Arriva la firma sulla preintesa che riguarda migliaia di medici di medicina generale, continuità assistenziale e del 118 per il triennio 2022-2024, siglata durante l’incontro del 4 novembre 2025 tra i sindacati di categoria e la Sisac, la Struttura Interregionale Sanitari Convenzionati che rappresenta la parte pubblica nelle relazioni sindacali. L’accordo prevede un incremento retributivo del 5,78%, con risorse stimate in circa 300 milioni di euro annui, destinate a chiudere una stagione di ritardi contrattuali che ha lasciato la categoria ferma alle retribuzioni del 2021.
L’intesa rappresenta un passaggio formale atteso da tempo, ma le reazioni dei principali sindacati evidenziano una soddisfazione solo parziale. Francesco Esposito, segretario nazionale della Federazione Medici di Medicina Territoriale, ha definito l’accordo come un “atto di transizione, con ombre e qualche luce, ma necessario per chiudere la stagione dei ritardi e metterci alle spalle un atto di indirizzo delle regioni a isorisorse”. La parte economica viene giudicata “insufficiente” rispetto al carico di lavoro e alle responsabilità crescenti della medicina territoriale. Sulla stessa linea anche Silvestro Scotti, segretario generale della Fimmg, che sottolinea come l’incremento del 5,78% metta in campo risorse significative ma rimanga al di sotto del tasso di inflazione del triennio.
Il confronto con i dati ISTAT sull’andamento dell’inflazione nel periodo 2022-2024 evidenzia infatti un divario sostanziale tra l’aumento previsto dal rinnovo contrattuale e la crescita effettiva del costo della vita. L’inflazione registrata in Italia è stata dell’8,1% nel 2022, del 5,7% nel 2023 e dell’1% nel 2024, per un incremento complessivo progressivo del 15,26%. L’aumento contrattuale del 5,78% copre quindi poco più di un terzo della perdita di potere d’acquisto accumulata dai professionisti nel triennio.
La distribuzione delle risorse prevede che circa il 70% degli incrementi sarà destinato all’adeguamento delle quote fisse capitarie e orarie, mentre il restante 30% sarà vincolato al raggiungimento di obiettivi nelle Aggregazioni Funzionali Territoriali, con particolare attenzione al funzionamento delle Case di Comunità e agli obiettivi di salute pubblica. Questo meccanismo di ripartizione risponde alla necessità di allineare la remunerazione dei medici di famiglia alla riforma dell’assistenza territoriale prevista dal decreto ministeriale 77 del 2022 e dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Tra gli elementi positivi segnalati dalle organizzazioni sindacali figura l’introduzione di maggiori tutele e flessibilità oraria per le donne medico in maternità, considerate un passo avanti in termini di equità professionale. L’accordo prevede inoltre la possibilità per i medici di medicina generale di operare nelle Case di Comunità senza passare dal ruolo unico, elemento che dovrebbe favorire una maggiore integrazione tra i diversi livelli assistenziali.
Le trattative per il rinnovo dell’Accordo Collettivo Nazionale 2022-2024 erano state avviate ufficialmente il 15 ottobre 2025, dopo l’approvazione dell’atto di indirizzo da parte del Comitato di settore Comparto Regioni-Sanità della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. La rapidità con cui si è giunti alla preintesa rappresenta un segnale positivo rispetto ai tempi tradizionalmente lunghi della contrattazione pubblica in questo settore. Tuttavia, l’accordo dovrà ora passare al vaglio delle Regioni e del Ministero della Salute per l’approvazione definitiva.
La preintesa chiude formalmente il triennio 2022-2024, ma apre immediatamente il confronto sul futuro della medicina territoriale. Entrambi i principali sindacati hanno sottolineato l’importanza di avviare immediatamente le trattative per il successivo triennio 2025-2027, con l’obiettivo di allineare finalmente i cicli negoziali al periodo di riferimento effettivo. Francesco Esposito ha proposto che venga licenziato, dopo la firma definitiva di questo accordo, un ulteriore atto di indirizzo nei primi mesi del 2026, definendolo “un evento storico” che consentirebbe di allineare i contratti con le annualità reali. Silvestro Scotti ha auspicato che l’impegno della controparte pubblica di riaprire subito le trattative per il 2026 possa essere rispettato, arrivando alla conclusione dell’accordo entro giugno 2026.
La medicina generale italiana è attualmente regolamentata da un sistema complesso che vede i medici di base operare come liberi professionisti convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale, non come dipendenti. Il loro compenso è articolato principalmente sulla base della quota capitaria, ossia una somma fissa per ciascun assistito iscritto nella loro lista, integrata da quote variabili legate al raggiungimento di obiettivi e standard organizzativi.
Un medico di medicina generale deve rispettare alcune regole professionali fondamentali per percepire il trattamento economico previsto dalla convenzione. Lo studio deve essere aperto almeno cinque giorni a settimana, obbligatoriamente il lunedì, nella fascia oraria dalle 8 alle 20. L’impegno orario complessivo è fissato in 38 ore settimanali, articolate in base al numero di assistiti: deve fornire assistenza sanitaria presso il proprio studio per un numero minimo di ore che varia da 5 ore settimanali per un massimo di 500 pazienti, a 10 ore settimanali tra 500 e 1.000 pazienti, 15 ore settimanali per 1.000-1.500 pazienti, fino a 20 ore settimanali per i medici massimalisti che seguono 1.500 pazienti. Le ore rimanenti sono dedicate ad attività promosse dal distretto, di cui almeno 6 nelle Case della Comunità.
Il guadagno di un medico di base varia in base a diversi fattori, tra cui il numero di assistiti, l’anzianità di servizio e la gestione delle spese dello studio. Secondo i dati più recenti, il reddito lordo annuo può variare tra circa 52.500 e 105.000 euro lordi. Per i medici all’inizio di carriera con un numero limitato di pazienti, il reddito lordo annuo oscilla intorno ai 60.000-70.000 euro, che corrisponde a un reddito netto mensile di circa 2.500-3.000 euro. Un medico a metà carriera, con un’anzianità di servizio compresa tra 5 e 15 anni, tende a guadagnare circa 80.000-100.000 euro lordi annui, pari a circa 3.400-4.000 euro netti al mese.
I medici massimalisti, con una lista piena di 1.500 pazienti, rappresentano la fascia più alta di retribuzione. Secondo le fonti professionali, un massimalista standard percepisce in media 4.300 euro mensili lordi.
Il calcolo della quota capitaria si articola in modo differenziato: ai medici di medicina generale incaricati dopo il 2005 è riconosciuta una quota capitaria annua di 42,14 euro per assistito, che costituisce il compenso base. Per i medici titolari entrati in servizio dopo il 2005 è prevista inoltre una quota capitaria integrativa di 13,46 euro annui per ciascuno dei primi 500 assistiti, misura introdotta per sostenere economicamente i nuovi medici nelle fasi iniziali della convenzione. Oltre i 500 pazienti, tale aggiunta non si applica e i pazienti successivi sono remunerati con la sola quota base.
Va sottolineato che i medici di base sono liberi professionisti convenzionati e devono sostenere autonomamente i costi di gestione dello studio, inclusi affitti, personale di segreteria e strumentazione, oltre a versare contributi previdenziali elevati all’ENPAM, stimati tra il 17% e il 24%, e l’IRPEF. Questi elementi riducono significativamente il netto disponibile, portando il medico di base a trattenere mediamente il 45-50% del lordo come guadagno effettivo.
Oltre alla quota capitaria, i medici di medicina generale possono ricevere ulteriori finanziamenti, in particolare se si organizzano in forme associate. I professionisti che condividono una struttura comprendente gli studi di più colleghi o che si associano in rete telematica beneficiano di risorse aggiuntive. Altri compensi sono previsti per i medici che assumono personale di segreteria o infermieristico, per indennità di reperibilità notturna, bonus per assistenza agli over 75, compensi per somministrazione di vaccini e tamponi, e attività private come visite a pagamento, certificati e orario notturno.
Il modello organizzativo della medicina generale italiana sta attraversando una profonda trasformazione con l’implementazione delle Aggregazioni Funzionali Territoriali e delle Unità Complesse di Cure Primarie, strutture previste dal decreto ministeriale 77 del 2022 nell’ambito della riforma dell’assistenza territoriale finanziata dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Le AFT sono gruppi di medici di medicina generale che, pur mantenendo la propria autonomia clinica, condividono strumenti, obiettivi assistenziali e risorse logistiche per migliorare la presa in carico, garantire continuità assistenziale, ridurre l’accesso improprio al pronto soccorso e gestire in modo integrato le cronicità. Le UCCP rappresentano invece forme organizzative multiprofessionali che operano in modo integrato all’interno delle Case della Comunità, coordinando medici di assistenza primaria, pediatri, specialisti ambulatoriali, infermieri, assistenti sociali e altri professionisti sanitari.
Il contesto contrattuale appena definito con la preintesa del 5 novembre si inserisce in un momento storico particolarmente delicato per la sanità territoriale italiana, caratterizzato da una carenza strutturale di medici di famiglia, dall’invecchiamento della popolazione assistita e dalla necessità di costruire un modello professionale capace di attrarre le nuove generazioni. Come sottolineato da Silvestro Scotti, “in Italia ci sono solo 68,1 medici di famiglia ogni 100 mila abitanti, contro i 96 della Francia”, evidenziando come il problema non sia la sovrabbondanza di medici ma il disinvestimento nella categoria.
La firma della preintesa rappresenta quindi un primo passo verso la normalizzazione contrattuale della medicina generale, ma lascia aperte questioni cruciali sul riconoscimento economico effettivo della professione e sulla sostenibilità del sistema nel medio-lungo periodo. La sfida vera sarà quella di costruire, nel prossimo triennio contrattuale, un accordo che non si limiti ad aggiornamenti economici insufficienti rispetto all’inflazione, ma che ridefinisca in profondità il ruolo del medico di famiglia all’interno di un Servizio Sanitario Nazionale che deve tornare ad essere attrattivo per i giovani professionisti e capace di rispondere efficacemente ai bisogni di salute dei cittadini.
Fonti: Pmi; Mio Dottore Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!
