Il buco dell’ozono antartico del 2025 si è chiuso il 1° dicembre, segnando la data di chiusura più precoce dal 2019 e confermando una tendenza positiva nel recupero dello strato protettivo che avvolge il pianeta. Secondo quanto comunicato dal Copernicus Atmosphere Monitoring Service (CAMS), l’Agenzia europea per il monitoraggio atmosferico, questo risultato rappresenta un segnale rassicurante e testimonia l’efficacia delle politiche internazionali messe in atto attraverso il Protocollo di Montreal.
La stagione 2025 ha mostrato caratteristiche particolarmente incoraggianti rispetto agli anni precedenti. Il buco dell’ozono si è rivelato non solo più breve nella durata, ma anche significativamente meno esteso rispetto al periodo 2020-2023, che aveva registrato dimensioni eccezionalmente ampie e persistenti. La NASA e la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) hanno classificato il buco del 2025 come il quinto più piccolo dal 1992, anno di entrata in vigore dello storico accordo internazionale per l’eliminazione graduale delle sostanze che danneggiano l’ozono stratosferico.
Durante il picco della stagione di riduzione dell’ozono, compreso tra il 7 settembre e il 13 ottobre 2025, l’estensione media del buco si attestava intorno ai 18,71 milioni di chilometri quadrati. Questo valore risulta decisamente inferiore rispetto ai 26,1 milioni di chilometri quadrati registrati nel 2023, quando il fenomeno aveva raggiunto una delle sue massime espansioni storiche. L’estensione massima stagionale del 2025, verificatasi all’inizio di settembre, ha toccato circa 21,08 milioni di chilometri quadrati, ben al di sotto dei valori allarmanti degli anni precedenti.
Lo sviluppo del buco dell’ozono nel 2025 ha seguito una traiettoria peculiare. Il fenomeno ha cominciato a manifestarsi relativamente presto, verso la metà di agosto, con una dinamica simile a quella osservata nel 2023. Tuttavia, contrariamente alle preoccupazioni iniziali, le dimensioni sono rimaste contenute e le concentrazioni di ozono nella stratosfera antartica si sono mantenute più elevate rispetto alla media degli ultimi anni. Tra settembre e ottobre, l’area del buco è oscillata tra 15 e 20 milioni di chilometri quadrati, per poi ridursi rapidamente nella prima metà di novembre, lasciando presagire una chiusura anticipata che si è concretizzata alla fine del mese.
Rispetto agli anni recenti, il buco dell’ozono del 2025 ha mostrato valori minimi della colonna di ozono superiori alla media e un deficit di massa di ozono inferiore. Secondo i dati raccolti dal CAMS, il deficit massimo di massa di ozono registrato il 29 settembre ammontava a 46,1 milioni di tonnellate, un valore significativamente più basso rispetto ai picchi raggiunti negli anni precedenti. Questi indicatori suggeriscono una maggiore presenza di ozono nella stratosfera, favorita da condizioni atmosferiche caratterizzate da venti stratosferici più deboli che hanno permesso il mescolamento di aria ricca di ozono proveniente dalle regioni esterne al vortice polare antartico.
Il miglioramento osservato nel biennio 2024-2025 arriva dopo un periodo particolarmente critico compreso tra il 2020 e il 2023, quando il buco dell’ozono aveva mostrato dimensioni eccezionalmente ampie e una durata insolitamente prolungata. Gli scienziati hanno attribuito queste anomalie a una serie di eventi eccezionali, tra cui i forti e stabili vortici polari antartici, i devastanti incendi che hanno colpito l’Australia tra il 2019 e il 2020, e la potente eruzione del vulcano sottomarino Hunga Tonga-Hunga Ha’apai avvenuta nel 2022. Il 2020 aveva segnato il record della chiusura più tardiva, avvenuta il 28 dicembre, generando preoccupazione nella comunità scientifica internazionale.
Laurence Rouil, direttrice del Copernicus Atmosphere Monitoring Service, ha sottolineato come la chiusura anticipata e le dimensioni relativamente ridotte del buco dell’ozono di quest’anno riflettano i costanti progressi che si osservano anno dopo anno nel recupero dello strato di ozono grazie al divieto delle sostanze ozono-lesive. Questo progresso rappresenta un promemoria di ciò che può essere raggiunto quando la comunità internazionale collabora per affrontare le sfide ambientali globali. Paul Newman, scienziato del Centro Goddard della NASA che guida la ricerca sulla salute dell’ozono, ha commentato che il graduale miglioramento osservato negli ultimi due decenni dimostra come gli sforzi internazionali che hanno frenato le sostanze chimiche distruttive per l’ozono stiano funzionando.
Il merito di questi risultati incoraggianti va attribuito principalmente al Protocollo di Montreal, firmato nel 1987 ed entrato in vigore nel 1989. Questo trattato internazionale ha rappresentato un punto di svolta nella protezione dello strato di ozono, imponendo l’eliminazione progressiva della produzione e del consumo di sostanze che impoveriscono l’ozonosfera, in particolare i clorofluorocarburi (CFC), utilizzati in frigoriferi, condizionatori d’aria, bombolette spray e numerosi altri prodotti industriali. Ad oggi, il Protocollo ha portato all’eliminazione di oltre il 99% della produzione e del consumo delle sostanze controllate che riducevano l’ozono.
Uno studio recente condotto dal Massachusetts Institute of Technology ha fornito per la prima volta prove concrete del legame diretto tra la riduzione dei CFC e il recupero dello strato di ozono. I ricercatori hanno utilizzato un metodo chiamato “fingerprinting”, mutuato dagli studi sul cambiamento climatico, per isolare l’influenza specifica dei CFC rispetto ad altri fattori naturali che influenzano lo spessore dell’ozonosfera, come il vortice polare e le variazioni stagionali. Confrontando vari scenari attraverso simulazioni atmosferiche e dati satellitari raccolti tra il 2005 e il 2018, gli scienziati hanno identificato un modello specifico di recupero dell’ozono attribuibile alla riduzione delle sostanze nocive. Nel 2018, questo segnale era chiaro con una certezza statistica del 95%, confermando che la diminuzione delle sostanze chimiche dannose costituisce il fattore principale del processo di rigenerazione dello strato protettivo.
Secondo le proiezioni scientifiche elaborate dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO) e dal Programma ambientale delle Nazioni Unite, se le politiche attuali rimarranno in vigore e verranno rispettate, lo strato di ozono dovrebbe tornare ai valori del 1980 in gran parte del mondo entro il 2040. Per quanto riguarda le regioni polari, dove il fenomeno risulta più accentuato, il recupero completo è previsto entro il 2045 sopra l’Artico ed entro il 2066 sopra l’Antartide. Alcuni scienziati si sono spinti oltre nelle loro previsioni ottimistiche: Susan Solomon, co-autrice dello studio del MIT, ha dichiarato che entro il 2035 potremmo rivedere l’Antartide con la copertura completa di ozono, sottolineando come saranno state le persone a rendere possibile questo risultato.
Stephen Montzka, scienziato senior presso il Global Monitoring Laboratory della NOAA, ha evidenziato come dal picco raggiunto intorno all’anno 2000, i livelli di sostanze che impoveriscono lo strato di ozono nella stratosfera antartica siano diminuiti di circa un terzo rispetto ai livelli precedenti alla formazione del buco. Newman della NASA ha aggiunto un dato particolarmente eloquente: se nella stratosfera fosse ancora presente la stessa quantità di cloro di 25 anni fa, il buco dell’ozono del 2025 sarebbe stato più grande di oltre 2,6 milioni di chilometri quadrati. Ciò nonostante, le sostanze chimiche ora vietate persistono ancora in prodotti più vecchi, come l’isolamento degli edifici, e nelle discariche, ma con la diminuzione graduale delle emissioni derivanti da questi usi tradizionali nel tempo, le proiezioni indicano un recupero completo.
Il Protocollo di Montreal ha avuto anche un impatto significativo nella lotta al cambiamento climatico. I CFC, oltre a danneggiare lo strato di ozono, sono infatti potentissimi gas serra. La loro messa al bando ha contribuito a evitare un ulteriore riscaldamento del pianeta. Nel 2016, il Protocollo è stato ulteriormente rafforzato con l’Emendamento di Kigali, che ha esteso il controllo anche agli idrofluorocarburi (HFC), sostanze utilizzate come sostituti dei CFC che, pur non danneggiando l’ozono, possiedono un elevato potenziale di riscaldamento globale. Con 168 stati e l’Unione Europea che hanno ratificato l’emendamento, la riduzione graduale degli HFC procede secondo le tempistiche previste e si stima possa evitare fino a 0,5 gradi Celsius di riscaldamento globale entro la fine del secolo.
Il bollettino dell’ozono pubblicato dalla WMO nell’ottobre 2025 ha confermato che lo strato di ozono resta in rotta verso la completa ripresa nei prossimi decenni. Il rapporto indica che il buco dell’ozono nel 2024 è stato inferiore rispetto agli anni precedenti, e la tendenza positiva di lungo periodo riflette il successo di un’azione internazionale concertata. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres ha dichiarato che quarant’anni fa le nazioni si unirono per compiere il primo passo verso la protezione dello strato di ozono, guidate dalla scienza e unite nell’azione. La Convenzione di Vienna e il suo Protocollo di Montreal sono diventati un simbolo del successo multilaterale, e oggi lo strato di ozono sta guarendo, dimostrando che quando le nazioni ascoltano gli avvertimenti della scienza, il progresso è possibile.
Il monitoraggio continuo dello strato di ozono viene effettuato attraverso una rete globale di strumenti satellitari e stazioni di osservazione. Il Copernicus Atmosphere Monitoring Service utilizza tecnologie avanzate per fornire previsioni e analisi affidabili sullo stato e sull’evoluzione del buco dell’ozono, monitorando le concentrazioni di sostanze che riducono lo strato protettivo durante tutto l’anno. Gli scienziati della NOAA utilizzano strumenti trasportati da palloni meteorologici e strumenti di osservazione di superficie per misurare l’ozono stratosferico direttamente sopra l’Osservatorio atmosferico del Polo Sud. I dati raccolti nel 2025 hanno mostrato che la concentrazione di ozono ha raggiunto il suo valore più basso di 147 Unità Dobson il 6 ottobre, un valore nettamente superiore al minimo storico di 92 Unità Dobson registrato nell’ottobre 2006.
La protezione dello strato di ozono riveste un’importanza cruciale per la salute umana e per gli ecosistemi terrestri. L’ozono stratosferico agisce come uno scudo protettivo contro le radiazioni ultraviolette provenienti dal sole, in particolare le UV-B, che sono le più dannose dal punto di vista biologico. Un assottigliamento dello strato di ozono comporta un aumento dell’esposizione alle radiazioni ultraviolette, con conseguenze potenzialmente gravi per la salute umana, tra cui l’incremento dei casi di melanoma e altri tumori cutanei, danni oculari come la cataratta, compromissione del sistema immunitario e riduzione dell’efficacia delle vaccinazioni. Gli effetti negativi si estenderebbero anche agli ecosistemi naturali e all’agricoltura, con danni alla biodiversità e alla produttività delle colture.
Il successo del Protocollo di Montreal costituisce un precedente fondamentale per affrontare le sfide ambientali globali, dimostrando che quando esiste una volontà politica condivisa, supportata da evidenze scientifiche solide e da meccanismi di verifica efficaci, è possibile invertire processi di degrado ambientale su scala planetaria. Petteri Taalas, Segretario Generale dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale, ha sottolineato che il successo nell’eliminare gradualmente le sostanze chimiche che danneggiano l’ozono mostra cosa si può e si deve fare con urgenza per abbandonare i combustibili fossili, ridurre i gas serra e limitare l’aumento della temperatura globale.
Nonostante i progressi incoraggianti, gli scienziati avvertono che la durata e l’estensione del buco dell’ozono rimangono soggette a variazioni annuali, a seconda delle dinamiche atmosferiche globali e dei fattori chimici. Elementi come la temperatura, le condizioni meteorologiche e la forza dei venti che circondano l’Antartide, noti come vortice polare, influenzano i livelli di ozono di anno in anno. Un vortice polare più debole del normale, come quello verificatosi nell’agosto 2025, può contribuire a temperature superiori alla media e probabilmente alla riduzione del buco dell’ozono. Pertanto, mentre la tendenza di lungo periodo risulta chiaramente positiva, singole annate possono ancora mostrare anomalie temporanee.
Il comportamento del buco dell’ozono del 2025, caratterizzato da dimensioni contenute e chiusura precoce, alimenta la speranza di un lento ma progressivo recupero dello strato protettivo. Il fenomeno rimane tuttavia influenzato da variabili stratosferiche complesse che possono modificare le dimensioni e la durata del buco negli anni futuri. La persistenza di piccole quantità di sostanze ozono-lesive nell’atmosfera, provenienti da prodotti obsoleti e discariche, richiede ancora decenni prima della completa eliminazione, ma la direzione intrapresa appare irreversibile. Il monitoraggio continuo e rafforzato dei gas serra e delle sostanze che impoveriscono l’ozono rimane fondamentale per comprendere i cicli atmosferici e per verificare l’efficacia delle politiche ambientali adottate.
Il caso del buco dell’ozono rappresenta una delle rare storie di successo nella governance ambientale globale. La rapida reazione della comunità internazionale dopo la scoperta del fenomeno nel 1985, culminata nella firma del Protocollo di Montreal appena due anni dopo, ha dimostrato che è possibile agire tempestivamente di fronte a minacce ambientali di portata planetaria. L’accordo, inizialmente sottoscritto da 90 nazioni e oggi ratificato da 197 paesi, costituisce uno degli esempi più efficaci di cooperazione multilaterale, dove scienza, politica e industria hanno collaborato per trovare soluzioni concrete. La capacità di sostituire i CFC con alternative meno dannose, pur con alcuni costi economici e tecnologici, ha dimostrato che la transizione verso tecnologie più sostenibili è non solo necessaria ma anche praticabile.
La chiusura anticipata del buco dell’ozono nel 2025 e il secondo anno consecutivo di dimensioni ridotte rispetto al periodo critico 2020-2023 offrono motivi concreti di ottimismo. Questi risultati testimoniano che le politiche di protezione ambientale basate su solide evidenze scientifiche e su un impegno condiviso a livello internazionale possono produrre effetti misurabili e duraturi. Il recupero dello strato di ozono procede secondo le previsioni elaborate dalla comunità scientifica, confermando la validità dell’approccio adottato e fornendo un modello replicabile per affrontare altre sfide ambientali globali, prima fra tutte la crisi climatica. Come alcuni di coloro che oggi vivono su questo pianeta potranno assistere alla completa chiusura del buco dell’ozono nel corso della propria vita, così questa generazione ha la responsabilità di lasciare alle future un mondo dove l’azione collettiva ha prevalso sulla minaccia ambientale. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!
