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Famiglia nel Bosco, arrivano le lettere dai nonni: “Sono felici, è una famiglia premurosa”

In un bosco d’Abruzzo, una famiglia cresce libera e unita. Lo Stato la accusa, i nonni la difendono. A maggio la sentenza: libertà educativa o intervento? La sfida è aperta.

A Palmoli, piccolo comune dell’entroterra abruzzese, una famiglia ha scelto di vivere in modo diverso, nel silenzio di un bosco, tra una roulotte e una casetta essenziale. Una scelta che oggi, 5 novembre 2025, è al centro di un procedimento giudiziario delicato e controverso. Nathan Trevallion, 51 anni, britannico, e Catherine Birmingham, 45, australiana, sono i genitori di tre bambini – una bambina di otto anni e due gemelli di sei – che crescono lontani dalla scuola tradizionale, dal rumore delle città, e da quella modernità che la coppia considera “tossica”. È uno stile di vita radicale, certo. Ma anche consapevole, voluto, trasparente.

Nonostante questo, la procura per i minorenni dell’Aquila ha chiesto il loro allontanamento, parlando di «grave pregiudizio». Secondo le relazioni depositate, i bambini vivrebbero isolati, senza un medico, senza servizi igienici, né gas o acqua corrente. I genitori però non hanno mai nascosto la loro situazione: hanno accolto giornalisti da tutta Italia, aperto le porte, spiegato le loro scelte, parlato di educazione parentale – un diritto garantito dalla Costituzione italiana, praticato nel rispetto delle norme, che prevede l’obbligo per i genitori di istruire i figli a casa, dichiarando ogni anno tale intenzione alle autorità competenti. Non si tratta, dunque, di “abbandono”, ma di un’alternativa legittima.

«I nostri figli sono sani, felici, socievoli. Conoscono altri bambini, vanno al parco, fanno la spesa con noi. Vivono a contatto con la natura e imparano ogni giorno da ciò che li circonda», ha spiegato la madre. In questa battaglia, i due genitori non sono soli. A sostenerli ci sono anche i nonni, con lettere accorate che sono giunte da Inghilterra e Australia fino al tribunale dell’Aquila. Mike, 80 anni, scrive dei nipoti come «bambini affettuosi, allegri, rumorosi, pieni di vita», con cui ha trascorso una settimana indimenticabile a settembre. «Mi portavano la colazione nella roulotte. Mi hanno fatto sorridere. Non riuscivo a stare al loro passo. Sono bambini come quelli di una volta». La nonna Pauline, dall’Australia, ha espresso ai giudici tutta la sua preoccupazione: «Se vedessi negligenza, sarei la prima a dirlo. Ma questi sono genitori premurosi. Chiedo solo che possano continuare a vivere la loro vita».

Lettere piene di umanità che mostrano un’altra prospettiva: quella di chi osserva questa famiglia con occhi sinceri e non da un ufficio. La realtà, spesso, non si misura con le tabelle ministeriali. I bambini non sono numeri da incasellare in un modello unico, ma persone da proteggere anche nel loro diritto alla libertà. E vivere in modo semplice non è un crimine.

Il tribunale ha fissato l’udienza per il 20 maggio 2025, ma la richiesta di allontanamento è già stata depositata da mesi. Nel frattempo, i servizi sociali hanno provato a riaprire il dialogo, ma ogni tentativo è fallito. Resta l’attesa di una decisione che pesa come un macigno. Eppure, guardando da vicino questa vicenda, ciò che emerge non è trascuratezza, ma una visione alternativa dell’essere genitori, radicata nei valori della natura, della sobrietà e dell’autonomia. In un Paese in cui la crisi della famiglia è evidente e in cui i figli si perdono spesso nelle fratture sociali, c’è chi lotta per crescerli con amore, anche se fuori dagli schemi.

Oggi più che mai, la vera sfida non è punire chi si discosta dalla norma, ma capire se la norma riesce ancora a tutelare ciò che è davvero il bene del minore. E non è detto che questo coincida sempre con un banco di scuola, un pediatra disponibile o un bagno piastrellato. Forse, a volte, coincide con una mano che stringe forte la tua nel bosco. Per restare sempre aggiornato scarica GRATIS la nostra App!