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Caso Raoul Bova, l’attore brevetta la celebre frase e scatena il dibattito sull’esclusiva d’uso

L’attore Raoul Bova ha registrato come marchio la frase diventata virale nell’estate, riservandone l’uso per prodotti e servizi e scatenando un acceso dibattito sul confine tra tutela dei diritti e libertà di citazione.
Credit © Rai

L’attore Raoul Bova ha recentemente depositato presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi la registrazione come marchio della frase “Buongiorno essere speciale dal sorriso meraviglioso e dagli occhi spaccanti“, estendendo la riserva di esclusiva non soltanto all’appellativo dedicato alla modella protagonista del cosiddetto “Bova gate” ma all’intera espressione, con una copertura merceologica che spazia dal sapone alle essenze alcoliche, fino ai servizi di video on-demand e trasmissioni televisive. Con un investimento contenuto di 509,16 euro, l’attore romano intende tutelare l’uso promozionale e commerciale del messaggio, creando un paradosso legale per chiunque volesse citarlo in contesti pubblicitari o editoriali senza ottenere preventivamente la sua autorizzazione.

L’iniziativa di Bova, che arriva a distanza di pochi mesi dallo scoppio della vicenda gossippara nota come “Bova gate”, ha sollevato immediatamente un dibattito nel mondo della comunicazione e del diritto d’autore, dal momento che la frase in questione era divenuta virale sui social network, sui mezzi di informazione generalisti e persino nei palinsesti televisivi, assumendo nella percezione collettiva la valenza di un tormentone estivo più che di un claim promozionale da tutelare con un marchio registrato. Tuttavia, secondo gli esperti di proprietà intellettuale, nulla osta a che una persona fisica o giuridica possa privativamente riservare l’uso di un’espressione di fantasia purché si dimostri effettiva intenzione di utilizzarla nel commercio e si specifichino le classi di prodotti o servizi interessate, come avviene per tutti i marchi d’impresa.

Il deposito effettuato dall’avvocato di fiducia di Bova include, oltre alla regolare rappresentazione grafica del testo in stampatello maiuscolo, la selezione di numerose classi secondo la classificazione internazionale di Nizza, con particolare attenzione al settore della cosmesi, delle bevande alcoliche, dei prodotti per la cura personale, nonché ai cosiddetti servizi di entertainment digitale. In quest’ultimo ambito rientrano infatti i “servizi di messa a disposizione di films, non scaricabili, per mezzo di trasmissioni di video on-demand” e i “servizi di messa a disposizione di programmi televisivi, non scaricabili, per mezzo di trasmissioni di video on-demand”, configurando così un’estensione della portata contrattuale che pone Bova in una posizione di potenziale arbitro normativo sulle modalità di esposizione del proprio tormentone in qualsiasi forma audiovisiva o scritta.

>> Caso Raoul Bova, l’attore deposita il marchio “occhi spaccanti”: una mossa per fermare la diffusione degli audio

La registrazione di marchi costituiti esclusivamente da una frase, anche priva di elementi grafici particolari, non rappresenta un’anomalia nel panorama del diritto dei marchi, ma è piuttosto un caso di scuola per comprendere i limiti e le opportunità di tale disciplina. Negli ultimi anni si sono moltiplicate le domande di registrazione per slogan pubblicitari celebri, aforismi letterari e hashtag social, spesso con esiti controversi o contestati da associazioni di consumatori e da altre imprese del settore. Tuttavia, la circostanza che la frase di Bova sia già entrata nell’uso comune come battuta ironica sui social network non implica necessariamente che ne sia venuto meno il carattere distintivo, a patto che chi la cita non lo faccia per promuovere prodotti concorrenti o per sfruttare indebitamente la visibilità dell’attore.

I primi commenti giuridici hanno sottolineato che la tutela offerta dal marchio si limita alle classi merceologiche dichiarate in sede di deposito, per cui eventuali usi editoriali, giornalistici o accademici della frase resterebbero legittimi ai sensi dell’articolo 70 del Codice della Proprietà Industriale, che prevede eccezioni per citazioni a scopo informativo, critico o di studio. Per converso, chi volesse sfruttare la frase per confezionare gadget, campagne pubblicitarie, videoclip promozionali o qualsiasi altro materiale destinato alla vendita o al marketing, rischierebbe di incorrere in azioni di opposizione, richieste di risarcimento e, nel peggiore dei casi, in una diffida giudiziaria con conseguente obbligo di pagamento di royalties o di un forfait per l’uso del marchio.

L’effetto mediatico della notizia ha alimentato un’ondata di prese di posizione, con influencer e utenti che hanno rilanciato meme sull’assurdità di dover pagare Bova ogni volta che si cita il suo famigerato buongiorno estremo e iperbolico. Sul fronte professionale, diversi consulenti in marchi e brevetti hanno invitato alla prudenza, ricordando come la richiesta di registrazione possa essere respinta dall’Ufficio Brevetti in sede di opposizione, qualora terzi dimostrino che la frase sia divenuta ‘modo di dire’ o non conservi più la necessaria originalità e capacità distintiva. In passato, celebri casi simili avevano visto marchi registrati annullati dopo lunghe cause legali, producendo costi elevati e danni d’immagine rilevanti.

Paradossalmente, l’operazione legale di Bova mette in luce la sottile linea di confine tra celebrità e imprese, tra comunicazione popolare e diritti di sfruttamento economico. Da un lato, l’attore tutela un’espressione che lo identifica, ne rafforza l’immagine pubblica e ne può trarre profitto attraverso licenze e collaborazioni commerciali; dall’altro, il pubblico e alcuni addetti ai lavori interpretano la mossa come un tentativo di mercificazione estrema di un fenomeno culturale spontaneo. Nel frattempo, chi strizza l’occhio all’ironia ha già coniato neologismi come “Bovagate” per descrivere l’operazione, alimentando un’eco virale che, nella sostanza, paradossalmente aumenta la diffusione gratuita della frase che si vorrebbe esclusiva.

In attesa di verificare eventuali opposizioni o contenziosi, resta da comprendere come evolverà la strategia commerciale di Bova e quali saranno le contromosse di chi intende continuare a giocare sul meme più salace dell’estate appena trascorsa. Se la registrazione verrà confermata senza intoppi, nessuno potrà integrare la celebre frase in campagne pubblicitarie o materiali promozionali senza passare dal suo team legale e versare la somma dovuta, determinando forse un precedente che potrebbe incoraggiare altre celebrità a blindare ogni singola battuta di successo. Se invece qualche rivale o creatore di contenuti dovesse riuscire a far valere l’uso esclusivo come improprio, potremmo assistere a un’altra stagione di battaglie legali destinate a tenere banco sulle prime pagine dei giornali specializzati e sui notiziari televisivi.

Il vero interrogativo che rimane aperto è se la creatività pop finirà davvero per soccombere sotto il peso di normative e cavilli legali o se la satira collettiva saprà forzare margini di libertà tali da rendere vano qualsiasi tentativo di privatizzare un’espressione ormai patrimonio di migliaia di utenti. In un mercato in cui l’attenzione è la moneta più preziosa, un singolo buongiorno caricaturale potrebbe generare ricavi inattesi, ma potrebbe anche rischiare di trascinare nella giungla del diritto d’autore chiunque osi ripetere un semplice saluto con un sorriso, lasciando aperto un dibattito cruciale sul bilanciamento tra tutela dei diritti e libertà di espressione.Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!