La missione umanitaria verso Gaza volge al termine con un capitolo insapettato: gli attivisti svizzeri della Global Sumud Flotilla che hanno partecipato alla spedizione dello scorso agosto e settembre, affrontando l’arresto da parte delle autorità israeliane e una detenzione duramente criticata dalle organizzazioni per i diritti umani, si trovano ora costretti a fronteggiare una nuova sfida amministrativa. Le autorità di Berna, attraverso il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), hanno infatti inviato fatture ai partecipanti svizzeri chiedendo loro di rimborsare i costi relativi alle prestazioni di protezione consolare e alle spese di emergenza sostenute durante l’emergenza.
Secondo quanto riferito dalla Radiotelevisione svizzera (RSI), il provvedimento riguarda complessivamente venti persone, di cui diciannove hanno partecipato alla missione Waves of Freedom e uno ha preso parte alla spedizione denominata Thousand Madleens to Gaza. Entrambe le iniziative erano state organizzate dall’associazione e dal movimento internazionale con l’obiettivo dichiarato di rompere il blocco navale israeliano sulla Striscia di Gaza e consegnare aiuti umanitari essenziali alla popolazione civile palestinese, privata dai generi di prima necessità dall’assedio imposto dalle forze armate israeliane.
Le fatture presentate dal DFAE variano considerevolmente in importo, attestandosi su un range compreso tra un minimo di 300 franchi svizzeri e un massimo di 1.047 franchi svizzeri, equivalenti approssimativamente a 321 euro fino a 1.120 euro. La differenziazione degli importi riflette, secondo le giustificazioni fornite dal Dipartimento, il carico di lavoro specifico legato alla protezione consolare fornita a ciascun cittadino svizzero. Tale carico comprende gli interventi diplomatici presso le autorità israeliane, le visite effettuate dai rappresentanti consolari durante il periodo di detenzione e l’assistenza logistica e amministrativa relativa al rientro del personale in territorio svizzero.
Tuttavia, la decisione del DFAE ha generato sollevazioni e contestazioni da parte degli attivisti coinvolti, i quali ritengono ingiustificata la richiesta di rimborso. Alcuni di loro, in particolare, sostengono di non aver ricevuto alcun contatto significativo con i servizi di protezione consolare durante la loro detenzione in Israele. È il caso emblematico di Sébastien Dubugnon, il quale ha ricevuto una fattura ammontante a 300 franchi svizzeri per presunte spese amministrative relative a un volo di rientro in Svizzera. L’attivista ha tuttavia controbattuto sottolineando come il biglietto aereo fosse stato pagato dalla Turchia e non dalla Confederazione svizzera, sulla base di accordi diplomatici tra Ankara e le autorità di Berna che avevano facilitato il rimpatrio degli attivisti detenuti.
La questione attiene a una dinamica più ampia di contrapposizione tra le decisioni amministrative delle autorità svizzere e la percezione degli attivisti riguardante il grado di supporto diplomatico fornito dal DFAE durante la crisi. Prima della partenza della missione, il Dipartimento guidato da Ignazio Cassis aveva ripetutamente sconsigliato ai cittadini svizzeri di partecipare alla spedizione, sottolineando i pericoli intrinseci derivanti dal tentativo di forzare il blocco navale israeliano. Tali avvertimenti erano accompagnati da una chiara dichiarazione secondo la quale le possibilità della Svizzera di fornire assistenza di emergenza in caso di crisi sarebbero rimaste significativamente limitate. Tuttavia, gli attivisti contestano ora che il DFAE abbia interpretato letteralmente questa posizione iniziale, astendendosi dal fornire interventi significativi nel momento in cui la crisi si è effettivamente materializata con gli arresti di massa da parte della Marina israeliana.
In relazione alla decisione di addebitare ai cittadini svizzeri i costi della protezione consolare, il DFAE ha accordato un termine di trenta giorni entro il quale gli attivisti dovranno provvedere al saldamento dei conti. Tuttavia, i destinatari delle fatture hanno già comunicato la loro intenzione di presentare ricorso amministrativo contro le decisioni del Dipartimento, contestando sia il fondamento legale che la razionalità economica della richiesta di rimborso. Gli attivisti sostengono che il livello minimalista di intervento consolare, unito al rifiuto dichiarato del DFAE di fornire protezione diplomatica maggiore, non giustifichi l’addebitamento di importi così significativi ai cittadini che hanno partecipato a una missione di carattere umanitario.
La decisione del DFAE segue un periodo di intense polemiche già sorte a seguito del rimpatrio dei primi attivisti nella prima metà di ottobre 2025. In quell’occasione, personaggi pubblici prominenti tra gli attivisti, come l’ex sindaco di Ginevra Rémy Pagani, avevano denunciato pubblicamente quello che definirono come il “completo fallimento” del DFAE nel fornire supporto ai cittadini svizzeri detenuti. Le critiche si erano concentrate sulla percezione di una “totale inerzia” del Dipartimento nel corso della crisi, contrastata dalla disponibilità dimostrativa della Turchia nel mettere a disposizione voli charter per facilitare il rimpatrio. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!
