Egitto blocca la Marcia Globale per Gaza, fermi e espulsioni per centinaia di attivisti: 15 italiani

Le autorità egiziane bloccano la Global March to Gaza con fermi ed espulsioni di centinaia di attivisti internazionali, tra cui numerosi italiani diretti al valico di Rafah.

L’Egitto ha posto un freno deciso alla Global March to Gaza, l’ambiziosa iniziativa umanitaria internazionale che mirava a raggiungere il valico di Rafah per chiedere la fine dell’assedio israeliano sulla Striscia di Gaza. Le autorità egiziane hanno proceduto con una serie coordinata di fermi, sequestri di documenti ed espulsioni che ha coinvolto centinaia di attivisti provenienti da tutto il mondo, compresi numerosi cittadini italiani.

Secondo quanto emerge dalle fonti ufficiali, le misure restrittive hanno interessato sia gli arrivi diretti negli aeroporti egiziani sia interventi successivi presso strutture alberghiere del Cairo e di altre località dove i partecipanti erano stati identificati dalle autorità locali. Il numero complessivo di cittadini italiani coinvolti risulta essere di circa un centinaio di persone, giunte nel Paese nel quadro della mobilitazione globale lanciata da organizzazioni pro-palestinesi e della società civile.

Tra i casi più emblematici emergono quelli di Vittoria Antonioli Arduini, ventunenne, e Andrea Usala, venticinquenne, entrambi studenti della scuola Holden di Torino che avevano organizzato insieme ad altri studenti un presidio permanente in Piazza Castello. I due giovani attivisti sono stati trattenuti all’aeroporto del Cairo, con Usala che ha diffuso un messaggio drammatico nelle scorse ore: “Non ci fanno andare al bagno e non ci fanno prendere da mangiare”, denunciando le condizioni in cui si trovavano durante la detenzione.

Le autorità egiziane hanno giustificato i provvedimenti affermando che più di cento attivisti sono stati fermati “per aver violato le procedure di ingresso nel Paese e per non aver ottenuto l’autorizzazione preventiva dalle autorità egiziane competenti in merito alla loro visita”. È stata inoltre creata una cellula di crisi all’aeroporto internazionale del Cairo per monitorare l’afflusso di decine di attivisti internazionali in arrivo in Egitto, con un coordinamento stabilito tra il ministero degli Esteri e le compagnie aeree per verificare i visti dei passeggeri.

In mattinata, settantatré attivisti di varie nazionalità sono stati imbarcati per il rimpatrio su un volo diretto all’aeroporto Sabiha di Istanbul, mentre altri sono stati deportati su diversi voli in uscita dal Paese. Le operazioni hanno coinvolto non solo gli italiani, ma anche cento cittadini olandesi, arrivati nella serata dell’undici giugno all’aeroporto del Cairo, ai quali le autorità egiziane hanno confiscato i passaporti per poi espellerli dopo ore di detenzione all’interno dello scalo.

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha confermato l’attivazione della rete diplomatica italiana per assistere i connazionali coinvolti: “C’è un funzionario dell’ambasciata e un team del consolato per assistere tutti gli italiani che sono là e interloquire con le autorità locali quindi seguiamo minuto per minuto con la nostra ambasciata e il nostro consolato la situazione”. Tuttavia, il movimento lamenta che l’ambasciata italiana in Egitto non abbia consentito l’invio alla Farnesina di una lista completa dei partecipanti italiani, complicando così la gestione e l’assistenza dei connazionali coinvolti.

La Global March to Gaza rappresentava una delle più significative mobilitazioni umanitarie internazionali degli ultimi anni, con l’adesione di cittadini provenienti da cinquantaquattro Paesi e oltre settemila partecipanti attesi. L’iniziativa era stata concepita come un movimento apartitico e pacifista nato dal basso, senza il sostegno di organizzazioni ufficiali, ma composto da cittadini, medici, attivisti, reporter e cooperanti, molti dei quali avevano vissuto o lavorato nei territori palestinesi.

La marcia avrebbe dovuto partire il tredici giugno dal Cairo per dirigersi verso il valico di Rafah, l’unico punto di passaggio tra l’Egitto e la Striscia di Gaza, attualmente sotto controllo israeliano. Gli organizzatori avevano sempre specificato che l’obiettivo non era quello di entrare nella Striscia, ma di raggiungere Al-Arish, luogo turistico e di libero accesso, per poi marciare a piedi per circa cinquanta chilometri fino al valico di Rafah, da cui passano pochissimi aiuti umanitari destinati alla popolazione palestinese.

Antonietta Chiodo, portavoce della delegazione italiana e fotoreporter con una lunga esperienza nei territori palestinesi, ha denunciato con forza l’operato delle autorità egiziane attraverso un video-messaggio dal Cairo: “Molti sono stati già deportati e questo è assolutamente inaccettabile. Tutti gli occidentali vengono deportati. È una totale violazione del diritto internazionale”. Secondo l’attivista, le espulsioni seguirebbero le pressioni diplomatiche israeliane, con l’obiettivo di evitare incidenti diplomatici con i Paesi occidentali che sostengono i propri cittadini.

La sequenza temporale degli eventi conferma le preoccupazioni sollevate dagli organizzatori riguardo alle pressioni esterne. L’undici giugno, il ministro della Difesa israeliano Israel Katz aveva dichiarato pubblicamente di aspettarsi che l’Egitto “impedisse ai manifestanti jihadisti di avvicinarsi a Rafah”, definendo la marcia una “provocazione” e “un pericolo per i soldati israeliani”. Il giorno successivo, le autorità egiziane hanno risposto con una retata sistematica che ha coinvolto attivisti di diverse nazionalità.

Parallelamente alla marcia internazionale, anche il convoglio terrestre nordafricano denominato “Convoglio della resistenza” ha subito analoghi blocchi. La carovana, composta da oltre millesettecento volontari e attivisti provenienti principalmente da Tunisia, Algeria, Libia e Mauritania, con circa trecento veicoli carichi di quaranta tonnellate di aiuti umanitari, era partita lunedì da Tunisi con l’obiettivo di raggiungere la Striscia di Gaza via terra attraverso Libia ed Egitto. Le autorità egiziane hanno impedito l’ingresso alla carovana, ribadendo che qualsiasi iniziativa transfrontaliera deve essere coordinata tramite canali diplomatici e istituzionali.

Il valico di Rafah rappresenta da sempre un punto nevralgico per gli equilibri geopolitici dell’area. Costruito dai governi israeliano ed egiziano dopo il trattato di pace israelo-egiziano del millenovecentosettantanove, il varco attraversa la vecchia città di Rafah dividendola in una sezione palestinese e una egiziana. Il sette maggio duemilaventiquattro, le forze armate israeliane hanno preso il controllo del valico che, a seguito dello scoppio della Guerra di Gaza, rappresenta uno dei principali canali di trasporto degli aiuti umanitari verso la Striscia.

La situazione rimane in evoluzione e non si escludono ulteriori misure nelle prossime ore da parte delle autorità egiziane. Il caso degli attivisti italiani fermati evidenzia le complesse dinamiche diplomatiche che caratterizzano la questione palestinese e le difficoltà che incontrano le iniziative umanitarie della società civile nel tentativo di portare assistenza alla popolazione di Gaza. Nonostante i blocchi e le espulsioni, alcuni organizzatori hanno fatto sapere che la marcia potrebbe comunque svolgersi, seppur in forma ridotta, con i partecipanti che sono riusciti a non essere intercettati dalle autorità egiziane.