Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha lanciato in occasione della Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate del 4 novembre 2025 un messaggio netto e controverso sulla riforma dello strumento militare italiano, affermando con fermezza che le forze armate “devono essere efficienti, non inclusive”. Le dichiarazioni, pronunciate presso il Comando Operativo di Vertice Interforze a Roma Centocelle dopo i collegamenti con vari teatri operativi internazionali, hanno aperto un acceso dibattito politico sulle priorità strategiche della difesa nazionale e sulla gestione delle risorse militari del Paese.
Crosetto ha delineato una visione radicale per il futuro delle forze armate italiane, partendo dalla necessità di abrogare la legge 244 del 2012, nota anche come legge Di Paola, che fissa il limite del personale militare a 170mila unità. “La legge 244 dobbiamo buttarla via. Lo spirito con cui è nata è morto”, ha dichiarato il ministro, sottolineando come quella normativa, concepita in un contesto geopolitico completamente diverso dall’attuale, non risponda più alle esigenze di sicurezza contemporanee. Il personale va aumentato, ha precisato Crosetto, e servono 30mila unità aggiuntive per raggiungere le 200mila unità complessive, un traguardo considerato essenziale per garantire l’operatività dello strumento militare in un panorama internazionale caratterizzato da crescenti tensioni e minacce multiformi.
Nel suo intervento, il ministro della Difesa ha posto l’accento sulla distinzione tra efficienza e inclusività, affermando che “bisogna iniziare a parlare di requisiti” piuttosto che di politiche inclusive. Secondo Crosetto, non può esistere un sistema unico di requisiti per accedere alle forze armate, poiché esistono differenze sostanziali tra chi deve combattere nelle forze speciali, chi deve essere addestrato a guidare i droni o chi deve affrontare operazioni di combattimento tradizionale. Questa posizione segna una netta presa di distanza da approcci che negli ultimi anni hanno enfatizzato l’apertura e l’accessibilità delle forze armate, privilegiando invece una visione centrata sulla capacità operativa e sulla preparazione specifica dei singoli ruoli militari.
La riforma proposta dal ministro non si limiterà all’aumento numerico del personale, ma affronterà anche questioni strutturali quali gli alloggi, le condizioni di servizio e le garanzie per il personale militare. “Mentre parliamo di scudo e guerra ibrida dobbiamo anche parlare di alloggi”, ha sottolineato Crosetto, evidenziando come molto personale lavori in condizioni complicate e come sia necessario investire anche sull’aspetto alloggiativo. Il ministro ha chiarito che la riforma non sarà imposta dall’alto come decreto ministeriale, ma verrà discussa in Parlamento dove a parlare dovranno essere direttamente le forze armate e non i vertici politici del ministero, per evitare che cada “nella stupidità delle contrapposizioni politiche”.
Le parole di Crosetto si inseriscono in un contesto geopolitico profondamente mutato, come testimoniato dalle stesse valutazioni dei vertici militari. Il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, generale Carmine Masiello, ha evidenziato in audizione parlamentare la mancanza di 40-45mila unità, mentre l’ammiraglio Enrico Credendino, Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, ha affermato che servirebbero almeno altri 9mila marinai per portare l’organico dalle attuali 30mila alle necessarie 39mila unità. Questi dati confermano la gravità della situazione descritta dal ministro e la necessità di un intervento strutturale urgente.
Nel delineare la necessità di questa riforma, Crosetto ha fatto riferimento ai nuovi paradigmi dei conflitti contemporanei, citando l’esperienza ucraina dove si combattono simultaneamente tre tipi di guerra: una tradizionale di carri armati e artiglieria, una tecnologica di droni e missili ipersonici, e una guerra ibrida di disinformazione orientata a indebolire le opinioni pubbliche. Il ministro ha sottolineato come l’impatto di tale metamorfosi sul campo di battaglia per eserciti come quello italiano sia stato dirompente, considerato che negli ultimi trent’anni ci si è concentrati nelle missioni di mantenimento della pace, rendendo ora necessario riappropriarsi rapidamente della capacità di produrre operazioni ad alta intensità.
Un altro punto cruciale dell’intervento di Crosetto riguarda l’operazione “Strade Sicure”, che impiega attualmente circa 6.800 militari in 58 città italiane per garantire la sicurezza in concorso con le forze di polizia. Il ministro ha dichiarato che è arrivato il momento di tornare indietro, sostenendo che “dovremmo aumentare le forze di polizia per riportare i militari al loro lavoro originario”. Questa posizione ha immediatamente generato reazioni contrastanti all’interno dello stesso schieramento di centrodestra, con il presidente del Senato Ignazio La Russa, che ricopriva il ruolo di ministro della Difesa quando l’operazione venne lanciata nel 2008, che ha espresso un netto dissenso affermando che l’operazione è risultata negli anni tra i provvedimenti più apprezzati dall’opinione pubblica e che occorrerebbe non solo confermarla ma addirittura ampliarla.
Anche dalla Lega sono arrivate prese di posizione contrarie alla proposta del ministro. Il deputato e vicecapogruppo vicario Igor Iezzi ha respinto con forza l’ipotesi di ridimensionamento, affermando che il contingente in strada andrebbe aumentato di almeno altre mille unità, definendo i militari di Strade Sicure un presidio di sicurezza prezioso per tutto il territorio italiano. Sulla stessa linea si è espresso Eugenio Zoffili, capogruppo della Lega in Commissione Difesa, secondo cui Crosetto, pur essendo un bravissimo ministro e un amico, in questo caso sbaglia. Rassicurazioni sul mantenimento del dispositivo sono arrivate dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che secondo quanto riferito da Domenico Pianese, segretario del sindacato di polizia Coisp, ha confermato che l’operazione Strade Sicure continuerà ad essere garantita, essendo programmata e finanziata fino al 2027.
Le dichiarazioni di Crosetto hanno suscitato critiche anche da parte del Movimento 5 Stelle, con i capigruppo nelle Commissioni Difesa di Camera e Senato, Arnaldo Lomuti e Bruno Marton, che hanno accusato il ministro di aver fatto “affermazioni gravi e false” riguardo all’aumento delle spese per la difesa. I rappresentanti pentastellati hanno sostenuto che tale incremento sottrarra risorse ad altri settori o richiedera aumenti di tasse, contrariamente a quanto affermato da Crosetto, e hanno contestato la posizione del ministro secondo cui l’aumento delle spese militari non dovrebbe essere oggetto di dibattito politico, affermando che “siamo ancora in democrazia e non siamo in stato di guerra”.
Durante la celebrazione della Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate ad Ancona, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, Crosetto ha ribadito che “la Difesa è come l’aria, fin quando non serve non si vede, ma quando manca nei momenti in cui serve si capisce la sua necessità”. Il ministro ha sottolineato come viviamo tempi complessi in cui la pace non è più scontata, spiegando che le guerre del XXI secolo non si combattono solo sul terreno ma nello spazio, nel cyberspazio, nella dimensione cognitiva, attraverso una guerra ibrida e invisibile che si gioca sui dati, sull’informazione, sulle percezioni.
Il ministro ha inoltre affrontato la questione della difesa aerea nazionale, evidenziando come l’Italia necessiti di un sistema di protezione avanzato sul modello dell’Iron Dome israeliano. Secondo le stime di Crosetto, servono sei-sette anni per avere una difesa aerea minimamente paragonabile a quella di Israele, con un orizzonte temporale che ci proietta al 2031. Il ministro ha chiarito che questa valutazione si concentra sulla capacità del Paese di difendersi autonomamente, non tenendo conto dell’ombrello protettivo garantito dall’alleanza NATO. La sua ammissione è stata netta: oggi l’Italia non sarebbe in grado di reagire autonomamente a un attacco missilistico o aereo su larga scala.
La questione del personale militare rappresenta una criticità strutturale emersa negli anni, con le forze armate italiane che dal decennio 2014-2024 avevano progressivamente ridotto il numero di professionisti in un contesto geopolitico che si riteneva più favorevole. Al momento l’Italia dispone di circa 160mila militari tra Esercito, Marina ed Aeronautica, oltre a poco più di 100mila carabinieri. L’obiettivo delle 150mila unità complessive previsto dalla legge delega 244 del 2012 era in fase di graduale conseguimento, ma secondo Crosetto tale modello va completamente rivisto alla luce dei nuovi scenari strategici caratterizzati da tensioni crescenti e minacce multiformi.
Il ministro ha chiarito che “bisogna tarare le forze armate in base ad aspettative future, dopo che per un periodo sono state considerate come strumento di assunzione”, sottolineando la necessità di spiegare che fare il comandante di una nave non è come fare il dirigente di uno stabilimento industriale. Questa affermazione riflette la volontà di ridefinire completamente l’approccio alla professione militare, privilegiando la preparazione specialistica e l’efficacia operativa rispetto a logiche di tipo occupazionale o sociale che secondo il ministro avrebbero caratterizzato parte delle politiche di reclutamento degli anni precedenti.
Le dichiarazioni di Crosetto sull’efficienza versus inclusività si inseriscono in un dibattito più ampio che attraversa le forze armate di molti paesi occidentali, dove negli ultimi decenni si è assistito a un progressivo ampliamento dell’accesso a categorie precedentemente escluse o sottorappresentate. La posizione del ministro segna tuttavia una inversione di tendenza, privilegiando una visione puramente operativa delle capacità militari in un momento in cui il contesto internazionale è caratterizzato da crescenti incertezze e dalla necessità di prepararsi a scenari di conflitto ad alta intensità.
La riforma proposta da Crosetto prevede anche investimenti significativi, con un piano strategico datato maggio 2025 attualmente sul tavolo del ministro che prevede investimenti per 10 miliardi di euro per raggiungere la soglia del 2% del PIL nella spesa militare, in linea con gli impegni NATO. Tra le novità più rilevanti del documento vi è la proposta di istituire una riserva militare che possa attingere anche a personale senza esperienza militare pregressa, per contrastare gli effetti dell’invecchiamento del personale attivo e garantire una maggiore profondità strategica alle forze armate in caso di necessità.
Le parole del ministro della Difesa hanno dunque aperto un dibattito destinato a protrarsi nei prossimi mesi, coinvolgendo non solo le forze politiche ma anche gli stessi militari, le loro famiglie e l’opinione pubblica. La sfida sarà quella di trovare un equilibrio tra le necessità operative delle forze armate, le risorse disponibili e i valori democratici che caratterizzano la società italiana, in un momento storico in cui la sicurezza nazionale torna ad essere percepita come una priorità assoluta di fronte all’evoluzione del quadro geopolitico internazionale. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!
