Dopo mesi di esitazioni e valutazioni tecniche approfondite, la Francia ha comunicato ufficialmente ai partner europei Germania, Italia e Spagna la decisione di ritirarsi dal programma Eurodrone, il progetto multinazionale da oltre sette miliardi di euro concepito per garantire all’Europa l’indipendenza strategica nel campo dei sistemi aerei a pilotaggio remoto di classe MALE. L’annuncio, confermato da fonti del Ministero delle Forze Armate francese nella giornata del diciassette ottobre duemilaventicinque, segna una battuta d’arresto per uno dei programmi più ambiziosi della difesa europea e rilancia interrogativi profondi sul futuro della cooperazione industriale transnazionale nel settore militare.
La decisione di Parigi giunge in un momento particolarmente delicato, quando il progetto aveva da poco completato la revisione critica della progettazione e si preparava ad avviare la fase di produzione dei prototipi. Le ragioni addotte dalle autorità francesi riguardano principalmente l’accumulo di ritardi sistematici nel programma, gli sforamenti di bilancio che hanno fatto lievitare i costi ben oltre le previsioni iniziali e la necessità di effettuare tagli alla spesa nazionale per la difesa in un contesto economico domestico complesso. Ambienti vicini al dicastero francese hanno confermato come si tratti essenzialmente di una questione di priorità e di efficienza nella gestione delle risorse disponibili.
Le critiche tecniche che hanno minato il progetto
Nel cuore della decisione francese vi sono motivazioni tecniche stringenti emerse nel corso degli ultimi anni. Il Senato francese aveva già manifestato perplessità sostanziali sulla configurazione del velivolo, definito eccessivamente pesante e oneroso rispetto agli standard operativi richiesti. L’Eurodrone, concepito con una massa massima al decollo di circa undici tonnellate, risulta infatti essere doppio rispetto al peso operativo dell’americano General Atomics MQ-9 Reaper, il drone che attualmente equipaggia le forze armate francesi e di numerosi alleati occidentali. Questa caratteristica, che doveva rappresentare un elemento di superiorità tecnica garantendo maggiore autonomia e capacità di carico, si è rivelata nella pratica un limite significativo che compromette l’efficienza operativa e la competitività del sistema.
Il peso eccessivo del velivolo comporta conseguenze rilevanti sul piano logistico e operativo. Con un’apertura alare di circa ventisei metri, una lunghezza di sedici metri e un’altezza di sei metri, l’Eurodrone necessita di infrastrutture sostanziali per il decollo, l’atterraggio e la manutenzione, richiedendo investimenti aggiuntivi che molte basi militari esistenti non sono in grado di sostenere senza modifiche strutturali significative. Il confronto con il Reaper appare impietoso: il drone americano, con un’apertura alare di venti metri, una lunghezza di undici metri e un peso operativo di circa duemiladuecento chilogrammi, offre flessibilità operativa enormemente superiore pur mantenendo capacità avanzate nelle missioni di intelligence, sorveglianza, acquisizione obiettivi e ricognizione.
Il contesto industriale e le tensioni tra i partner
Il programma Eurodrone era stato avviato nel duemilaquindici come iniziativa congiunta tra Germania, Francia, Italia e Spagna, con l’obiettivo dichiarato di sviluppare un sistema aereo a pilotaggio remoto europeo capace di operare a media altitudine per missioni di lunga durata, riducendo la dipendenza tecnologica e operativa da fornitori extraeuropei, in particolare dagli Stati Uniti, da Israele e dalla Cina. La gestione del programma era stata affidata all’organizzazione europea OCCAR, con Airbus Defence and Space come capocommessa, affiancata da Dassault Aviation per la Francia e Leonardo per l’Italia.
Il contratto globale firmato nel febbraio duemilaventidue prevedeva lo sviluppo e la produzione di venti sistemi complessivi, ciascuno composto da tre velivoli e due stazioni di controllo a terra, per un totale di sessanta droni destinati ai quattro paesi partecipanti, con un investimento stimato di sette virgola uno miliardi di euro e un supporto iniziale in servizio garantito per cinque anni. La Francia aveva inizialmente pianificato l’acquisizione di ventuno velivoli organizzati in sette sistemi, la Germania di otto, la Spagna di otto e l’Italia di venti sistemi con sessanta velivoli complessivi.
Tuttavia, le tensioni tra i partner industriali e le divergenze sulle specifiche tecniche hanno rallentato progressivamente il programma. Le autorità francesi hanno lamentato la complessità di un coordinamento industriale che coinvolge tre grandi gruppi aerospaziali con culture aziendali profondamente diverse e l’inevitabile burocrazia europea che accompagna ogni decisione progettuale. La necessità di armonizzare requisiti operativi differenti espressi da quattro diverse forze armate nazionali ha contribuito ad aumentare la complessità del sistema e, conseguentemente, i costi di sviluppo.
Le priorità strategiche francesi e il riorientamento verso altri programmi
Parigi ha giustificato la decisione sottolineando la necessità di concentrare le risorse disponibili su programmi ritenuti più strategici o giunti a uno stadio di maturità maggiore. Tra questi figurano in primo piano gli investimenti destinati alla modernizzazione della deterrenza nucleare nazionale e il programma FCAS, il Future Combat Air System, il progetto franco-tedesco-spagnolo per lo sviluppo di un caccia di sesta generazione destinato a sostituire il Rafale francese e l’Eurofighter tedesco e spagnolo a partire dal duemilaquaranta.
Il programma FCAS rappresenta per Parigi una priorità assoluta nel quadro dell’autonomia strategica europea, nonostante anch’esso sia afflitto da tensioni significative tra i partner industriali, in particolare tra Dassault Aviation e Airbus, riguardo alla leadership del progetto e alla suddivisione delle responsabilità tecniche. Il valore stimato del programma supera i cento miliardi di euro e coinvolge lo sviluppo non solo di un velivolo da combattimento di nuova generazione ma anche di droni di accompagnamento e di un cloud da combattimento per garantire l’interoperabilità sistemica.
Le autorità francesi hanno inoltre manifestato interesse crescente verso soluzioni alternative più rapide da implementare e meno costose rispetto all’Eurodrone. Tra queste figura il drone MALE Aarok, sviluppato dalla società francese Turgis et Gaillard e presentato al Paris Air Show nel duemilaventitre. Il sistema Aarok rappresenta una concezione opposta rispetto all’Eurodrone: più leggero, meno costoso e con tempistiche di sviluppo significativamente ridotte, promettendo il primo volo nel duemilaventicinque e una disponibilità operativa che potrebbe precedere di diversi anni quella dell’Eurodrone.
Nel frattempo, la Francia continua ad affidarsi ai droni MQ-9 Reaper di General Atomics, di cui ha ordinato complessivamente sedici esemplari tra le versioni Block uno e Block cinque. Gli ultimi due velivoli sono stati acquisiti nel duemilaventuno per un valore unitario di circa settantanove milioni di dollari, e le forze armate francesi hanno confermato l’eccellente prestazione operativa dei Reaper nelle missioni condotte nel Sahel, dove hanno fornito supporto cruciale in operazioni di intelligence, sorveglianza e ricognizione, oltre a interventi diretti con missili AGM-114 Hellfire contro obiettivi jihadisti.
Le conseguenze per i partner europei rimasti
Il ritiro francese pone interrogativi sostanziali sul futuro del programma Eurodrone e sulle conseguenze industriali e operative per i partner rimasti. Germania, Italia e Spagna si trovano ora di fronte alla scelta se proseguire il programma con una configurazione ridotta, rinegoziare gli accordi industriali per redistribuire le quote di lavoro e i costi, oppure valutare alternative che potrebbero includere l’acquisizione di sistemi già disponibili sul mercato internazionale.
Leonardo, che ricopre un ruolo centrale nel programma sviluppando l’Airborne Mission System del velivolo, l’intero complesso alare, l’Airborne Electrical and Environmental Control System e l’Airborne Armament System, si trova in una posizione particolarmente delicata. L’azienda italiana aveva investito risorse significative nello sviluppo delle tecnologie avanzate destinate all’Eurodrone, inclusa la suite di sensori che integra radar ad apertura sintetica, sistemi elettro-ottici e capacità di comunicazione sicura.
Airbus Defence and Space, capocommessa del programma, ha recentemente comunicato progressi significativi nello sviluppo tecnico, completando la Critical Design Review contrattuale prevista entro la fine del duemilaventicinque, un passaggio fondamentale che dovrebbe aprire la strada alla produzione dei prototipi e ai test di volo previsti prima della fine del decennio. Tuttavia, l’uscita del partner francese mette in discussione la sostenibilità economica e la validità strategica dell’intero progetto.
Le caratteristiche tecniche dell’Eurodrone e il confronto con i competitor
Dal punto di vista tecnico, l’Eurodrone era stato progettato come un velivolo a pilotaggio remoto con configurazione bimotore turboelica, capace di operare a una tangenza massima di oltre tredicimila metri per oltre quaranta ore consecutive, con una velocità di crociera compresa tra cinquecento e seicento chilometri orari. Il sistema era concepito per trasportare un carico utile modulare fino a due virgola tre tonnellate, garantendo flessibilità operativa nelle missioni ISTAR e la capacità di integrare sensori elettro-ottici, radar, sistemi di comunicazione avanzati e, in prospettiva, armamenti per missioni di attacco di precisione.
Il concetto operativo prevedeva che ogni sistema includesse tre droni e due stazioni di controllo a terra, permettendo rotazioni operative continue e capacità di sorveglianza persistente su teatri operativi estesi. Il velivolo era stato progettato specificamente per ottenere la certificazione di aeronavigabilità civile e l’integrazione negli spazi aerei non segregati europei, caratterizzati da elevata densità di traffico commerciale, una caratteristica distintiva rispetto ai sistemi americani e israeliani che operano prevalentemente in spazi aerei militari dedicati.
Tuttavia, il confronto con l’MQ-9 Reaper rivela differenze sostanziali. Il drone americano, con un peso massimo al decollo di circa quattromila virgola settecento chilogrammi e una capacità di carico utile di circa millesettecento chilogrammi, offre un’autonomia operativa di trenta ore nelle missioni ISR che si riduce a ventitré ore con carico bellico completo. Il Reaper può trasportare missili Hellfire, bombe guidate laser GBU-12 Paveway II e GBU-38 JDAM, operando a una tangenza di circa quindicimila metri con una velocità massima di circa quattrocentottanta chilometri orari.
La superiorità operativa del Reaper deriva principalmente dalla maturità tecnologica del sistema, continuamente aggiornato da General Atomics con miglioramenti incrementali che includono sensori avanzati, capacità di autodifesa contro minacce missilistiche e versioni marittime come lo Sky Guardian, considerate significativamente superiori a quanto l’Eurodrone avrebbe potuto offrire alla data di entrata in servizio prevista nel duemilatrentuno.
Le implicazioni per l’autonomia strategica europea
Il ritiro francese dall’Eurodrone rappresenta un colpo significativo alle ambizioni europee di autonomia strategica nel settore della difesa. Il programma era stato concepito proprio con l’obiettivo di ridurre la dipendenza tecnologica e operativa dai sistemi americani, garantendo all’Europa capacità sovrane nei settori critici della sorveglianza strategica, della ricognizione e dell’intelligence.
L’abbandono di Parigi evidenzia le difficoltà strutturali che affliggono i programmi di cooperazione industriale europea nel settore militare, caratterizzati da complessità decisionali derivanti dalla necessità di armonizzare requisiti operativi nazionali differenti, dalla competizione tra campioni industriali nazionali per la leadership tecnologica e il workshare, e dalla lentezza dei processi burocratici europei rispetto alla rapidità dell’innovazione tecnologica.
La Commissione Europea ha recentemente presentato una roadmap per la prontezza difensiva che prevede il raggiungimento dell’autonomia strategica europea entro il duemilatrenta, con progetti chiave che includono il cosiddetto muro di droni per la difesa del fianco orientale, lo scudo aereo europeo e sistemi avanzati di sorveglianza. L’obiettivo dichiarato dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen è garantire all’Europa la capacità di difendersi autonomamente, riducendo la dipendenza dall’ombrello strategico americano fornito dalla NATO.
Tuttavia, il caso Eurodrone dimostra come le ambizioni politiche si scontrino con la realtà industriale ed economica. Germania, Italia e Spagna continuano ad acquistare droni MQ-9 Reaper dagli Stati Uniti, riconoscendone la superiorità tecnologica e operativa. L’Italia ha recentemente ottenuto l’autorizzazione americana per l’acquisto di sei droni Reaper Block cinque per un valore di settecentotrentotto milioni di dollari, confermando la fiducia nel sistema americano nonostante la partecipazione al programma Eurodrone.
Le prospettive future e le alternative possibili
Con l’uscita della Francia, i partner rimasti devono valutare attentamente le opzioni disponibili. Una possibilità consiste nel proseguire il programma ridimensionandolo e rinegoziando i termini industriali e finanziari, concentrando gli sforzi su una versione meno ambiziosa ma più rapidamente disponibile. Un’altra alternativa prevede la trasformazione dell’Eurodrone da sistema polivalente a piattaforma specializzata per missioni specifiche, come il pattugliamento marittimo e la lotta antisommergibile, settori in cui le caratteristiche di grande autonomia e capacità di carico potrebbero risultare vantaggiose.
Airbus Defence and Space ha recentemente prefigurato un ampliamento delle missioni potenziali dell’Eurodrone, includendo capacità di Airborne Early Warning e impieghi antisommergibile mediante l’integrazione di sensori per la sorveglianza marittima, siluri leggeri e dispenser per il rilascio di boe sonore. Questa riconfigurazione potrebbe offrire una nicchia operativa in cui il peso e le dimensioni del velivolo rappresenterebbero un vantaggio piuttosto che un limite.
Nel frattempo, l’industria europea della difesa continua a sviluppare alternative. Oltre al già citato Aarok francese, esistono progetti nazionali in vari paesi europei che potrebbero beneficiare del fallimento dell’approccio multinazionale. La competizione globale nel settore dei droni militari vede protagonisti non solo gli Stati Uniti ma anche la Cina, la Turchia e Israele, paesi che hanno sviluppato sistemi tecnologicamente avanzati a costi competitivi e con tempistiche di sviluppo significativamente inferiori rispetto ai programmi europei.
L’abbandono francese dell’Eurodrone riapre interrogativi fondamentali sulla capacità dell’Europa di sviluppare autonomamente sistemi militari complessi attraverso programmi multinazionali. La vicenda presenta analogie preoccupanti con altri progetti travagliati come il caccia FCAS, anch’esso afflitto da tensioni tra partner industriali e ritardi significativi. Le autorità tedesche, italiane e spagnole dovranno decidere rapidamente se proseguire con un programma ridimensionato oppure accettare la realtà di una dipendenza prolungata dai sistemi americani. La scelta avrà implicazioni profonde non solo per le capacità operative delle rispettive forze armate ma anche per la credibilità delle ambizioni europee di autonomia strategica nel settore della difesa, in un momento storico in cui le minacce alla sicurezza del continente appaiono sempre più concrete e pressanti. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!