Achille Costacurta, ventunenne figlio dell’ex calciatore Alessandro Billy Costacurta e della showgirl Martina Colombari, ha scelto di raccontare senza filtri la sua adolescenza tormentata nel podcast One More Time condotto da Luca Casadei. La puntata, disponibile da venerdì 31 ottobre in formato audio su tutte le piattaforme streaming e da martedì 4 novembre in versione video su Spotify e YouTube, rappresenta una testimonianza straordinaria di caduta e rinascita, in cui il giovane ripercorre con lucidità i momenti più bui del suo passato.
Il racconto inizia dalla prima adolescenza, quando il disagio comincia a manifestarsi attraverso comportamenti sempre più difficili da gestire. “Ho iniziato a fumare a 13 anni”, ha confessato Achille, descrivendo l’inizio di un percorso che lo porterà sempre più in profondità nella spirale delle dipendenze. Il punto di svolta arriva al diciottesimo compleanno, quando prova per la prima volta la mescalina, una sostanza allucinogena messicana che segnerà profondamente gli otto mesi successivi della sua vita. Durante questo periodo, sotto l’effetto della droga, il giovane sviluppa una percezione distorta della realtà, arrivando a comportamenti estremi.
La situazione precipita quando, in stato di alterazione, Achille si trova coinvolto in una colluttazione con le forze dell’ordine. “Arriva un poliziotto, mi tira un pugno in faccia, io ero allucinato quindi l’ho spaccato di legnate”, ha raccontato, descrivendo un episodio che avrebbe portato al primo dei sette trattamenti sanitari obbligatori che gli verranno imposti nell’arco di un anno. Il trattamento sanitario obbligatorio è uno strumento cautelare previsto dalla normativa italiana che consente di sottoporre a cure mediche una persona affetta da alterazioni psichiche che rifiuta le terapie, quando queste si rendono urgentemente necessarie.
L’esperienza dei TSO si rivela profondamente diversa a seconda delle strutture in cui viene attuata. “A Padova sono stati perfetti, gentilissimi”, ha ricordato Achille, descrivendo poi con toni ben diversi quanto accaduto invece a Milano: “Mi hanno legato al letto per tre giorni perché gli ho dato un colpo sulla spalla. Urlavo che mi serviva il pappagallo, io ero legato, mani e piedi, tutto, e mi dovevo fare la pipì addosso”. Parole che mettono in luce le profonde differenze nell’approccio terapeutico tra diverse realtà sanitarie del territorio nazionale.
Parallelo al percorso con le sostanze, durante il periodo della pandemia da Covid-19, Achille inizia a spacciare. “È arrivata la quarantena, tutti chiusi in casa, fumo non ce n’è. A me riusciva ad arrivare comunque tramite dei canali, avevo creato una rete”, ha spiegato, descrivendo come, approfittando della carenza di approvvigionamento dovuta al lockdown, aveva costruito un’organizzazione di spaccio. L’attività illecita si conclude con un arresto quando aveva appena 15 anni e mezzo, che lo porta in un centro penale minorile. Prima di questo, era già finito in un istituto a 15 anni dopo che gli erano stati trovati due coltelli nell’armadietto a scuola. “Non volevo fare male a nessuno, ero solo un ragazzo pieno di paranoie”, ha precisato.
Il momento più drammatico del suo percorso si verifica proprio all’interno del centro penale, dove Achille trascorre il suo sedicesimo compleanno. “Non ce la facevo più, aspetto la notte quando c’è un solo operatore ed entro in ufficio, lo distraggo e prendo le chiavi dell’infermeria”, ha raccontato con lucidità. Dopo aver chiuso l’operatore nell’ufficio, riesce ad accedere all’infermeria e prende tutto il metadone disponibile: sette boccettine. “Mi chiudo in bagno e le bevo tutte, volevo suicidarmi”, ha confessato.
L’intervento tempestivo dei soccorsi, con i pompieri che sfondano la porta e l’immediato trasporto in ambulanza, gli salva la vita in circostanze che i medici stessi faticano a spiegare. “Nessun medico ha saputo dirmi come io sia ancora vivo perché l’equivalente di sette boccettine di metadone sono sui 35, 42 grammi di eroina. La gente muore con un grammo”, ha dichiarato, sottolineando l’eccezionalità della sua sopravvivenza. L’episodio rappresenta il punto più basso di una discesa che sembrava inarrestabile.
La svolta arriva con il ricovero in una clinica in Svizzera, dove Achille viene portato dopo aver esagerato con le sostanze in Colombia. “Quando sono arrivato in clinica mi hanno detto: se fossi stato fuori altri 10 giorni saresti morto perché hai il cuore a riposo a 150 battiti”, ha rivelato, descrivendo la gravità delle sue condizioni fisiche. È proprio in questa struttura che scopre un approccio terapeutico completamente diverso da quello sperimentato in Italia. “La Svizzera da così a così, ti dicono: tu sei qua e puoi scegliere, se ti vuoi drogare c’è la strada, puoi andare e puoi fare quello che vuoi, vai. Se tu invece hai bisogno di una mano, vieni qua e noi ti aiutiamo”, ha spiegato.
Questo metodo, basato sulla responsabilizzazione del paziente piuttosto che sulla coercizione, si rivela determinante per il cambiamento. “Mi hanno fatto cambiar vita, grazie a loro io non mi drogo più. Il loro approccio ti fa capire veramente le cose importanti. Li ringrazierò per tutta la vita”, ha dichiarato con riconoscenza. Nella clinica svizzera, a maggio dello scorso anno, gli viene anche diagnosticato per la prima volta il disturbo da deficit di attenzione e iperattività. “A scuola non riuscivo a stare fermo, i professori non capivano, e nessuno mi aveva diagnosticato l’ADHD”, ha spiegato.
La diagnosi rappresenta una chiave di lettura fondamentale per comprendere molti dei comportamenti passati. “In Svizzera invece lo hanno capito senza farmi fare test: tu ti volevi auto-curare con la droga. Ed era vero”, ha confessato, descrivendo come l’uso di sostanze fosse un tentativo inconsapevole di gestire i sintomi del disturbo. Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività si manifesta con difficoltà a mantenere l’attenzione, iperattività motoria, impulsività e problemi nella gestione delle emozioni, sintomi che Achille aveva manifestato sin dall’infanzia senza che venissero correttamente identificati.
La comprensione della condizione ha trasformato anche il rapporto con i genitori. “Da quando i miei hanno fatto anche loro un corso genitoriale per l’ADHD, il nostro rapporto è cambiato da così a così. Prima, in casa, quando litigavamo, io andavo fuori, spaccavo le porte. Da lì non è mai più successo, perché loro sanno come dirmi un no”, ha raccontato, sottolineando l’importanza della formazione dei genitori nella gestione del disturbo. Il percorso condiviso ha permesso di ricostruire un legame che gli anni del disagio avevano profondamente compromesso.
Achille ha parlato con commozione della sofferenza dei suoi genitori di fronte alla sua situazione. “Mia mamma ha pianto tanto. Mio papà l’unica volta che gli ho visto scendere una lacrima è stato quando mi hanno proprio portato via. Quando mi avevano fatto il depot, io tutti i giorni chiedevo di andare a fare l’eutanasia perché non avevo più emozioni e volevo morire. E lì l’ho visto piangere”, ha rivelato, descrivendo i momenti più drammatici vissuti dalla famiglia. Il depot è una particolare formulazione farmacologica a rilascio prolungato che, in quel caso, aveva causato effetti collaterali devastanti sul piano emotivo.
Il momento simbolico della rinascita è rappresentato da un’immagine che Achille porta nel cuore. “Il giorno che esco dalla clinica mi viene a prendere mio papà. C’era un doppio arcobaleno. Io li scoppio a piangere dalla gioia, dalla felicità, abbraccio fortissimo mio papà e gli dico: hai visto che ce l’abbiamo fatta, ho smesso, e ce la farò e continuerò. Ce lo sta dicendo pure il cielo. C’è il doppio arcobaleno ti rendi conto”, ha raccontato con emozione. Quell’abbraccio e quel doppio arcobaleno rappresentano la fine di un incubo e l’inizio di un nuovo capitolo.
Per consolidare il cambiamento, Achille ha scelto di allontanarsi da Milano, città in cui era cresciuto ma che ormai associava a pressioni e aspettative insostenibili. “Avevo bisogno di cambiare aria, Milano mi metteva ansia”, ha spiegato. La scelta è caduta su Mondello, frazione balneare di Palermo, dove si è trasferito a febbraio. “Bar Galatea. Sono appena arrivato. Chiedo informazioni sul supermercato. Se vuoi ti diamo le chiavi del furgone per andare a fare la spesa. Cose che a Milano non mi sono mai capitate”, ha raccontato del suo primo giorno, sottolineando l’accoglienza calorosa ricevuta.
La Sicilia gli ha offerto non solo un ambiente meno frenetico, ma anche una comunità che lo ha accolto senza giudicare. “La gente ti tende la mano, ti accoglie. Mi ha aiutato”, ha dichiarato, descrivendo come l’atmosfera di Mondello abbia contribuito al suo percorso di guarigione. Il mare, il clima e il ritmo di vita diverso hanno rappresentato elementi fondamentali per ritrovare un equilibrio. “Soprattutto il caldo, il cibo ovviamente e il mare, ragazzi… Il mare non lo batte nessuno”, ha aggiunto, manifestando l’attaccamento alla sua nuova dimensione di vita.
Oggi Achille può dire di non toccare più droghe e di aver ricostruito il rapporto con i genitori. “Prima litigavamo ogni giorno, ora siamo uniti. Se torno tardi, li chiamo”, ha raccontato, descrivendo un cambiamento radicale nelle dinamiche familiari. La consapevolezza raggiunta rappresenta uno dei suoi traguardi più importanti. “Sono fiero di me, del fatto che sono riuscito ad avere una certa consapevolezza. Tutti i miei traumi sono riuscito a buttarli giù. Non ho filtri, non mi vergogno di quello che mi è successo perché alla fine sono una persona normale. Ho imparato a non dimenticare quei traumi ma a farne tesoro”, ha dichiarato.
Guardando al futuro, Achille ha individuato un obiettivo che gli riempie il cuore di speranza. “L’unica cosa che mi fa avere le farfalle nello stomaco come l’amore sono i ragazzi con la sindrome di down. Perché non l’hanno scelto loro. Io li devo aiutare. È una delle poche cose che mi fa essere troppo felice”, ha spiegato con passione. Il suo sogno è creare centri terapeutici con una filosofia precisa: “Con i cavalli per fare ippoterapia, viaggi che voglio far fare, day hospital che voglio creare, devono essere davanti al mare, ogni ragazzo deve avere il suo labrador che lo porta a fare il bagno, farli venire anche dall’Africa perché nella religione vudù se sei albino, se sei autistico, se sei down ti ammazzano”.
Il progetto nasce dalla consapevolezza maturata attraverso la sofferenza personale. “Avendo provato gli eccessi, ora ci sono poche cose che mi fanno veramente felice. Perché le sostanze stupefacenti ti fanno provare queste emozioni che non ritrovi”, ha spiegato, descrivendo come l’esperienza della dipendenza abbia modificato la sua percezione della felicità. Proprio per questo motivo ha scelto di dedicarsi a chi non ha avuto la possibilità di scegliere la propria condizione, a differenza di chi, come lui, ha fatto scelte sbagliate ma ha avuto l’opportunità di correggerle.
La testimonianza di Achille Costacurta rappresenta uno spaccato crudo ma necessario sulla realtà del disagio giovanile, delle dipendenze e delle carenze del sistema di assistenza psichiatrica. La differenza abissale tra l’approccio coercitivo sperimentato in alcune strutture italiane e quello basato sulla responsabilizzazione della clinica svizzera solleva interrogativi importanti sui metodi di trattamento delle dipendenze e dei disturbi psichiatrici. Il suo racconto mette in luce quanto sia fondamentale una diagnosi tempestiva e corretta, come nel caso dell’ADHD rimasto non diagnosticato per anni, e quanto l’approccio terapeutico possa fare la differenza tra il fallimento e il successo del percorso di cura.
Oggi, a ventun anni, Achille si dice rinato, pronto a trasformare il dolore vissuto in una risorsa per aiutare gli altri. La sua storia è quella di una caduta profonda ma anche di una risalita possibile, un messaggio di speranza per tutte le famiglie che si trovano ad affrontare situazioni simili. Il percorso non è stato né semplice né lineare, ma ha portato a una consapevolezza che rappresenta la base solida su cui costruire il futuro. La scelta di raccontarsi senza filtri, accettando di essere vulnerabile di fronte al pubblico, dimostra una maturità raggiunta attraverso l’elaborazione del trauma e la volontà di non dimenticare ma di fare tesoro di quanto vissuto. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!
