Una ricerca internazionale condotta dall’Università di Portsmouth in collaborazione con l’Istituto Ucraino di Radiologia Agraria ha dimostrato che migliaia di ettari di terreni agricoli nell’area di Chernobyl, nell’Ucraina settentrionale, potrebbero essere nuovamente destinati alle coltivazioni dopo essere rimasti ufficialmente inutilizzabili per quasi quattro decenni. La ricerca, pubblicata sul prestigioso Journal of Environmental Radioactivity, rappresenta il primo protocollo standardizzato per valutare la sicurezza agricola dei suoli contaminati dalle radiazioni del disastro nucleare del 26 aprile 1986.
Lo studio sperimentale è stato condotto su una superficie di 100 ettari nelle immediate vicinanze del villaggio di Mezhiliska, localizzato a circa 60 chilometri a sud-ovest della centrale nucleare di Chernobyl, all’interno della cosiddetta Zona di Reinsediamento Obbligatorio. I ricercatori hanno prelevato complessivamente 19 campioni di suolo da una profondità standardizzata di 25 centimetri, sviluppando una metodologia specifica per determinare i livelli di contaminazione e stimare l’assorbimento di radionuclidi da parte delle principali colture agricole della regione, tra cui patate, cereali, mais e girasole.
L’indagine si è concentrata sulla quantificazione delle concentrazioni nel suolo di specifici isotopi radioattivi, in particolare cesio-137, stronzio-90 e plutonio-239/240, misurate in kilobecquerel per chilogrammo, unità che rappresenta il numero di decadimenti radioattivi al secondo per unità di massa del campione. I risultati hanno evidenziato che i livelli di contaminazione rilevati risultano significativamente inferiori ai limiti di sicurezza definiti dalla normativa nazionale ucraina per i contaminanti radioattivi nei suoli agricoli, escludendo pertanto un rischio radiologico per la popolazione, a condizione che venga mantenuto un adeguato programma di monitoraggio del territorio.
Il professor Jim Smith dell’Università di Portsmouth, coordinatore della ricerca, ha sottolineato come dal 1986 sia circolata molta disinformazione sui rischi radiologici di Chernobyl, impattando negativamente sulle persone che ancora vivono nelle aree abbandonate. Il nuovo approccio scientifico validato consente di riportare in produzione ufficiale terreni agricoli di valore, dimostrando al contempo la sicurezza tanto per i consumatori quanto per gli operatori agricoli. La ricerca assume particolare rilevanza considerando che dal 1991, anno in cui furono stabiliti i criteri di zonizzazione, non è mai stata effettuata alcuna riclassificazione dei suoli, nonostante la progressiva riduzione sia dei livelli di radioattività che della mobilità degli isotopi di cesio nel terreno.
L’area oggetto dello studio ricade attualmente all’interno della Zona di Reinsediamento Obbligatorio, una regione di circa 2.000 chilometri quadrati che, diversamente dalla Zona di Esclusione di 4.200 chilometri quadrati completamente disabitata, non è mai stata completamente evacuata e continua a ospitare migliaia di residenti con scuole e negozi attivi, benché non sia consentito alcun investimento ufficiale o utilizzo agricolo del territorio. Questa situazione contrasta con le politiche adottate in Russia e Bielorussia, dove le aree soggette a limitazioni d’uso vengono riesaminate con cadenza quinquennale, tenendo conto delle variazioni della situazione radiologica e delle necessità di utilizzo dei terreni.
La metodologia sviluppata dai ricercatori britannici e ucraini apre prospettive concrete per il recupero di vaste superfici agricole contaminate da radionuclidi, non soltanto in Ucraina ma anche in altre regioni del mondo interessate da incidenti nucleari. Gli studiosi hanno evidenziato come un’estesa porzione di terreni nella regione settentrionale dell’Ucraina, attualmente classificata come zona 2 e soggetta a vincoli restrittivi, presenti una densità di contaminazione paragonabile o inferiore a quella rilevata nei suoli sperimentali analizzati, rendendo la coltivazione di numerose specie agricole potenzialmente praticabile.
Il protocollo standardizzato elaborato dai ricercatori rappresenta un significativo passo avanti nella gestione delle conseguenze a lungo termine dei disastri nucleari, fornendo strumenti scientifici rigorosi per valutare l’idoneità dei suoli alla produzione agricola. La ricerca conferma inoltre le osservazioni di alcuni agricoltori che negli ultimi anni hanno avviato produzioni non ufficiali in alcune aree, dimostrando empiricamente la possibilità di coltivare in sicurezza colture conformi ai rigorosi limiti di sicurezza radiologica alimentare attualmente applicati in Ucraina.
Le implicazioni dello studio si estendono oltre i confini ucraini, offrendo un modello replicabile per la gestione di altre aree contaminate a livello mondiale. Il team di ricerca sottolinea tuttavia la necessità di condurre valutazioni approfondite sulla sicurezza sia degli operatori agricoli che dei consumatori finali nelle fasi successive, prima di procedere con la revoca ufficiale delle restrizioni normative attraverso l’intervento legislativo richiesto dalla normativa ucraina per modificare la suddivisione delle zone contaminate.
La ricerca assume particolare significato in un momento storico in cui l’Ucraina affronta sfide economiche e alimentari significative, rendendo il recupero di terreni agricoli precedentemente inutilizzabili una risorsa strategica importante. I risultati pubblicati nel Journal of Environmental Radioactivity forniscono una base scientifica solida per future decisioni politiche riguardanti la gestione del territorio e la sicurezza alimentare, contribuendo al dibattito internazionale sulla gestione delle conseguenze a lungo termine degli incidenti nucleari e sulla sostenibilità delle misure precauzionali adottate nelle decadi successive al disastro di Chernobyl.