Una ricerca internazionale pubblicata sulla rivista Earth and Planetary Science Letters ha identificato quella che potrebbe rappresentare la più antica testimonianza di un evento di esplosione aerea di un asteroide nella storia geologica terrestre, documentando un impatto avvenuto sopra l’Antartide tra 2,3 e 2,7 milioni di anni fa. La scoperta, condotta dal team guidato da Matthias van Ginneken dell’Università del Kent, rappresenta un contributo significativo alla comprensione della frequenza e dell’impatto di questi fenomeni cosmici sulla storia del nostro pianeta.
L’identificazione di questo antico evento è stata possibile attraverso l’analisi di 116 minuscole particelle rocciose, chiamate sferule di condensazione, rinvenute nei ghiacciai antartici in prossimità delle Allan Hills. Questi frammenti microscopici, con dimensioni paragonabili a quelle di un capello umano, costituiscono l’unica testimonianza fisica di un fenomeno che ha rilasciato energie equivalenti a quelle di un’arma nucleare nell’atmosfera del continente meridionale. Le sferule mostrano caratteristiche mineralogiche distintive, tra cui la presenza di olivina e spinello, minerali tipici degli asteroidi, mentre le loro particolari composizioni isotopiche dell’ossigeno indicano che questi materiali si sono formati durante l’interazione ad alta temperatura tra vapore di asteroide e ghiaccio antartico.
Le esplosioni aeree rappresentano un fenomeno cosmico di particolare rilevanza scientifica e di protezione planetaria, poiché si verificano quando un corpo extraterrestre si disintegra completamente durante l’attraversamento dell’atmosfera prima di raggiungere la superficie terrestre. A differenza degli impatti che generano crateri visibili, questi eventi non lasciano strutture permanenti sul terreno, rendendo estremamente difficile la loro identificazione nel record geologico. Van Ginneken ha spiegato che tutta l’energia cinetica dell’oggetto in arrivo viene rilasciata nell’atmosfera sotto forma di onde d’urto e radiazione termica, creando pennacchi d’impatto caratterizzati da disturbi di pressione e calore intenso.
L’evento antartico di 2,5 milioni di anni fa si inserisce in una sequenza di scoperte che stanno rivoluzionando la comprensione degli impatti asteroidali antichi. La ricerca precedente dello stesso gruppo aveva già identificato evidenze di esplosioni aeree avvenute 430.000 e 480.000 anni fa sempre sopra l’Antartide, suggerendo che il continente meridionale possa rappresentare un archivio privilegiato per la conservazione delle tracce di questi fenomeni grazie alle sue condizioni climatiche uniche. Il ghiaccio antartico, accumulandosi lentamente e rimanendo stabile per lunghi periodi geologici, permette la preservazione di materiali che in altre regioni del pianeta verrebbero rapidamente dispersi da pioggia, vento e attività biologica.
La composizione geochimica delle sferule del layer BIT-58, denominazione tecnica assegnata all’orizzonte di polvere extraterrestre, presenta caratteristiche praticamente identiche a quelle prodotte durante l’evento di 430.000 anni fa, suggerendo meccanismi di formazione simili ma con sottili differenze che forniscono informazioni aggiuntive sui processi di condensazione nelle grandi colonne di materiale vaporizzato. L’analisi isotopica dell’ossigeno ha rivelato che tra il 50 e il 95 percento dell’ossigeno presente nelle particelle deriva dal ghiaccio antartico, dimostrando l’intenso scambio termico avvenuto durante l’esplosione tra il vapore dell’asteroide e il substrato ghiacciato.
Questa tipologia di evento, definita “touchdown” dagli scienziati, rappresenta una categoria intermedia tra le esplosioni aeree classiche e gli impatti che formano crateri, caratterizzata dal fatto che un getto di materiale asteroidale fuso e vaporizzato raggiunge effettivamente la superficie terrestre ad alta velocità, pur mantenendo una densità troppo bassa per formare una struttura craterica permanente. Il fenomeno genera temperature superiori ai 2000 gradi Celsius, sufficienti a trasformare istantaneamente il ghiaccio in vapore surriscaldato e a creare le condizioni chimico-fisiche necessarie per la formazione delle sferule ignee recuperate dai ricercatori.
Le implicazioni di questa scoperta si estendono ben oltre l’aspetto puramente scientifico, toccando questioni cruciali di difesa planetaria e valutazione del rischio cosmico. Gli eventi di esplosione aerea sono statisticamente più frequenti degli impatti che generano crateri, verificandosi secondo le stime attuali ogni 100-10.000 anni per eventi di dimensioni paragonabili a quello di Tunguska del 1908, che abbatté oltre 80 milioni di alberi su un’area di 2000 chilometri quadrati in Siberia. L’identificazione di questi antichi eventi nel record geologico permette di calibrare meglio i modelli di frequenza e di valutare più accuratamente la minaccia che asteroidi di medie dimensioni possono rappresentare per le aree densamente popolate del pianeta.
La ricerca ha utilizzato tecnologie analitiche avanzate, inclusi modelli numerici tridimensionali che simulano l’interazione tra i resti dell’asteroide e l’atmosfera terrestre, per ricostruire la dinamica dell’evento. Le simulazioni indicano che l’asteroide responsabile dell’esplosione aveva probabilmente un diametro compreso tra 100 e 150 metri e apparteneva alla classe degli asteroidi condriti ordinari o carbonacei, corpi rocciosi primitivi che conservano la composizione originaria del sistema solare primordiale. L’energia rilasciata durante l’esplosione è stata stimata in diverse decine di megatoni di TNT equivalente, con effetti devastanti su un’area di migliaia di chilometri quadrati.
Particolarmente significativo appare il ruolo dell’Antartide come laboratorio naturale per lo studio degli impatti cosmici, considerando che la calotta glaciale ricopre solamente il 9 percento della superficie terrestre ma ha fornito finora le uniche testimonianze dirette di antichi eventi di esplosione aerea. I ricercatori raccomandano di estendere le ricerche ad altri tipi di substrati, inclusi fondali oceanici profondi e sedimenti continentali, per completare il quadro della storia degli impatti asteroidali terrestri. Van Ginneken ha sottolineato che se eventi simili dovessero verificarsi sopra aree densamente popolate, le conseguenze sarebbero catastrofiche, con milioni di vittime e danni severi su distanze di centinaia di chilometri.
La metodologia sviluppata per identificare le tracce di questi antichi eventi cosmici potrebbe trovare applicazione anche nello studio di altri corpi planetari del sistema solare, contribuendo alla comprensione dell’evoluzione dinamica dello spazio interplanetario e della frequenza con cui oggetti di varie dimensioni interagiscono con i pianeti rocciosi. L’identificazione del layer BIT-58 come testimonianza del più antico evento di esplosione aerea documentato rappresenta un passo fondamentale verso la costruzione di un catalogo completo degli impatti asteroidali che hanno interessato la Terra nel corso della sua storia geologica, fornendo elementi essenziali per la valutazione del rischio futuro e lo sviluppo di strategie efficaci di difesa planetaria.Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!