Le Tomografie Assiali Computerizzate (TAC) più comuni potrebbero causare fino al 5 percento dei casi di cancro totali diagnosticati annualmente, secondo quanto emerso da un recente e allarmante studio condotto dai ricercatori dell’Università della California di San Francisco e pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica ‘Jama Internal Medicine’. I risultati della ricerca, resi noti il 14 aprile 2025, suggeriscono che oltre 100.000 nuove diagnosi di tumori negli Stati Uniti potrebbero essere associate proprio a questo diffuso esame medico, il cui utilizzo è aumentato di oltre il 30 percento negli ultimi due decenni, sollevando così interrogativi fondamentali sull’appropriatezza prescrittiva e sui protocolli di sicurezza radiologica attualmente in vigore nelle strutture sanitarie di tutto il mondo.
Il team di ricerca internazionale, guidato dalla professoressa Rebecca Smith-Bindman, radiologa e docente di epidemiologia, biostatistica e scienze riproduttive presso l’ateneo californiano, è giunto a queste conclusioni dopo aver analizzato statisticamente i dati di oltre 61 milioni di pazienti americani sottoposti a circa 93 milioni di TAC, creando così uno dei più ampi campioni mai studiati per valutare l’impatto a lungo termine delle radiazioni ionizzanti sulla salute pubblica. L’analisi ha rivelato un aspetto particolarmente preoccupante: la nuova stima dei casi di cancro associati alle TAC è risultata essere dalle 3 alle 4 volte superiore rispetto a quelle precedenti, configurando un quadro decisamente più grave di quanto ipotizzato nelle ricerche antecedenti e posizionando l’esposizione alle radiazioni diagnostiche tra i fattori di rischio oncologico equiparabili al consumo di alcol e all’eccesso di peso corporeo.
“La TAC può salvare vite umane, ma i suoi potenziali danni vengono spesso trascurati”, ha dichiarato in un comunicato stampa la professoressa Smith-Bindman, sottolineando come l’elevato utilizzo di questa metodica negli Stati Uniti potrebbe determinare un numero significativo di nuovi tumori in futuro se le attuali pratiche non subiranno modifiche sostanziali nella direzione di una maggiore cautela prescrittiva e di un’ottimizzazione dei protocolli di esposizione. “Le nostre stime pongono la TAC alla pari con altri fattori di rischio significativi; ridurre il numero di scansioni e le dosi per scansione salverebbe delle vite”, ha aggiunto la ricercatrice, evidenziando la necessità di un approccio più consapevole nell’impiego di questa fondamentale tecnologia diagnostica.
Particolarmente allarmanti sono i dati relativi alle fasce più vulnerabili della popolazione, con i neonati che presentano un rischio di sviluppare patologie tumorali fino a 10 volte superiore rispetto agli adulti quando sottoposti a esami TAC, seguiti da bambini e adolescenti che manifestano comunque un’elevata suscettibilità agli effetti cancerogeni delle radiazioni ionizzanti. Nel dettaglio, lo studio ha riscontrato che gli adulti di età compresa tra 50 e 59 anni hanno il numero più elevato di tumori previsti nelle proiezioni statistiche, con 10.400 casi nelle donne e 9.300 negli uomini, mentre nei bambini il rischio si concentra principalmente nei primi anni di vita, raggiungendo i picchi massimi nei soggetti sottoposti a TAC prima del compimento del primo anno d’età.
Incrociando tutti i dati disponibili, i ricercatori hanno determinato che la maggior parte dei futuri tumori dovuti all’esposizione alle radiazioni deriverebbe da TAC all’addome e alla pelvi negli adulti, “con 37.500 tumori su 103.000 (37 percento) e 30 milioni di esami TC su 93 milioni (32 percento)”, seguiti dalla TAC al torace, responsabile di circa 21.500 tumori previsti su un totale di 20 milioni di esami effettuati annualmente. Nei pazienti pediatrici, invece, sono le TAC della testa a rappresentare la principale fonte di preoccupazione, con un’incidenza particolarmente elevata di tumori alla tiroide, al polmone e al seno nei soggetti esposti durante l’infanzia.
Tra i tumori più frequentemente associati all’esposizione alle radiazioni delle TAC, lo studio ha identificato le neoplasie polmonari, del colon, della vescica, del seno e le leucemie come le più comuni negli adulti, mentre nei bambini prevalgono i tumori della tiroide, dei polmoni e del seno, confermando così l’esistenza di una specifica vulnerabilità tissutale correlata all’età del paziente al momento dell’esposizione. È doveroso sottolineare che il rischio per la singola persona legato alle radiazioni ionizzanti della TAC è considerato “molto basso”, tuttavia quando applicato a popolazioni di milioni di individui sottoposti a questi esami, il numero assoluto di casi diventa significativo dal punto di vista della salute pubblica.
Questi risultati trovano conferma anche in precedenti ricerche, come quella condotta in Australia e pubblicata sul British Medical Journal, che aveva rilevato un aumento del 24% nella probabilità di sviluppare un cancro in bambini e adolescenti sottoposti a TAC rispetto ai coetanei mai esposti a tale procedura diagnostica. Lo studio australiano, pur evidenziando che “l’incidenza del cancro nei bambini è estremamente bassa e che quindi un aumento del 24% rende questo rischio solo leggermente meno basso”, aveva comunque sollevato preoccupazioni sulla necessità di limitare l’uso della TAC in età pediatrica alle situazioni di effettiva necessità clinica.
I ricercatori californiani evidenziano che alcune TAC difficilmente possono essere d’aiuto ai pazienti e vengono utilizzate in modo eccessivo, come quelle prescritte per le infezioni delle vie respiratorie superiori o per il mal di testa in assenza di segni o sintomi preoccupanti, configurando situazioni di inappropriatezza prescrittiva che espongono inutilmente i pazienti al rischio radiologico. “Attualmente c’è una variazione inaccettabile nelle dosi utilizzate per la TAC e alcuni pazienti ricevono dosi eccessive di radiazioni”, ha concluso la professoressa Smith-Bindman, puntando il dito contro la mancanza di standardizzazione nei protocolli di esposizione e la conseguente variabilità dei dosaggi somministrati.
La questione si inserisce nel più ampio contesto dei principi fondamentali della radioprotezione, che prevedono la giustificazione dell’esame (il beneficio deve superare il rischio), l’ottimizzazione della dose (mantenuta al livello più basso ragionevolmente ottenibile secondo il principio ALARA – As Low As Reasonably Achievable) e la limitazione dell’esposizione complessiva. Come sottolineato nei documenti della Società Italiana di Radiologia Medica, ogni esposizione medica deve essere giustificata preliminarmente, tenendo conto degli obiettivi specifici dell’esposizione e delle caratteristiche individuali del paziente, con particolare attenzione alle categorie più vulnerabili come bambini e donne in gravidanza.
La professoressa Malini Mahendra, coautrice dello studio dell’Università della California, ha evidenziato l’importanza di rendere consapevoli le famiglie sui rischi specifici delle scansioni pediatriche, auspicando che i risultati della ricerca possano aiutare i medici a quantificare e comunicare meglio questi rischi, consentendo un confronto più informato quando si valutano i benefici e i potenziali danni degli esami TAC. Il messaggio che emerge con chiarezza dallo studio è che la TAC rimane uno strumento diagnostico fondamentale, capace di identificare patologie potenzialmente letali come tumori, emorragie e fratture, ma il suo utilizzo deve essere guidato da criteri di appropriatezza clinica rigorosi e da protocolli di esposizione ottimizzati per minimizzare i rischi a lungo termine per la salute dei pazienti.