di annullamento del contratto quando è essenziale ed è riconoscibile dall’altro contraente”, un principio che in astratto potrebbe sostenere le ragioni della catena di elettronica ma che nella pratica presenta sfumature interpretative tutt’altro che scontate.

Secondo l’avvocato Massimiliano Dona, esperto in diritto dei consumatori interpellato dalla stampa specializzata, il punto centrale della vicenda riguarda proprio la “riconoscibilità dell’errore da parte del cliente”, un requisito che l’azienda deve necessariamente dimostrare per ottenere l’annullamento del contratto, provando la “consapevolezza del consumatore di abusare dell’errore del venditore”.

Il legale ha precisato che non è sufficiente sostenere che uno sconto del 98 per cento costituisca di per sé un errore evidente, poiché in un contesto commerciale dominato da “offerte a tempo, flash sale, promozioni e concorsi” il consumatore potrebbe ragionevolmente aver ritenuto di trovarsi di fronte a una strategia pubblicitaria particolarmente aggressiva piuttosto che a un malfunzionamento tecnico, soprattutto considerando che l’offerta era riservata ai titolari di carta fedeltà, una categoria di clienti abitualmente destinataria di condizioni privilegiate.

Gli elementi a favore dei consumatori

Diversi fattori sembrano deporre a favore dei consumatori che hanno approfittato dell’offerta: innanzitutto il contesto temporale, con il Black Friday alle porte e un clima commerciale caratterizzato da ribassi eccezionali che rendono meno immediata la percezione di un prezzo anomalo come errore piuttosto che come promozione particolarmente vantaggiosa; in secondo luogo il fatto che l’intero processo di acquisto sia stato completato senza interruzioni né verifiche intermedie, con conferme automatiche e, nei casi di ritiro in negozio, un controllo umano alla cassa che non ha sollevato obiezioni; infine la circostanza che le condizioni di vendita allegate agli ordini non contenessero alcuna clausola che escludesse gli errori di prezzo o prevedesse la possibilità di ricalcoli successivi.

L’Associazione Nazionale Consumatori ha ribadito che la discriminante fondamentale risiede nella valutazione della riconoscibilità dell’errore, osservando che sebbene lo sconto fosse “fantasmagorico”, la domanda da porsi è se possa essere considerato tale “in un mondo in cui le offerte si susseguono” e nel quale il Black Friday rappresenta tradizionalmente il periodo delle occasioni più straordinarie.

Un elemento che potrebbe indebolire ulteriormente la posizione di MediaWorld riguarda le modalità di comunicazione adottate per contattare i clienti: la richiesta di restituzione o pagamento integrativo è stata inviata mediante semplice email, una forma di comunicazione che non possiede valore di diffida formale né di messa in mora, requisiti che sarebbero invece necessari per avviare un procedimento volto all’annullamento del contratto secondo le procedure previste dalla legge.

I giuristi interpellati hanno sottolineato che, in assenza di adempimento spontaneo da parte dell’acquirente, il venditore che intenda ottenere l’annullamento del contratto per errore riconoscibile deve necessariamente rivolgersi al Tribunale, dimostrando che l’errore era oggettivamente riconoscibile dal consumatore medio e che l’acquirente abbia agito in malafede sfruttando consapevolmente un malfunzionamento del sistema.

Una discriminante rilevante individuata dagli esperti riguarda la professionalità dell’acquirente: se a comprare è stato un utente privato che ha acquistato un singolo dispositivo per uso personale, l’errore risulta meno facilmente qualificabile come riconoscibile; diversamente, nel caso di soggetti che abbiano acquistato più unità con l’evidente intento di rivenderle, la consapevolezza dello sbaglio potrebbe essere più agevolmente dimostrata e l’azione legale della catena troverebbe basi più solide.

Cosa accadrà ora

Al momento non è noto quanti consumatori abbiano effettivamente beneficiato dell’errore di prezzo, ma numerosi acquirenti hanno già manifestato l’intenzione di non aderire alla proposta di MediaWorld, ritenendo di avere il diritto di trattenere il prodotto senza versare alcuna somma aggiuntiva, e hanno consultato legali per valutare la propria posizione.

La palla passa ora a MediaWorld, che dovrà decidere se limitarsi alle comunicazioni informali già inviate, accettando di fatto le perdite derivanti dall’errore, oppure intraprendere azioni legali formali nei confronti dei clienti che rifiutano di restituire i dispositivi o di saldare la differenza, una scelta che comporterebbe costi processuali significativi e un danno reputazionale potenzialmente superiore alla perdita economica già subita.

La vicenda rappresenta un caso emblematico delle complessità giuridiche che possono emergere nell’ambito del commercio elettronico, dove l’automazione dei processi di vendita e l’assenza di verifiche umane intermedie possono trasformare un errore tecnico in una controversia legale di difficile risoluzione, mettendo in tensione il principio della buona fede contrattuale con le aspettative legittime dei consumatori che si affidano alle informazioni pubblicate dalle piattaforme di e-commerce. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!