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Caso Raoul Bova, l’attore deposita il marchio “occhi spaccanti”: una mossa per fermare la diffusione degli audio

L’attore romano deposita il marchio delle celebri frasi per impedire l’uso commerciale non autorizzato dopo la diffusione degli audio privati da parte di Corona.
Credit © Rai

Raoul Bova ha compiuto una mossa legale strategica senza precedenti per arginare la diffusione virale dei propri messaggi vocali privati, depositando presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi del Ministero delle Imprese e del Made in Italy il marchio “Occhi spaccanti”, l’espressione diventata tristemente celebre dopo la pubblicazione online di conversazioni intime con la modella Martina Ceretti da parte di Fabrizio Corona.

Secondo quanto emerge dalla documentazione ufficiale, l’attore romano ha presentato il 5 agosto due distinte richieste di registrazione che contemplano sia l’intera frase “Buongiorno essere speciale, dal sorriso meraviglioso e dagli occhi spaccanti” sia la sola espressione “occhi spaccanti”, pronunciata nel messaggio vocale originariamente inviato alla ventitreenne Ceretti e successivamente divulgato attraverso il podcast “Falsissimo” di Corona lo scorso 21 luglio. Le domande coprono un ventaglio diversificato di settori commerciali, spaziando dai cosmetici alla cartoleria, dalle calzature all’abbigliamento, fino ai prodotti alimentari e alcolici, oltre a servizi di consulenza e telefonia.

La rappresentanza legale è stata affidata all’avvocata Michela Carlo dello studio Bernardini De Pace, guidato dalla celebre matrimonialista Annamaria Bernardini De Pace, madre della prima moglie di Bova, Chiara Giordano. In una dichiarazione lapidaria all’agenzia Adnkronos, l’avvocata ha precisato che si tratta “semplicemente di un modo, come tanti, per far cessare la diffusione dei video”, con la domanda attualmente sottoposta alla valutazione degli organi competenti.

Il ricorso alla registrazione del marchio rappresenta il culmine di una strategia legale articolata che ha visto Bova impegnato su molteplici fronti per contenere le conseguenze della vicenda. L’attore ha infatti presentato denuncia alla Procura di Roma, che ha aperto un fascicolo per tentata estorsione dopo che sul suo telefono era arrivato un messaggio anonimo da un’utenza spagnola con toni allusivi, attraverso cui veniva avvertito della possibile diffusione delle conversazioni private con la conseguente compromissione della sua immagine pubblica e professionale.

Parallelamente, Bova si è rivolto al Garante per la protezione dei dati personali, che ha prontamente avviato un’istruttoria formale per accertare eventuali violazioni della normativa privacy e delle regole deontologiche dei giornalisti coinvolti nella diffusione del materiale. L’Autorità ha inoltre emesso un avvertimento esplicito nei confronti di chiunque utilizzi l’audio o estratti della conversazione privata, sottolineando che ulteriori divulgazioni potrebbero comportare l’adozione di provvedimenti anche di natura sanzionatoria.

La vicenda ha preso avvio quando Federico Monzino, giovane imprenditore milanese ed erede della storica famiglia proprietaria dei magazzini Standa e del Centro Cardiologico Monzino, ha trasmesso a Corona il materiale compromettente ricevuto dalla modella Ceretti. Monzino, inizialmente presentato come persona informata sui fatti nell’inchiesta della Procura romana, ha fornito versioni contrastanti del proprio coinvolgimento, dapprima ammettendo di aver agito per “aiutare Martina a diventare famosa”, successivamente accusando Corona di aver acquisito le conversazioni attraverso una telecamera nascosta in un cappellino durante un incontro presso la sua abitazione.

Le conseguenze mediatiche della diffusione degli audio hanno rapidamente travalicato il perimetro del gossip, trasformandosi in un fenomeno virale sui social network attraverso meme, video ironici e contenuti denigratori che hanno coinvolto anche aziende commerciali come Ryanair e società sportive quali SSC Napoli e Torino FC, le quali hanno utilizzato le frasi di Bova per operazioni di marketing in tempo reale. Proprio contro questi soggetti l’attore aveva valutato di intraprendere azioni legali specifiche per uso improprio della propria immagine e delle proprie parole.

La questione ha inevitabilmente investito anche la sfera privata dell’attore, determinando la definitiva rottura del rapporto sentimentale con Rocio Munoz Morales dopo dodici anni di convivenza e due figlie, Luna e Alma. Mentre il legale di Bova, David Leggi, sosteneva che i due fossero “separati di fatto da molto tempo” e si alternassero nella cura delle bambine, l’avvocato della Morales, Antonio Conte, ha categoricamente smentito tale ricostruzione, precisando che “è assolutamente falso che vi sia una separazione di fatto” e che l’attrice aveva appreso i fatti esclusivamente attraverso i media.

Particolarmente significativo appare il coinvolgimento professionale di Annamaria Bernardini De Pace nella difesa dell’ex genero, considerando che nel 2013, durante la separazione di Bova dalla figlia Chiara Giordano, la stessa avvocata aveva pubblicato una celebre “lettera aperta a un genero degenerato” in cui definiva l’attore “vigliacco, ambivalente e manipolatore”. Oggi invece la divorzista dei vip ha dichiarato di essere “fiera del padre dei miei nipoti” per non aver ceduto al ricatto e aver immediatamente sporto denuncia, sottolineando come sia “una persona perbene” che “ha la coscienza a posto”.

La strategia del deposito del marchio, seppur inusuale nel panorama giuridico italiano, potrebbe rivelarsi efficace nel limitare l’utilizzo commerciale non autorizzato delle espressioni divenute virali. Qualora l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi dovesse accogliere la richiesta, chiunque volesse utilizzare commercially le frasi “occhi spaccanti” o l’intera espressione dovrebbe ottenere il permesso di Bova, pena l’applicazione delle sanzioni previste dalla normativa sulla proprietà intellettuale.

Rimane da stabilire l’esito dell’indagine penale coordinata dal pubblico ministero Eliana Dolce, che vede al momento un fascicolo aperto contro ignoti per tentata estorsione, con la polizia postale impegnata nell’analisi dei dispositivi elettronici sequestrati a tutti i soggetti coinvolti nella vicenda. Corona, pur avendo divulgato il materiale compromettente, non risulta al momento indagato, mentre gli inquirenti valutano anche l’ipotesi di ricettazione nel caso in cui chi ha diffuso i contenuti fosse consapevole della loro origine illecita.

La vicenda rappresenta un caso paradigmatico delle nuove frontiere della tutela della privacy nell’era digitale, dove la diffusione virale di contenuti privati attraverso piattaforme social può determinare conseguenze irreversibili sull’immagine pubblica e professionale delle persone coinvolte, rendendo necessarie strategie legali innovative per contrastare fenomeni di questo tipo.Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!

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