Dipendenti PA, arrivano gli aumenti di stipendio: fino a 480 euro in più al mese

Da giugno 2025 previsti aumenti fino a 480 euro mensili per i dipendenti ministeriali. Un fondo di 190 milioni servirà a colmare il divario tra i cosiddetti “ministeri ricchi” e “ministeri poveri”, allineando i compensi ai livelli delle Agenzie fiscali.
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Una svolta significativa per gli stipendi dei dipendenti della Pubblica Amministrazione centrale è prevista a partire da giugno 2025, con aumenti in busta paga che potranno raggiungere i 480 euro mensili grazie a un importante intervento di armonizzazione del salario accessorio. Il provvedimento, contenuto nel decreto PA recentemente diventato legge, prevede lo stanziamento di 190 milioni di euro annui destinati principalmente a colmare lo storico divario retributivo esistente tra i vari ministeri, una disparità che negli anni ha creato una netta distinzione tra “ministeri ricchi” e “ministeri poveri”, con conseguente migrazione del personale verso le amministrazioni economicamente più vantaggiose. L’obiettivo dichiarato è di uniformare progressivamente i compensi accessori, quali bonus, premi e incentivi, allineandoli al livello più elevato attualmente registrato, quello delle Agenzie fiscali, che raggiungono mediamente quota 6.724 euro annui per dipendente.

Secondo quanto emerge dalla documentazione ufficiale, i fondi stanziati sono così ripartiti: 183 milioni di euro per i ministeri, 7 milioni per la presidenza del Consiglio, con l’esplicito intento di realizzare una “progressiva armonizzazione dei trattamenti economici accessori” tra i dipendenti ministeriali e quelli delle agenzie fiscali. Gli incrementi si aggiungeranno all’aumento del 6% già ottenuto con il rinnovo del contratto triennale, portando a un ulteriore incremento medio del 3,15% nella retribuzione complessiva dei dipendenti statali. Nonostante gli stipendi base nella Pubblica Amministrazione centrale siano uniformi a parità di qualifica, i trattamenti economici complessivi hanno sempre presentato differenze significative tra le diverse amministrazioni, primariamente a causa della diversa disponibilità di fondi per il salario accessorio.

La distribuzione delle nuove risorse non sarà omogenea tra tutti i ministeri, ma sarà calibrata proprio per ridurre le disparità storicamente consolidate. Le simulazioni effettuate sulla base dei dati ufficiali della Ragioneria dello Stato evidenziano infatti disparità sostanziali che necessitano di correzioni mirate: mentre le Agenzie fiscali rappresentano il benchmark con 6.724 euro annui di salario accessorio medio, alcuni ministeri si trovano decisamente al di sotto di tale livello. Il ministero della Giustizia, uno dei più penalizzati, ha rappresentato negli anni un caso emblematico di esodo del personale verso amministrazioni più remunerative, fenomeno che il nuovo provvedimento intende contrastare attraverso questa significativa iniezione di risorse mirate a ristabilire maggiore equità retributiva nell’ambito della Pubblica Amministrazione.

Particolarmente rilevante è il fatto che questi fondi equivalgono a incrementi di oltre mille euro lordi annui per ciascun dipendente ministeriale, ma con significative variazioni tra i diversi dicasteri in funzione dell’attuale livello di trattamento accessorio. Il meccanismo di distribuzione prevede che tutte le amministrazioni ricevano parte delle risorse, tuttavia la quota maggiore verrà destinata naturalmente a quelle con retribuzioni accessorie attualmente più basse. La distribuzione dei fondi sarà decisa tramite un apposito DPCM, su proposta del ministro per la Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo e del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, con l’obiettivo di portare gradualmente le amministrazioni più svantaggiate verso i livelli retributivi di quelle più avanzate.

Uno degli aspetti più innovativi di questo intervento consiste nella sua natura strutturale: non si tratta di un bonus una tantum ma di un incremento permanente delle risorse destinate al salario accessorio, che diventeranno parte integrante della retribuzione dei dipendenti ministeriali. Questa caratteristica risulta particolarmente significativa in un contesto di prolungata stagnazione delle retribuzioni reali nel settore pubblico, come evidenziato dagli ultimi rapporti sul pubblico impiego. I benefici dell’intervento si estenderanno non solo al miglioramento immediato delle condizioni economiche dei dipendenti, ma anche alla possibilità di utilizzare queste risorse per finanziare istituti contrattuali finora rimasti in secondo piano in molte amministrazioni centrali, come le progressioni economiche, l’attribuzione dei differenziali stipendiali e l’implementazione delle posizioni organizzative.

Il provvedimento sull’armonizzazione si inserisce in un contesto più ampio di misure destinate ad aumentare la competitività retributiva del settore pubblico. Nella stessa busta paga di giugno 2025, i dipendenti pubblici vedranno tornare i benefici derivanti dal taglio del cuneo fiscale, sospeso dall’inizio dell’anno. Il ripristino di questa agevolazione, che vale mediamente 80 euro mensili variabili in funzione del reddito, si accompagnerà all’erogazione degli arretrati relativi ai mesi da gennaio a maggio, per un importo medio stimato di circa 400 euro. Il ritardo nell’applicazione del beneficio fiscale era stato determinato dalla necessità di aggiornare la piattaforma NoiPA, il sistema informatico di gestione degli stipendi pubblici, su richiesta dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale in conformità con le disposizioni dell’ultima Legge di bilancio.

Per quanto riguarda gli enti territoriali, il decreto PA ha previsto un meccanismo che potrebbe portare a un incremento del fondo accessorio fino al 48% della spesa sostenuta nel 2023 per il personale non dirigente, con un potenziale impatto di 1,8 miliardi di euro complessivi. Secondo le simulazioni, questa misura potrebbe tradursi in un aumento medio di 3.926 euro lordi annui per dipendente, corrispondenti a circa 302 euro per tredici mensilità. Tuttavia, l’effettiva applicazione di questo incremento dipenderà dalle singole amministrazioni, vincolate dall’obbligo di garantire il rispetto degli equilibri pluriennali di bilancio certificati dai revisori dei conti.

Le organizzazioni sindacali hanno accolto favorevolmente l’intervento, sottolineandone l’importanza non solo per il miglioramento delle condizioni retributive immediate, ma anche per il consolidamento degli istituti contrattuali nelle amministrazioni centrali. In particolare, viene evidenziato come questo stanziamento permetta finalmente di rafforzare la dotazione delle risorse economiche necessarie per remunerare adeguatamente la produttività, proseguire il percorso delle progressioni economiche, attribuire i differenziali stipendiali e implementare le posizioni organizzative, un istituto ancora scarsamente utilizzato in molti ministeri. Tuttavia, non mancano le preoccupazioni per quanto riguarda gli enti territoriali, dove l’assenza di finanziamenti statali diretti potrebbe accentuare le disuguaglianze tra amministrazioni con differenti capacità di bilancio.

Secondo le stime della Fp Cgil, circa 3.000 Comuni, pari al 38% del totale, potrebbero infatti restare esclusi dalla possibilità di erogare gli aumenti per ragioni di bilancio. Particolarmente a rischio sono i Comuni in dissesto o in riequilibrio finanziario, che secondo l’ultimo censimento del Ministero dell’Interno sono oltre 490, concentrati in gran parte nel Mezzogiorno. Anche molte realtà di piccole dimensioni, pur non trovandosi in condizioni di emergenza finanziaria, potrebbero incontrare difficoltà oggettive a sostenere un incremento strutturale della spesa per il personale. Il rischio concreto è che i Comuni più solidi e strutturati, già oggi in grado di investire maggiormente su personale, innovazione e servizi, possano rafforzarsi ulteriormente, mentre quelli più fragili rischiano di perdere ulteriormente competitività amministrativa, con il paradosso di un provvedimento pensato per sanare disuguaglianze che potrebbe finire per accentuarle nel contesto degli enti locali.

Nonostante queste criticità, l’intervento sull’armonizzazione del salario accessorio rappresenta indubbiamente un passo significativo verso il superamento di disparità storiche che hanno caratterizzato il sistema retributivo della Pubblica Amministrazione italiana, con l’obiettivo di garantire una maggiore equità tra dipendenti che svolgono analoghe funzioni ma in amministrazioni diverse. L’implementazione del provvedimento sarà osservata con particolare attenzione nei prossimi mesi, sia per verificare l’effettivo impatto sulle retribuzioni dei dipendenti ministeriali, sia per monitorare le soluzioni che verranno adottate per gestire le criticità emerse nell’applicazione agli enti territoriali.