Il sistema penitenziario italiano è nuovamente sotto i riflettori dopo la fuga di Andrea Cavallari, il 26enne condannato per la strage di Corinaldo che giovedì 3 luglio ha approfittato di un permesso per discutere la tesi di laurea senza più fare ritorno nel carcere di Bologna.
Il giovane, membro della cosiddetta “banda dello spray” responsabile della tragedia della discoteca Lanterna Azzurra, stava scontando una condanna definitiva a 11 anni e 10 mesi presso il carcere della Dozza per i tragici eventi dell’8 dicembre 2018, quando sei persone persero la vita nella calca scatenata dall’utilizzo di spray al peperoncino.
Il Tribunale di Sorveglianza di Bologna aveva concesso a Cavallari un permesso per uscire dal carcere e sostenere la discussione della tesi di laurea triennale in Scienze Giuridiche presso l’Università di Bologna, corso di studi che aveva intrapreso tre anni fa dall’inizio della detenzione. La decisione dei magistrati prevedeva che il detenuto fosse accompagnato esclusivamente dai familiari, senza la presenza di scorta della polizia penitenziaria.
Nella mattina del 3 luglio, Cavallari si è recato all’università insieme ai genitori per discutere la tesi del corso di laurea triennale in Scienze Giuridiche con specializzazione in Consulente del lavoro e delle relazioni aziendali. Dopo la cerimonia e la proclamazione di laurea, il 26enne è rimasto solo con la fidanzata e ha fatto perdere le proprie tracce, non rientrando come previsto nell’istituto penitenziario.
L’evasione ha riacceso il dibattito sulla gestione dei permessi penitenziari. Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del SAPPE (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria), ha commentato l’accaduto sottolineando la necessità di maggiore cautela: “Stiamo cercando di lavorare affinché, in situazioni simili, venga dato più spazio alla polizia penitenziaria nell’osservazione dei detenuti come elemento di valutazione per il loro eventuale accesso ai benefici”.
Le autorità hanno immediatamente avviato le ricerche per rintracciare il fuggitivo. Cavallari, che fino a questo momento si era dimostrato un detenuto modello senza mai causare problemi all’amministrazione penitenziaria, aveva sempre mantenuto la propria innocenza riguardo ai fatti di Corinaldo, dichiarando: “Con i morti di Corinaldo non c’entro niente”.
La tragedia di Corinaldo rimane una delle pagine più buie della cronaca italiana recente. La notte tra il 7 e l’8 dicembre 2018, presso la discoteca Lanterna Azzurra, era previsto un concerto del rapper Sfera Ebbasta. Poco prima dell’arrivo dell’artista, alcuni membri della banda proveniente dalla Bassa Modenese spruzzarono spray al peperoncino nella sala per creare un diversivo finalizzato al furto di collanine d’oro.
L’azione criminale scatenò il panico tra i circa 1.400 presenti nel locale, nonostante la capienza autorizzata fosse di soli 469 persone. Nella fuga di massa verso l’uscita di sicurezza, la balaustra del ponte esterno cedette, causando la caduta di numerose persone nel fossato sottostante. Nell’inferno della calca persero la vita sei persone: Asia Nasoni (14 anni), Emma Fabini (14 anni), Benedetta Vitali (15 anni), Mattia Orlandi (15 anni), Daniele Pongetti (16 anni) ed Eleonora Girolimini (39 anni), madre di quattro figli che aveva accompagnato una delle figlie all’evento.
La banda dello spray era composta da sette membri: oltre a Cavallari, figuravano Ugo Di Puorto (ritenuto il principale responsabile per aver premuto il pulsante della bomboletta), Raffaele Mormone, Moez Akari, Souhaib Haddada, Badr Amouiyah e Riccardo Marchi. Tutti i componenti del gruppo criminale sono stati condannati in via definitiva dalla Corte di Cassazione per omicidio preterintenzionale plurimo, associazione per delinquere finalizzata a rapine e furti, e lesioni personali, con pene comprese tra i 10 e i 12 anni di reclusione.
Cavallari era stato arrestato nell’agosto 2019 insieme agli altri membri del sodalizio criminale. Durante il processo si era sempre dichiarato innocente e, prima della sentenza d’appello, aveva chiesto di parlare alla corte spiegando di aver “commesso mille errori” ma di essere estraneo alle accuse mosse contro di lui. I giudici, tuttavia, lo avevano condannato e la sentenza è stata successivamente confermata dalla Cassazione.
Il caso di Cavallari solleva interrogativi sulla gestione dei benefici penitenziari e sull’efficacia del sistema di sorveglianza. Il detenuto, che aveva intrapreso un percorso di studi universitari ritenuto segno di buona condotta e volontà di reinserimento sociale, ha sfruttato proprio questa opportunità per sottrarsi alla giustizia.
La vicenda assume contorni ancora più amari se si considera che recentemente la Corte d’Assise d’Appello di Ancona ha confermato la condanna a 10 anni e 5 mesi per l’ottavo membro della banda, Riccardo Marchi, completando così il quadro delle responsabilità penali per uno dei crimini più efferati degli ultimi anni.
Nel frattempo, continua il travagliato iter giudiziario per il filone processuale relativo alle presunte carenze strutturali della discoteca e alle autorizzazioni rilasciate per l’evento. Il processo bis, che coinvolge membri della commissione di vigilanza sui locali di pubblico spettacolo, proprietari e gestori della Lanterna Azzurra, ha visto in primo grado l’assoluzione di tutti gli imputati dai reati più gravi di omicidio colposo e disastro colposo.
Le famiglie delle vittime continuano a battersi per ottenere giustizia e verità, esprimendo delusione e amarezza per un sistema giudiziario che sembra non riuscire a dare risposte definitive a una tragedia che ha sconvolto l’Italia intera. La fuga di Cavallari rappresenta un ulteriore colpo per i familiari che da anni aspettano che si faccia piena luce sui fatti di quella terribile notte.
Mentre proseguono le ricerche del fuggitivo, il caso riaccende il dibattito sulla necessità di riforme del sistema penitenziario e sulla valutazione dei benefici concessi ai detenuti, specialmente in presenza di condanne per reati gravi che hanno causato vittime innocenti.