Scarica l'App NewsRoom.
Non perderti le ULTIME notizie e le ALLERTA METEO in tempo reale.

Scarica GRATIS

Garlasco, giudice Vitelli: “Troppe incertezze su Stasi. Assolverlo era un dovere morale”

Il giudice Stefano Vitelli, che assolse Alberto Stasi in primo grado per l’omicidio di Chiara Poggi nel 2007: “Lo sentite quanto è ragionevole dubitare che sia stato Alberto Stasi a uccidere Chiara Poggi?”

Nel corso della trasmissione Lo Stato delle Cose, andata in onda su Rai 3 il primo dicembre, il giudice Stefano Vitelli, che assolse Alberto Stasi in primo grado per l’omicidio di Chiara Poggi, è tornato pubblicamente a discutere uno dei casi giudiziari più travagliati della cronaca italiana. Con tono di assoluta serietà professionale, il magistrato ha sottoposto a scrutinio critico la condanna definitiva emessa nel 2015 contro l’ex fidanzato della giovane donna, ricordando come la sentenza capace di privare una persona della libertà debba poggiarsi su fondamenta probatorie solide e inattaccabili.

Il delitto in questione risale al tredici agosto duemila sette, quando Chiara Poggi, una studentessa ventunenne di Garlasco, nel pavese, venne ritrovata priva di vita all’interno della propria abitazione. La morte della ragazza scatenò un’inchiesta complessa e articolata che, nel corso di circa ventiquattro mesi, produrrà tre sentenze di primo grado con esiti diametralmente opposti: due assoluzioni iniziali, seguite da una condanna pronunciata nel 2014 in appello bis. Quest’ultimo verdetto, confermato dalla Cassazione nel dicembre del 2015, ha determinato la reclusione definitiva di Stasi presso la casa circondariale di Bollate, dove sta completando la pena di sedici anni di carcere.

Durante il colloquio con Massimo Giletti, il giudice Vitelli ha argomentato con precisione clinica le ragioni specifiche che lo indussero ad assolvere l’imputato nel procedimento di primo grado. Tra gli elementi determinanti spicca, innanzitutto, la quasi totale assenza di un movente plausibile e ricostruito nei fatti concreti. Il magistrato ha sottolineato come tra l’allora fidanzato e la vittima non emergessero dalle prove documentali tracce di conflitto significativo, né nella giornata del delitto né nei giorni immediatamente precedenti: “Non è emersa prova di un litigio né la sera prima né la mattina del tredici agosto“, ha precisato Vitelli, escludendo inoltre la possibilità che una discussione critica potesse verificarsi dato il brevissimo lasso temporale disponibile.

Un secondo elemento probatorio di rilevanza cruciale concerne la collocazione temporale di Stasi nell’arco delle ore critiche in cui il decesso si sarebbe verificato. Secondo quanto accertato durante le investigazioni e sottoposto al vaglio del tribunale, l’imputato si trovava presso la propria abitazione intento a redigere la tesi di laurea. L’alibi informatico fornisce, infatti, traccia della sua presenza al computer dalle nove e trentacinque del mattino fino alle dodici e venti, arco temporale nel quale nessun testimone ha riferito di averlo visto abbandonare il luogo. Questa circostanza restringe notevolmente l’intervallo di tempo entro cui l’omicidio avrebbe potuto materialmente consumarsi, limitandolo a appena ventitré minuti, lasso considerato insufficiente dalla magistratura per configurare una sequenza plausibile di accadimenti.

Il giudice ha inoltre affrontato la questione complessa relativa al significato probatorio di taluni dettagli emersi dalle investigazioni, quali la conoscenza da parte della vittima dei consumi pornografici dell’imputato. Vitelli ha compiutamente ricostruito come, pur essendo Stasi appassionato di materiale per adulti e pur avendo Chiara confidato a parenti questa consapevolezza, le prove esaminate non rivelassero alcun elemento di conflittualità fra i due giovani legato a tale questione. Al contrario, la documentazione acquisita mostrava una sorta di complicità reciproca: il materiale intimo creato dai due fidanzati risultava protetto da password sul computer della ragazza e non era stato condiviso con terzi, escludendo dunque la possibilità di una lite scaturita dalla diffusione non autorizzata di contenuti privati.

Relativamente alla questione dell’evidenza genetica, il giudice ha formulato considerazioni di estremo rilievo giuridico e scientifico. Vitelli ha ribadito come il DNA costituisca un elemento probatorio importante ma non decisivo in senso assoluto, dovendo essere necessariamente inserito all’interno del complesso sistema delle prove tradizionali e sottoposto a valutazione critica nel corso della dialettica processuale. Egli ha sottolineato con particolare enfasi come le tracce biologiche rinvenute sotto le unghie della vittima, presuntivamente ricollegabili all’arco temporale prossimo al decesso, non risultassero appartenere a Stasi bensì a un diverso soggetto. Da questa osservazione il magistrato ha tratto una conclusione di portata considerevole: “Sulle unghie della vittima abbiamo il DNA di un’altra persona. Lo sentite quanto è ragionevole dubitare che sia stato Alberto Stasi a uccidere Chiara Poggi?“. Tale considerazione rappresenta una delle affermazioni più penetranti rispetto alla questione della conformità della condanna al principio costituzionale della colpevolezza provata oltre ogni ragionevole dubbio.

Il giudice ha inoltre enunciato un principio etico e giuridico di primaria importanza nella struttura processuale dello Stato contemporaneo: quando l’incertezza probatoria si rivela effettivamente presente e obiettiva, il magistrato è gravato non solamente di un obbligo di natura tecnico-legale, bensì di un dovere morale precedente, quello cioè di assolvere piuttosto che rischiare di incarcerare un innocente. Questo principio, che rappresenta uno dei fondamenti della giustizia penale democratica, costituisce il leit motiv attraverso il quale il magistrato ha ricostruito le motivazioni sottese alla sentenza di primo grado.

Nel frattempo, la Procura di Pavia ha intrapreso una riapertura formale del procedimento, iscritto nel registro degli indagati Andrea Sempio, amico del fratello della vittima. Le indagini, che si sviluppano a distanza di diciotto anni dal fatto delittuoso, si basano sulla ipotesi di concorso nell’omicidio e prendono fondamento dalle tracce genetiche riscontrate sulle unghie della vittima, compatibili secondo le analisi attuali con la linea genetica maschile della famiglia Sempio. La procura prospetta una richiesta di rinvio a giudizio entro la primavera del duemilaventiseì, dopo il completamento di tutti gli accertamenti tecnici in corso, including a una possibile istanza di revisione della sentenza nei confronti di Stasi. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!