È tornato in libertà Mohamed Shahin, l’imam che nei mesi scorsi era finito al centro del dibattito pubblico e sotto osservazione delle autorità italiane per alcune sue dichiarazioni ritenute giustificative nei confronti dell’attacco del 7 ottobre da parte di Hamas contro Israele. La Corte d’Appello di Torino ha disposto la cessazione del trattenimento dell’uomo, che si trovava nel Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) di Caltanissetta, autorizzandone il rilascio sulla base di un permesso di soggiorno provvisorio rilasciato dalla Questura nissena.
La decisione dei giudici ha immediatamente innescato una dura reazione politica, in particolare da Fratelli d’Italia, partito di governo, che ha definito la misura “grave e incomprensibile”. In una nota, il deputato Galeazzo Bignami ha parlato di “una scelta irresponsabile in un momento particolarmente delicato per l’ordine pubblico, a causa della violenza e della propaganda integralista e pro-Palestina nelle piazze”. Bignami ha inoltre denunciato quella che a suo giudizio sarebbe “l’ennesima conferma del livello di politicizzazione di una parte della nostra magistratura, al punto da mettere a rischio la sicurezza dei cittadini”.
Mohamed Shahin, figura già nota in ambienti religiosi e comunitari, era stato trattenuto su richiesta delle autorità a seguito delle sue dichiarazioni pubbliche dopo l’attacco terroristico di Hamas, in cui oltre 1.200 israeliani, per lo più civili, hanno perso la vita. Le parole dell’imam erano state interpretate da alcuni come una forma di legittimazione della violenza, spingendo le forze dell’ordine a intervenire.
Il permesso provvisorio concesso a Shahin non equivale a un riconoscimento definitivo del diritto a restare in Italia, ma consente all’uomo di muoversi liberamente sul territorio nazionale in attesa di ulteriori valutazioni amministrative o giudiziarie. Una condizione temporanea, che tuttavia ha avuto un forte impatto politico, soprattutto alla luce del clima di tensione internazionale e dell’allerta per la sicurezza pubblica, aumentata dopo il recente attacco armato in Australia.
Il caso Shahin torna così a riaccendere il dibattito sul rapporto tra libertà di espressione, sicurezza nazionale e gestione dell’immigrazione, mentre resta alta la tensione tra potere giudiziario e forze politiche. La magistratura, dal canto suo, ha motivato la decisione sulla base della normativa vigente e dell’assenza di elementi giuridici sufficienti per giustificare una detenzione prolungata. Ma per il governo e i suoi alleati, il segnale che arriva è opposto: quello di una giustizia ritenuta troppo indulgente in un momento che richiederebbe, secondo loro, fermezza e rigore. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!
