“Ci ha fregati”, il clamoroso retroscena sulla caduta di Biden e il fallimento di Harris

Il libro ‘Original Sin’ di Jake Tapper e Alex Thompson svela il retroscena della sconfitta democratica del 2024, attribuendo a Joe Biden la responsabilità di aver ignorato il proprio declino cognitivo e compromesso la corsa di Kamala Harris, lasciando il partito senza un vero piano di successione.

Il dramma politico che ha segnato le elezioni presidenziali statunitensi del 2024 emerge oggi con tutta la sua forza grazie a una ricostruzione dettagliata e impietosa contenuta nel libro Original Sin: President Biden’s Decline, Its Cover-up, and His Disastrous Choice to Run Again, firmato dai giornalisti Jake Tapper (CNN) e Alex Thompson (Axios). L’opera getta nuova luce sulle dinamiche interne che hanno portato alla sconfitta dei Democratici e al ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, evidenziando come la decisione di Joe Biden di ricandidarsi, nonostante segnali evidenti di declino cognitivo, abbia innescato una catena di errori e omissioni che hanno compromesso irrimediabilmente le possibilità del partito.

Il volume, basato su oltre duecento interviste a insider democratici, membri del Congresso, funzionari della Casa Bianca e collaboratori della campagna, racconta una storia di autoinganno collettivo e di silenzi strategici. Secondo Tapper e Thompson, la convinzione radicata tra Biden, la sua famiglia e il suo staff che solo lui potesse sconfiggere nuovamente Trump ha portato a una sistematica sottovalutazione e occultamento delle sue condizioni di salute, sia verso l’opinione pubblica sia nei confronti degli stessi alleati politici.

Il punto di non ritorno si è materializzato durante il dibattito televisivo di Atlanta del 27 giugno 2024, quando le difficoltà di Biden nel sostenere risposte coerenti e la sua evidente fatica fisica sono diventate impossibili da ignorare anche per i più fedeli sostenitori. Da quel momento, la pressione interna per un suo ritiro si è fatta insostenibile, culminando nella decisione di lasciare la corsa il 21 luglio, troppo tardi però per consentire una transizione efficace verso la candidatura di Kamala Harris.

A sottolineare la gravità della situazione, il libro riporta le parole di David Plouffe, stratega della storica vittoria di Obama nel 2008 e poi consulente della campagna Harris, che accusa senza mezzi termini l’ex presidente: «Biden ci ha completamente fregati». Il riferimento è alla riluttanza di Biden a farsi da parte in tempo utile, una scelta che, secondo Plouffe, ha lasciato il partito senza un vero piano B e ha trasformato la breve candidatura di Harris in «un incubo totale».

Il quadro che emerge da Original Sin è quello di una macchina del silenzio che ha operato per mesi nel tentativo di proteggere il presidente persino dal proprio staff, con video montati da più angolazioni per mascherare i tagli dovuti a vuoti di memoria, e con donatori e strateghi che lanciavano allarmi rimasti inascoltati. Persino figure di primo piano come Ari Emanuel, magnate di Hollywood, e Barack Obama avrebbero espresso forti perplessità sulla ricandidatura, senza però riuscire a invertire la rotta.

La candidatura lampo di Harris, durata appena 107 giorni, ha ereditato una struttura organizzativa pensata per un altro candidato, senza il tempo necessario per costruire una propria identità e strategia vincente. Il risultato è stato un fallimento che, secondo molti insider, affonda le sue radici proprio nella gestione tardiva e opaca del passaggio di testimone.

L’analisi di Tapper e Thompson solleva interrogativi profondi sulla responsabilità politica e morale dei protagonisti di questa vicenda, sottolineando come la scelta di negare la realtà delle condizioni di Biden abbia rappresentato, secondo gli autori, il vero «peccato originale» che ha condannato i Democratici alla sconfitta e ha segnato uno dei momenti più controversi della storia recente americana.

Il racconto di quanto accaduto tra il 2023 e il 2024 offre una riflessione amara sulle dinamiche di potere, sulla fragilità delle leadership e sulla difficoltà, anche per i partiti più strutturati, di affrontare con trasparenza le crisi interne, soprattutto quando in gioco c’è la tenuta stessa della democrazia.