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Dall’Antica Mesopotamia ai Maya, tutti i Segreti dell’Equinozio d’Autunno

Dall’Eufrate alle Ande, l’equinozio d’autunno è la soglia tra mondi: una costante universale che riflette il bisogno umano di ordine, ciclicità e connessione con il cosmo.

L’equinozio d’autunno non è soltanto un momento astronomico in cui il Sole attraversa l’equatore celeste, generando un perfetto equilibrio tra luce e oscurità. È, sin dalle origini delle prime grandi civiltà umane, una soglia simbolica carica di significati religiosi, cosmologici e sociali. L’interesse per questo punto nodale nel ciclo dell’anno, lungi dall’essere un patrimonio esclusivo della cultura greco-romana o del neopaganesimo moderno, affonda le sue radici nelle antichissime società della Mesopotamia, nelle culture dell’Asia orientale e dell’India vedica, fino ai popoli delle Ande e della Mesoamerica, che hanno saputo trasformare l’osservazione astronomica in architettura sacra, calendario rituale e racconto mitopoietico.

Nel cuore della Mezzaluna Fertile, i Sumeri furono tra i primi a osservare sistematicamente il cielo. Le tavolette cuneiformi rinvenute a Uruk, databili al III millennio a.C., dimostrano una conoscenza avanzata dei cicli lunari e solari, e l’uso del calendario lunisolare. Sebbene non esista una documentazione diretta che menzioni l’equinozio d’autunno come celebrazione autonoma, le festività legate al raccolto e ai cicli naturali dell’agricoltura, come la festa di Akitu (capodanno sumero), indicano un attento coordinamento tra fenomeni celesti e ritualità sociale. Akitu, celebrata due volte l’anno – in primavera e in autunno – aveva una funzione cosmica: sanciva il rinnovamento dell’ordine universale per volere degli dèi. In questo senso, l’equinozio assumeva implicitamente un significato di riequilibrio tra forze cosmiche.

Nell’antica Babilonia, l’osservazione celeste era strettamente legata al potere regale. I sacerdoti-astronomi, noti come bareu, registravano scrupolosamente i movimenti del Sole, della Luna e dei pianeti. Il calendario babilonese, perfezionato nel I millennio a.C., prevedeva la sincronizzazione tra l’anno solare e i mesi lunari, e i cambi di stagione erano associati a divinità specifiche. Marduk, dio supremo della città di Babilonia, era celebrato nei momenti di passaggio stagionale, in particolare nel contesto delle feste equinoziali e solstiziali, con rituali di purificazione e rinnovamento cosmico.

Anche in Egitto, dove l’equinozio non fu mai celebrato come data religiosa ufficiale, il concetto di Ma’at – l’ordine universale – era intimamente legato al ciclo del Sole. La costruzione dei templi, come quello di Karnak, e l’allineamento delle piramidi di Giza suggeriscono una sofisticata comprensione dei movimenti celesti. L’autunno segnava l’inizio dell’inondazione annuale del Nilo, evento ciclico che garantiva la fertilità della terra. Sebbene l’anno civile egizio non coincidesse perfettamente con l’equinozio, i sacerdoti seguivano un calendario liturgico legato al sorgere eliaco della stella Sirio, che si manifestava proprio in prossimità dei cambi stagionali. Il concetto di rinascita e rigenerazione ciclica della natura, fondamento della teologia osiridea, si intreccia perfettamente con la simbologia equinoziale.

Con i Greci il legame tra mito ed equinozio si fa esplicito. Il celebre mito di Persefone è una lettura mitologica del ciclo stagionale. Quando la figlia di Demetra viene rapita da Ade e condotta nell’Ade, la natura si ritira e la terra si fa sterile. Il ritorno annuale di Persefone coincide con la primavera, mentre la sua discesa segna l’inizio dell’autunno e il declino della luce. Il culto eleusino, misterico e riservato agli iniziati, celebrava questi passaggi in un contesto sacro in cui l’equinozio assumeva la funzione di passaggio tra mondi – quello della vita e quello della morte, della luce e delle tenebre, della conoscenza e del mistero.

Nel mondo romano, l’equinozio era connesso ai cicli agricoli attraverso le festività dedicate alle divinità della campagna. La figura di Pomona, dea della frutta e dell’abbondanza, dominava simbolicamente l’autunno. Le celebrazioni di Vendemia e le feste rurali legate al raccolto avvenivano proprio nel periodo equinoziale. Con la progressiva cristianizzazione dell’Impero, il significato simbolico dell’equinozio fu traslato nella figura di San Michele, l’arcangelo che combatte le tenebre, rappresentazione cristiana della luce che resiste all’avanzare dell’oscurità.

Nella cultura cinese, l’equinozio d’autunno è codificato da oltre duemila anni. Già nel Liji (Libro dei Riti), uno dei testi canonici del confucianesimo, si sottolineava l’importanza del bilanciamento tra yin e yang nei momenti di transizione stagionale. La Zhongqiu Jie (Festa di Metà Autunno), le cui prime tracce risalgono alla dinastia Zhou (1046–256 a.C.), è strettamente connessa con il calendario lunare e celebra il raccolto, la luna piena e l’unità familiare. Il consumo dei mooncake ha origini rituali: simboleggia la pienezza, la ciclicità del tempo e la riconnessione con le forze cosmiche.

In Giappone, la festa di Higan si svolge nei sette giorni che circondano gli equinozi, sia in primavera che in autunno. Di origine buddhista, la celebrazione risale al periodo Nara (VIII secolo), e si fonda sull’idea che l’equilibrio tra luce e ombra favorisca il contatto con il mondo dei defunti. È un momento di introspezione, di visita alle tombe degli antenati e di meditazione sulla transitorietà.

In India, la celebrazione di Navaratri (letteralmente “nove notti”) rappresenta una potente espressione simbolica del passaggio stagionale. Il periodo cade spesso in prossimità dell’equinozio e celebra la dea Durga, manifestazione del potere femminile divino (Shakti). Ogni notte è dedicata a un diverso aspetto della dea, in un processo rituale di purificazione e rigenerazione. La simbologia della vittoria della luce sull’oscurità, del dharma sull’adharma, risuona potentemente con il senso cosmico dell’equinozio.

Forse nessun’altra civiltà ha tradotto il fenomeno dell’equinozio in forma architettonica e simbolica come i Maya. A Chichén Itzá, la piramide di Kukulkán (El Castillo) è allineata in modo tale che, durante gli equinozi, la luce del tramonto crea l’illusione di un serpente piumato (Kukulkán/Quetzalcoatl) che si snoda lungo i gradini nord della scalinata. Questo spettacolo non era solo una meraviglia ottica, ma un atto sacro: la discesa del dio-serpente rappresentava la connessione tra il mondo celeste, quello terreno e l’oltretomba.

Anche gli Inca, nell’Ande, celebravano con precisione i cambi stagionali attraverso il complesso sistema del Inti Raymi, incentrato sul culto del Sole (Inti). Sebbene la festa principale fosse legata al solstizio d’inverno (giugno), i templi solari come quello di Qorikancha a Cusco erano orientati anche in relazione agli equinozi, che segnavano i ritmi agricoli delle alte valli andine.

Attraverso millenni di storia e geografie lontanissime, l’equinozio d’autunno è stato letto e interpretato in forme diverse ma convergenti: non come semplice fatto astronomico, ma come chiave di lettura del tempo, della fertilità, della morte e della rinascita. Le culture mesopotamiche lo intesero come strumento di legittimazione cosmica del potere; quelle orientali come momento di armonia etica e spirituale; le civiltà amerinde come punto di accesso al divino attraverso il linguaggio delle stelle e delle ombre. Il mito di Persefone, il culto di Marduk, la geometria solare dei Maya, le lanterne del Moon Festival e le danze di Navaratri sono, ciascuno a suo modo, strumenti sapienziali con cui l’uomo ha cercato di dare senso al suo posto nell’universo. L’equinozio non è solo un giorno dell’anno: è il riflesso di una domanda perenne – come vivere in equilibrio nel fluire del tempo.Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!