Il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez ha riacceso il dibattito europeo sul cambio stagionale dell’ora, presentando in occasione del Consiglio Energia dell’Unione Europea del 20 ottobre 2025 una proposta formale per abolire definitivamente questa pratica a partire dal 2026. In un video pubblicato sui suoi canali social, il leader socialista ha espresso con fermezza la sua posizione, dichiarando che cambiare l’ora due volte all’anno rappresenta ormai una consuetudine priva di senso nel ventunesimo secolo, che genera benefici energetici trascurabili a fronte di comprovati effetti negativi sulla salute dei cittadini.
La posizione del governo spagnolo si inserisce in un contesto di crescente insoddisfazione dell’opinione pubblica europea verso questa convenzione. Sánchez ha sottolineato come i sondaggi condotti tra gli spagnoli e gli altri cittadini europei mostrino una chiara maggioranza contraria al mantenimento del doppio cambio orario annuale. Secondo recenti rilevazioni, circa il sessantasei per cento degli spagnoli si dichiara contrario alla conservazione di questa pratica, un sentimento diffuso in modo trasversale in tutta l’Unione. La Spagna intende far valere questo mandato popolare attraverso un’iniziativa diplomatica che mira a sbloccare una questione rimasta paralizzata per anni nelle istituzioni comunitarie.
Il segretario di Stato spagnolo per l’Energia, Joan Groizard, ha richiesto l’inserimento del punto all’ordine del giorno del Consiglio, argomentando che il sistema energetico europeo sta attraversando una trasformazione profonda e che è giunto il momento di riaprire il confronto per trovare una soluzione davvero efficace. Groizard, ingegnere energetico e ambientale formatosi all’Università di Cambridge, ha dedicato la sua carriera alla promozione della transizione ecologica e dal 2019 ha guidato l’Istituto per la Diversificazione e il Risparmio Energetico spagnolo prima di essere nominato segretario di Stato nel novembre 2024. La sua competenza tecnica nel settore energetico conferisce particolare autorevolezza alla posizione spagnola, che si fonda su una valutazione scientifica dell’impatto reale del cambio orario sui consumi.
Cambiar la hora dos veces al año ya no tiene sentido.
— Pedro Sánchez (@sanchezcastejon) October 20, 2025
Apenas ayuda a ahorrar energía y tiene un impacto negativo en la salud y en la vida de la gente.
Por eso, hoy el Gobierno de España propondrá a la UE acabar con el cambio de hora estacional en el Consejo de Energía y… pic.twitter.com/LA9UM0HVfG
Le argomentazioni presentate dal governo spagnolo si concentrano principalmente su due aspetti critici della questione. Dal punto di vista energetico, Sánchez ha evidenziato come il cambio dell’ora aiuti a malapena a risparmiare energia, un dato confermato da numerosi studi recenti che hanno ridimensionato i presunti benefici di questa pratica. Quando l’ora legale fu introdotta durante la Prima Guerra Mondiale, l’obiettivo era sfruttare al meglio le ore di luce naturale per ridurre il consumo di illuminazione artificiale in un periodo di grave crisi energetica. Tuttavia, le modalità di consumo energetico sono radicalmente cambiate nell’ultimo secolo, con l’avvento di tecnologie e abitudini di vita che hanno reso marginale il contributo del cambio orario al risparmio complessivo.
Sul fronte sanitario, l’esecutivo spagnolo richiama l’attenzione su un corpus crescente di evidenze scientifiche che documentano gli effetti negativi del cambio orario sulla salute umana. Il passaggio tra ora solare e ora legale altera la ritmicità circadiana, ovvero l’orologio biologico che regola i cicli fondamentali dell’organismo in un periodo di circa ventiquattro ore. Questa alterazione determina ripercussioni sulla pressione arteriosa e sulla frequenza cardiaca, con diversi studi che hanno attestato una correlazione diretta tra il cambio di orario e l’aumento di patologie cardiache. In particolare, una ricerca dell’Università di Stoccolma ha riportato un’incidenza del quattro per cento in più di attacchi cardiaci nella settimana successiva all’introduzione dell’ora solare, con un impatto prevalente sulle persone più anziane o in condizioni di salute già compromesse.
Gli effetti sul sonno rappresentano un’altra dimensione critica del problema sanitario. Il cambio orario determina disturbi del sonno in una consistente fetta della popolazione, con conseguenze negative su concentrazione, umore, rendimento scolastico, efficienza sul lavoro e relazioni personali. Anche lo spostamento di una sola ora impone un rapido resettaggio dell’orologio biologico circadiano endogeno, generando sintomi quali irritabilità, difficoltà di concentrazione, sbalzi umorali, aumento degli stati di ansia, nervosismo, aggressività e una temporanea riduzione delle difese immunitarie. Questi disturbi di adattamento psicofisico risultano più intensi nei primi giorni immediatamente successivi al cambio dell’ora e tendono ad attenuarsi generalmente nell’arco di alcune settimane, ma non tutti gli individui riescono ad adattarsi con la medesima facilità.
La letteratura scientifica ha inoltre documentato correlazioni tra il cambio di orario e l’incremento dell’incidentalità stradale e sul lavoro. L’alterazione della qualità del sonno influisce negativamente su attenzione e prontezza di riflessi, aumentando il rischio di incidenti nelle giornate immediatamente successive al cambio orario. Una ricerca condotta in Australia ha persino riscontrato un aumento dei suicidi nelle prime settimane di cambiamento dell’orario. Con il ritorno all’ora solare si allungano le ore di buio serali, quelle in cui statisticamente si concentrano furti, rapine e altri reati, sollevando ulteriori questioni di sicurezza pubblica. Al contrario, nei periodi di ora legale è stata registrata una diminuzione fino al tredici per cento degli incidenti a danno di pedoni, connessa all’aumento della visibilità lungo le strade nelle ore serali.
L’iniziativa spagnola rappresenta il tentativo di rianimare un processo legislativo europeo che si è arenato dopo essere partito con grandi aspettative. Nel 2018, la Commissione Europea guidata da Jean-Claude Juncker aveva lanciato una consultazione pubblica sulla questione del cambio orario tra il quattro luglio e il sedici agosto, ricevendo un numero record di quattro virgola sei milioni di risposte da tutti i ventotto Stati membri, il più alto numero di contributi mai ricevuti in qualsiasi consultazione pubblica nella storia della Commissione. Di queste risposte, l’ottantaquattro per cento si era espresso a favore dell’abolizione del cambio semestrale dell’ora, mentre solamente il sedici per cento voleva mantenerlo. I tassi di risposta più elevati erano stati registrati in Germania, Austria e Lussemburgo, seguiti da Finlandia, Estonia e Cipro, mentre solamente in Grecia e Cipro un’esigua maggioranza dei rispondenti propendeva per il mantenimento delle disposizioni vigenti.
Sulla base di questi risultati schiaccianti, nel settembre 2018 la Commissione Europea aveva presentato una proposta per abolire il cambio orario, suggerendo che l’ultimo spostamento obbligatorio delle lancette per passare all’ora legale si sarebbe verificato domenica trentuno marzo 2019 per i paesi che intendevano mantenere permanentemente l’ora legale, mentre per quelli che sceglievano l’ora solare l’ultimo cambio sarebbe avvenuto domenica ventisette ottobre 2019. Il Parlamento Europeo aveva accolto favorevolmente la proposta e nel marzo 2019 aveva approvato una risoluzione legislativa con quattrocentodieci voti a favore, centonovantadue contrari e cinquantuno astenuti, posticipando però la data di entrata in vigore al 2021 per consentire una transizione coordinata.
Tuttavia, il processo si è completamente bloccato a livello di Consiglio dell’Unione Europea, dove i ministri degli Stati membri non sono mai riusciti a concordare una posizione comune. La necessaria maggioranza qualificata non è stata mai raggiunta, con divisioni profonde tra i paesi del Nord Europa, tendenzialmente contrari all’abolizione o favorevoli al mantenimento permanente dell’ora solare, e i paesi del Sud Europa, inclusa l’Italia, che avrebbero preferito mantenere l’attuale sistema di alternanza o adottare l’ora legale permanente. I paesi settentrionali, dove le giornate estive sono già molto lunghe a causa della vicinanza al Polo, non trarrebbero benefici significativi dall’ora legale e alcuni di essi hanno espresso preoccupazioni che essa possa risultare controproducente.
Lo scoppio della pandemia di Covid-19 nel 2020 e successivamente la guerra in Ucraina con i conseguenti rincari energetici hanno contribuito a far slittare indefinitamente la questione, considerata non prioritaria rispetto alle emergenze sanitarie ed economiche. La mancanza di coordinamento rischia di creare una situazione caotica nel continente, poiché se ogni Stato membro determinasse in totale autonomia quale orario applicare entro i propri confini, la frammentazione dei fusi orari potrebbe generare problemi significativi per i trasporti, le comunicazioni, i commerci internazionali e il funzionamento generale del mercato unico europeo.
La questione rivela anche tensioni geopolitiche più ampie all’interno dell’Unione. L’attuale direttiva europea prevede che tutti i paesi dell’UE passino all’ora legale l’ultima domenica di marzo e tornino all’ora solare l’ultima domenica di ottobre, con il cambio che avviene simultaneamente alle ore uno del mattino UTC per minimizzare i disallineamenti con gli orari giornalieri programmati dei trasporti pubblici. Questa armonizzazione, introdotta progressivamente a partire dal 1980 e completata nel 1996, aveva proprio l’obiettivo di garantire uniformità nel mercato unico e superare le pratiche nazionali divergenti che creavano complicazioni per il commercio e i viaggi transfrontalieri.
Dal punto di vista economico, il dibattito sui benefici energetici dell’ora legale rimane controverso. Secondo i dati della società Terna, che gestisce la rete di trasmissione dell’energia elettrica in Italia, dal 2004 al 2024 l’adozione dell’ora legale ha permesso al paese di risparmiare circa undici virgola sette miliardi di kilowattora di elettricità, equivalenti a circa due virgola due miliardi di euro in bolletta. Nel 2025, i sette mesi di ora legale hanno garantito un risparmio aggiuntivo di trecentotrenta milioni di kilowattora, pari a cento milioni di euro. La Società Italiana di Medicina Ambientale sostiene che il mantenimento dell’ora legale per tutto l’anno permetterebbe di evitare l’emissione di oltre centosessantamila-duecentomila tonnellate di anidride carbonica ogni anno, un volume pari a quello assorbito da due-sei milioni di alberi.
Tuttavia, questi calcoli sono stati messi in discussione da analisi che evidenziano come i consumi energetici moderni siano profondamente cambiati rispetto al periodo in cui l’ora legale fu introdotta. L’illuminazione rappresenta oggi una quota molto inferiore del consumo energetico totale rispetto al passato, mentre riscaldamento, raffreddamento, apparecchi elettronici e data center costituiscono voci ben più rilevanti. Alcuni studi suggeriscono che nei paesi del Nord Europa i vantaggi in termini di risparmio energetico derivanti dall’ora legale sarebbero del tutto risibili, mentre nei paesi mediterranei potrebbero esistere benefici più consistenti, alimentando ulteriormente le divisioni interne all’Unione sulla soluzione ottimale.
Il Parlamento Europeo ha ripreso a discutere la questione nell’ottobre 2024, quando un gruppo trasversale di sessantasette europarlamentari, rappresentanti di tutti i gruppi politici e guidato dal popolare irlandese Sean Kelly, ha chiesto alla presidente Roberta Metsola di riaprire il dibattito sull’abolizione del cambio d’ora. Giovedì ventitré ottobre 2025, i deputati hanno interrogato Commissione e Consiglio sui motivi che bloccano l’avanzamento della proposta legislativa per eliminare il cambio d’ora stagionale nell’UE, come richiesto dai cittadini nella consultazione del 2018. Nel dibattito in plenaria, i parlamentari hanno chiesto alla Commissione e alla Presidenza danese del Consiglio di illustrare gli ostacoli che impediscono il progresso del processo legislativo e le misure previste per sbloccarlo. Tuttavia, dopo sei anni dalla votazione parlamentare, il Consiglio non ha ancora adottato una posizione comune.
La proposta spagnola di porre fine al cambio stagionale dell’ora nel 2026 si scontra quindi con questa complessa realtà istituzionale. Sánchez ha dichiarato che la scienza dimostra chiaramente come il cambio orario generi impatti negativi sulla salute e sulla vita delle persone, e che si tratta di un dibattito in corso da troppo tempo, ricordando che il Parlamento europeo sei anni fa ha votato per porre fine a questa pratica. Il premier spagnolo ha annunciato che il governo intende far valere quel voto e chiederà che venga messo in atto il relativo meccanismo di revisione competente. L’obiettivo dichiarato è che nel 2026 si smetta definitivamente di spostare le lancette degli orologi in tutta l’Unione Europea.
La strategia dell’esecutivo spagnolo si basa sul sostegno dell’opinione pubblica e sulle prove scientifiche accumulate negli ultimi anni. Nella notte tra sabato venticinque e domenica ventisei ottobre 2025, gli europei hanno dovuto spostare le lancette indietro di un’ora alle tre del mattino, tornando all’ora solare che resterà in vigore fino alla fine di marzo 2026. Questo ennesimo cambio ha fornito l’occasione per rilanciare il dibattito pubblico, con Sánchez che ha colto il momento per ribadire la posizione spagnola attraverso una comunicazione diretta ai cittadini sui social media.
La questione assume particolare rilevanza in un momento in cui l’Europa affronta molteplici sfide energetiche e climatiche. Il Consiglio Energia del venti ottobre 2025 si è occupato principalmente di tematiche cruciali come lo stop al gas russo, le restrizioni sul combustibile nucleare e un maggiore coordinamento a livello europeo sulla sicurezza energetica. In questo contesto, la proposta spagnola sul cambio dell’ora rischia di essere percepita come secondaria rispetto alle priorità immediate di decarbonizzazione e indipendenza energetica, sebbene i sostenitori dell’abolizione sostengano che anche questo aspetto contribuisca agli obiettivi di sostenibilità e benessere collettivo.
La complessità della questione emerge anche dall’analisi delle diverse posizioni nazionali. L’Italia, tradizionalmente favorevole al mantenimento del sistema attuale di alternanza, ha espresso riserve sull’abolizione del cambio orario, sostenendo che mancano prove definitive sugli effetti di stress derivanti dal doppio fuso orario e che i benefici economici dell’ora legale durante i mesi estivi rimangono significativi. Altri paesi mediterranei come la Spagna tendono invece a privilegiare l’abolizione del cambio con il mantenimento permanente dell’ora legale, che regalerebbe più luce nei pomeriggi invernali e consentirebbe di massimizzare i risparmi energetici. I paesi nordici propendono per l’ora solare permanente, più allineata ai ritmi biologici naturali e al ciclo effettivo del sole.
Russia, Islanda, Bielorussia, Georgia, Armenia e Azerbaigian hanno già abolito unilateralmente il cambio dell’ora, scegliendo di mantenere un unico orario per tutto l’anno. La Russia ha sperimentato l’ora legale permanente dal 2011 al 2014, per poi passare all’ora solare permanente, dimostrando che la transizione è tecnicamente fattibile ma richiede un periodo di adattamento e una valutazione attenta delle conseguenze specifiche per ciascun paese in base alla sua latitudine e alle sue caratteristiche geografiche e socioeconomiche.
Il destino della proposta spagnola dipenderà dalla capacità di costruire un consenso sufficientemente ampio tra gli Stati membri per superare lo stallo che persiste dal 2019. La Spagna ha scelto di portare la questione all’attenzione del Consiglio Energia, sottolineando come la trasformazione del sistema energetico europeo offra un’opportunità per riconsiderare pratiche ormai anacronistiche. Tuttavia, la strada verso un accordo definitivo appare ancora lunga e tortuosa, con interessi nazionali divergenti, preoccupazioni sulla frammentazione dei fusi orari e l’assenza di un senso di urgenza politica che relegano la questione in secondo piano rispetto ad altre priorità dell’agenda europea.
La battaglia del premier Sánchez rappresenta comunque un tentativo significativo di riportare al centro del dibattito politico europeo una questione che tocca concretamente la vita quotidiana di centinaia di milioni di cittadini. Se la proposta spagnola riuscirà a catalizzare un nuovo momentum e a sbloccare il processo decisionale rimasto paralizzato per sei anni, il 2026 potrebbe davvero segnare la fine di una pratica centenaria che divide l’opinione pubblica e la comunità scientifica europea. In caso contrario, gli europei continueranno per tempo indefinito a spostare le lancette dei loro orologi due volte all’anno, in attesa che le istituzioni comunitarie trovino finalmente il coraggio e la capacità di tradurre in decisioni concrete la volontà espressa da milioni di cittadini nella consultazione del 2018. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!