L’estate 2025 ha messo a nudo, più che in ogni altra stagione recente, le profonde contraddizioni di un modello turistico che, in nome dell’accessibilità e della promozione del territorio, ha spalancato le porte della montagna a un numero crescente di frequentatori che, nella maggior parte dei casi, non solo non conoscono minimamente l’ambiente che si accingono a esplorare, ma dimostrano quotidianamente una preoccupante mancanza di rispetto per le sue regole, per le persone che ci lavorano e per l’equilibrio delicatissimo che tiene in vita l’intero ecosistema alpino e appenninico.
La montagna, che per secoli ha rappresentato un luogo di silenzio, di fatica, di autenticità e di contatto profondo con la natura, si ritrova oggi ad essere trattata come una sorta di parco giochi all’aperto, uno scenario da sfruttare per l’escursionismo della domenica, per il picnic improvvisato, per il selfie panoramico da postare sui social, senza alcuna comprensione reale del contesto né volontà di adeguare i propri comportamenti a un ambiente che richiede preparazione, rispetto, prudenza e senso del limite.
Lungi dall’essere elitario, questo discorso si fonda su un principio elementare: la montagna, pur essendo teoricamente accessibile a tutti, non può essere affrontata con lo stesso spirito con cui si va in spiaggia o si passeggia in centro città, perché le sue leggi – dettate dalla natura, dal meteo, dalla geografia e dalla fisica – non si piegano alla logica turistica della comodità a tutti i costi, e non perdonano l’improvvisazione, la superficialità o l’arroganza. E invece, sempre più spesso, ci si imbatte in scene al limite del grottesco: persone che si avventurano su sentieri di media o alta difficoltà con abbigliamento totalmente inadeguato, in sandali o ciabatte da mare, senza una mappa, senza acqua, senza conoscere nemmeno la lunghezza o il dislivello dell’itinerario, convinti forse che un sentiero segnalato equivalga a una tranquilla passeggiata su un lungomare attrezzato, salvo poi trovarsi in difficoltà e costringere il Soccorso Alpino a intervenire con elicotteri, mezzi fuoristrada e squadre di specialisti, con costi elevatissimi per le casse pubbliche e rischi notevoli per gli operatori coinvolti.

È difficile, in questo contesto, non interrogarsi sulla necessità di introdurre anche in Italia un principio già applicato da anni in altri Paesi alpini europei, come Svizzera e Austria: quello del pagamento degli interventi di soccorso nei casi in cui sia accertata la responsabilità dell’escursionista per negligenza, imperizia o violazione consapevole delle più elementari norme di sicurezza. Una misura non punitiva, ma educativa, che servirebbe a responsabilizzare chi si avvicina alla montagna senza la minima preparazione, magari attratto da foto patinate o da racconti romanzati, ma completamente ignaro delle reali condizioni ambientali e dei pericoli che un’escursione anche banale può nascondere in caso di maltempo improvviso, di stanchezza sottovalutata o di semplice perdita di orientamento.
Accanto al problema della sicurezza e della preparazione tecnica, però, si fa sempre più pressante quello del rispetto ambientale e culturale: la montagna non è un luogo da consumare ma da abitare con discrezione, da attraversare con lentezza, da osservare con umiltà, e invece la quantità di rifiuti abbandonati lungo i sentieri, le aree verdi trasformate in campeggi abusivi, le sorgenti inquinate da detersivi e plastica, raccontano una realtà in cui la cultura del “tutto è permesso” si è estesa anche in quota, contagiando un numero crescente di persone che sembrano incapaci di comprendere che ogni loro gesto ha un impatto, e che la bellezza che li circonda non è né scontata né eterna.
Ma forse l’aspetto più inquietante dell’attuale deriva turistica in montagna è rappresentato dal crescente atteggiamento di arroganza con cui alcuni visitatori si rapportano ai gestori di rifugi, alle guide, ai ristoratori di baita, considerandoli alla stregua di operatori del turismo balneare, pretendendo servizi, comfort e velocità del tutto incompatibili con la realtà di strutture che, in molti casi, si trovano a ore di distanza dal primo centro abitato, che devono fare i conti con approvvigionamenti difficoltosi, con il meteo che cambia all’improvviso, con la scarsità di personale e con un carico di lavoro sempre più gravoso. L’episodio accaduto in Val Casies, dove un turista ha aggredito con spray al peperoncino un oste di baita “colpevole” di un’attesa troppo lunga e di prezzi ritenuti eccessivi, non è solo un fatto di cronaca nera, ma il simbolo di un deterioramento del rapporto tra città e montagna, tra turisti e ospitanti, tra chi pretende e chi resiste.
È il sintomo di una perdita profonda di consapevolezza, di una rottura del patto non scritto che da sempre regola la frequentazione consapevole dell’ambiente alpino: quel patto basato sul rispetto reciproco, sulla fiducia, sulla solidarietà, sul senso del limite. Recuperare questo patto significa promuovere un’educazione alla montagna che non sia solo tecnica – legata all’uso di attrezzature o alla lettura delle mappe – ma soprattutto culturale e simbolica, capace di restituire alla montagna il suo ruolo di spazio altro, di luogo da ascoltare e non da colonizzare, da capire prima di pretendere, da vivere senza l’urgenza della prestazione o dell’intrattenimento continuo. Non è una questione di chiusura o di elitismo, ma di tutela. Tutela della natura, certo, ma anche delle persone che vivono e lavorano in montagna, e che rischiano di essere travolte da un turismo inconsapevole, invasivo e spesso violento.
Serve, in altre parole, una nuova etica della montagna, che restituisca dignità a un mondo troppo a lungo trattato come un fondale decorativo per esperienze da consumare, e che invece merita attenzione, educazione, sobrietà. La montagna, oggi più che mai, chiede di essere ascoltata, non solo ammirata. Chiede che chi la percorre lo faccia con passo leggero, con cuore aperto, con spirito umile. Chiede che la si viva come si entra in una cattedrale: in silenzio, in punta di piedi, e con il profondo rispetto che si deve a tutto ciò che è più grande di noi.Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!