Le nuove rivelazioni emerse nell’ambito della riapertura delle indagini sul delitto di Garlasco hanno riportato all’attenzione dell’opinione pubblica il ruolo di Paola Cappa, cugina di Chiara Poggi, e in particolare il contenuto di alcuni suoi messaggi e audio, oggetto di approfondimento nel servizio de Le Iene andato in onda il 20 maggio 2025. Il clamore mediatico si è concentrato soprattutto sulla frase “Mi sa che abbiamo incastrato Stasi”, attribuita a Paola Cappa, e sulle sue dichiarazioni riguardo presunti complotti, la gestione delle indagini e le tensioni familiari. Tuttavia, un’analisi rigorosa dei materiali effettivamente trasmessi e dei documenti agli atti svela un quadro più complesso e meno sensazionalistico di quanto suggerito da alcune anticipazioni giornalistiche.
Il contesto: la riapertura del caso e il ruolo delle gemelle Cappa
Il caso dell’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto a Garlasco nel 2007, ha visto una svolta recente grazie a nuove indagini che hanno portato all’iscrizione nel registro degli indagati di Andrea Sempio e al riesame di vecchi e nuovi elementi probatori. In questo scenario, i riflettori si sono riaccesi sulle gemelle Paola e Stefania Cappa, cugine della vittima, già ascoltate e sottoposte ad accertamenti all’epoca dei fatti, ma mai indagate formalmente. La trasmissione Le Iene ha raccolto e trasmesso una serie di messaggi vocali e scritti di Paola Cappa, forniti da un suo ex amico, Francesco Chiesa Soprani, che li ha conservati e messi a disposizione anche degli inquirenti.
La frase “Mi sa che abbiamo incastrato Stasi”: realtà o fraintendimento?
Il punto più controverso riguarda la presunta esistenza di un messaggio in cui Paola Cappa avrebbe scritto o detto “Mi sa che abbiamo incastrato Stasi”, frase che, se confermata, avrebbe potuto suggerire l’ipotesi di un complotto ai danni di Alberto Stasi, ex fidanzato di Chiara e condannato in via definitiva per l’omicidio. Tuttavia, l’analisi dei materiali consegnati da Chiesa Soprani e trasmessi da Le Iene smentisce la presenza di questa frase sia nei messaggi scritti sia nei vocali: nessun riferimento diretto a un “incastro” di Stasi compare nei contenuti effettivamente acquisiti e resi pubblici . La frase, secondo ricostruzioni giornalistiche, sarebbe stata riportata da una testata e attribuita a una delle centinaia di comunicazioni tra Paola e il suo amico, ma la verifica diretta ha escluso che tale affermazione sia realmente presente nei materiali agli atti della Procura o in quelli trasmessi televisivamente.
Le dichiarazioni di Paola Cappa nei messaggi vocali: accuse, tensioni e promesse di rivelazioni
I messaggi vocali di Paola Cappa, trasmessi da Le Iene e analizzati dagli inquirenti, contengono sfoghi personali, giudizi molto duri verso alcuni protagonisti della vicenda e frequenti riferimenti a presunti segreti o verità non ancora rivelate. In uno dei vocali più citati, Paola afferma: “Guarda io non ho mai aperto bocca, però arriverà il giorno che la apro. Voglio essere pagata fior di milioni… però dirò tutto, tutto, tutto, tutto” . Questo messaggio, lungi dal contenere elementi probatori, si configura come uno sfogo personale, in cui la cugina della vittima lascia intendere di essere a conoscenza di fatti non ancora resi pubblici, ma condiziona la propria disponibilità a rivelarli a un ritorno economico. Non emergono, però, dettagli concreti o accuse circostanziate nei confronti di specifiche persone.
In altri passaggi, Paola Cappa si esprime con toni molto aspri verso l’avvocato della famiglia Poggi, accusandolo di esercitare pressioni psicologiche sugli zii e di aver influenzato le loro convinzioni. Emergono inoltre giudizi sprezzanti nei confronti del programma Le Iene stesso, definito da Paola come “il programma più merdoso e falso”, e accuse di falsità rivolte a soggetti coinvolti nell’inchiesta, tra cui la smentita che l’avvocato di Stasi sia anche legale della trasmissione, circostanza che viene definita da Paola come completamente infondata.
Il supertestimone, le gemelle e le nuove piste investigative
Un altro aspetto centrale della nuova inchiesta e del servizio televisivo riguarda la figura di un supertestimone, che avrebbe riferito di aver visto Stefania Cappa, sorella gemella di Paola, in evidente stato di agitazione nei pressi della casa della nonna materna a Tromello, poco dopo il delitto, con una borsa pesante e in compagnia di una donna anziana. Il testimone sostiene inoltre di aver udito il rumore di un oggetto gettato in un fosso, circostanza che ha portato a nuove ricerche nel canale retrostante la casa, dove sono stati effettivamente rinvenuti alcuni oggetti metallici, tra cui un martello, la cui rilevanza probatoria resta da accertare . La testimonianza, raccolta e trasmessa da Le Iene, non trova però riscontro diretto nei messaggi di Paola Cappa, che nei suoi audio si limita a commentare la pressione mediatica e giudiziaria e a sottolineare l’assenza di prove concrete a carico suo e della sorella.
Le contraddizioni sugli alibi e i sospetti sulle versioni fornite
Le indagini hanno riaperto il dibattito sugli alibi forniti dalle gemelle Cappa e dalla madre per la mattina del delitto. Nel 2007, tutte e tre avevano dichiarato di essere rimaste in casa, ma le nuove testimonianze e i materiali raccolti hanno sollevato dubbi sulla veridicità di queste affermazioni. In particolare, si sottolinea la contraddizione tra la versione fornita da una delle sorelle, che avrebbe detto di essere andata in piscina, e quella relativa a una doccia fatta a casa, oltre alle dichiarazioni sulla partecipazione a un corso di rianimazione. Queste discrepanze alimentano i sospetti degli investigatori, ma non trovano nei messaggi di Paola Cappa elementi utili a chiarire o confutare in modo definitivo tali circostanze .
Le tensioni familiari e i rapporti con la famiglia Poggi
Un ulteriore filone emerso dai messaggi e dalle intercettazioni riguarda le tensioni tra le gemelle Cappa e la famiglia Poggi. In una telefonata intercettata, Paola Cappa si lascia andare a uno sfogo di rabbia nei confronti degli zii, accusandoli di averle sottoposte a una pressione insostenibile e di essere, in parte, responsabili del disagio psicologico vissuto da lei e dalla sorella. Questi elementi, pur rivelando un clima di grande tensione emotiva, non apportano elementi nuovi di natura probatoria, ma testimoniano il livello di esasperazione raggiunto dai rapporti familiari dopo anni di indagini, sospetti e attenzione mediatica .
La questione del supertestimone e la posizione di Paola Cappa sulle indagini
Nei suoi messaggi, Paola Cappa esprime ripetutamente dubbi sulla genuinità del cosiddetto supertestimone, affermando che la sua figura sarebbe stata “inventata” e che per vent’anni non sarebbe mai esistito alcun testimone in grado di fornire elementi decisivi per le indagini. Paola sostiene inoltre che, secondo quanto le sarebbe stato riferito, durante un incontro in caserma gli inquirenti avrebbero chiesto di “incastrare Alberto”, ma anche questa circostanza non trova riscontro nei materiali ufficiali o nelle testimonianze acquisite dagli investigatori. La posizione di Paola appare dunque improntata a una profonda sfiducia verso l’operato degli inquirenti e dei media, ma non si traduce in accuse circostanziate o in elementi di novità sostanziale per il procedimento penale in corso .